ISSN 2385-1376
Testo massima
L’errore circa la potenziale destinazione edificatoria di un bene compravenduto non configura un errore di diritto ex art.1429 n. 4 cc, bensì un errore sulla qualità dell’oggetto della prestazione ex art.1429 n. 2 cc.
Tale errore è essenziale in quanto le parti si determinano alla conclusione del contratto per la qualità del terreno e per le utilità che possono ricavare rispettivamente dalla cessione e dall’acquisto.
Così si è pronunciato il Tribunale di Taranto, in persona del giudice Unico, dott. Claudio Casarano, con sentenza del 16/10/2012, annullando un preliminare di vendita (e disponendo la restituzione della caparra) in quanto il bene promesso in vendita aveva qualità diverse da quelle reali, posto che veniva erroneamente presupposta nel preliminare la immediata edificabilità del terreno.
Ebbene, la falsa rappresentazione della realtà circa la natura edificatoria di un terreno, ricadendo direttamente su di una qualità dell’oggetto, integra l’ipotesi normativa dell’errore di fatto e non di diritto.
Relativamente alla cd. PRESUPPOSIZIONE (sulla cui sussistenza era fondata la domanda), il Giudice richiamando l’orientamento dei giudici di legittimità ha ribadito che la presupposizione assume rilevanza giuridica, determinando l’invalidità o la risoluzione del contratto, quando la situazione presupposta, passata o presente, in effetti non sia mai esistita e, comunque non esista al momento della conclusione del contratto, ovvero quando quella contemplata come futura (ma certa) non si verifichi (cass. 24295/2006)
Può allora sostenersi che l’aver ignorato la non immediata edificabilità del lotto, sarebbe potuto rientrare nell’ipotesi dell’errore ex art. 1429, n. 2 c.c., ossia quello che cade sopra una qualità del bene.
Ed in via di interpretazione estensiva della predetta norma, l’annullabilità del contratto va ammessa anche quando la situazione erronea sia stata implicitamente tenuta presente da tutte le parti contraenti e sia stata la ragione determinante del consenso all’operazione economica divisata.
Si comprende allora come la dedotta patologia contrattuale, sotto il profilo evidenziato, appare investire il momento genetico del rapporto, ossia il formarsi della decisione di addivenire alla stipula del contratto del preliminare di vendita del lotto e per questo aspetto è evidente la somiglianza con il caso dell’errore, con la conseguenza che sarebbe più corretto parlare di negozio annullabile.
In virtù di tali ragioni il Giudice ha annullato il preliminare di vendita dedotto in giudizio disponendo la restituzione della caparra.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI TARANTO – II SEZIONE
In composizione monocratica, dott. Claudio Casarano
Ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 6985 R.G. anno 2008 Affari Civili Contenziosi promossa da:
TIZIA e MEVIO (promittenti acquirenti);
CONTRO
CAIA ed SEMPRONIA (promittenti venditori);
OGGETTO: “Altra ipotesi di responsabilità contrattuale
“;
Conclusioni: le parti rassegnavano quelle in atti riportate e qui da intendersi richiamate;
MOTIVI DELLA DECISIONE
IL FONDAMENTO DELLA DOMANDA
Con atto di citazione regolarmente notificato i sig.ri TIZIA ed MEVIO, nel convenire in giudizio i sig.ri CAIA ed SEMPRONIA, nonché il Comune di Leporano, affermavano di aver stipulato in data 10-01-2007 un preliminare di vendita, con il quale le convenute sorelle CAIA e SEMPRONIA promettevano di vendere agli attori la piena proprietà di un lotto di terreno situato in Leporano, della superficie di mq 8570.
La promittente venditrice dichiarava che il terreno ricadeva in parte in zona omogenea territoriale, denominata nel P.R.G. come zona C “Turismo residenziale di completamento e di espansione – art. 12 delle norme di attuazione; in parte nella zona denominata aree per spazi di verde primario; in parte nella zona denominata “zona organizzata di quartiere“; in parte in zona destinata a sede stradale.
Il tutto, peraltro, puntualizzava la difesa istante, come da certificato di destinazione urbanistica rilasciato dal Servizio Tecnico Urbanistico del Comune di Leporano, allegato al preliminare e di cui ne faceva parte integrante.
Gli attori precisavano che il corrispettivo della vendita veniva stabilito in euro 510.000,00, mentre per la stipula del definitivo convenivano la data del 15-05-2007; inoltre versavano a titolo di caparra confirmatoria euro 30.000,00 ai promittenti venditori.
Con lo stesso preliminare, aggiungevano gli attori, incaricavano il tecnico Vitale di eseguire una serie di pratiche, preordinate al progetto di costruzione di nove fabbricati unifamiliari da realizzare nel lotto promesso in vendita: rilievo celerimetrico del lotto, progettazione architettonica, calcolo statico delle strutture in cemento armato e relativo deposito presso l’ufficio del Genio Civile, direzione dei lavori, redazione del piano di sicurezza e della valutazione dei rischi, collaudo statico, pratica di accatastamento e richiesta della certificazione di agibilità.
La domanda di rilascio del permesso a costruire, per l’edificazione dei suddetti nove fabbricati, veniva però presentata in data 2-02-2007 dalla C. I. srl, costituita dagli attori dopo la sottoscrizione del preliminare.
Senonchè, lamentavano gli istanti, in data 15-03-2007, il responsabile del Servizio Tecnico Urbanistico del Comune di Leporano lo stesso che aveva rilasciato il certificato di destinazione urbanistica allegato al preliminare inopinatamente comunicava, ai sensi dell’art. 10 bis della Legge 241-90, i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di rilascio del permesso a costruire e così esordiva: “L’area interessata dall’intervento, della superficie di mq. 8200 è tipizzata nel PRG in parte come zona C Turistico residenziale di completamento etc
“.
Tale premessa, sottolineava la difesa istante, coincideva con quella di cui alla certificazione urbanistica allegata al preliminare; ma, aggiungeva il funzionario comunale: “
l’area oggetto della proposta progettuale è parte di una maglia di PRG della estensione complessiva di mq 60.000. Attualmente la stessa maglia non risulta urbanizzata e le previsioni viarie e di servizi, interessando aree di diverse proprietà, possono essere definite esclusivamente mediante predisposizione del Piano Esecutivo relativo all’intera maglia ai sensi dell’art. 18 delle norme di attuazione del P.R.G.“.
In altri termini, lamentava la parte attrice, contrariamente a quanto attestato con la certificazione di destinazione urbanistica, in materia avrebbe trovato applicazione l’art. 18 e non l’art. 12 delle norme di attuazione del P.R.G. e quindi il progetto di costruzione doveva essere preceduto dall’adozione di un comparto edificatorio o piano esecutivo dell’intera maglia di mq. 60.000, senza del quale non sarebbe stato possibile il rilascio del permesso a costruire richiesto.
La difesa istante sosteneva allora che il bene promesso in vendita finiva con l’avere qualità diverse da quelle reali, posto che erroneamente veniva presupposta nel preliminare la sua immediata edificabilità.
L’errore sulla qualità del bene promesso in vendita integrava una forma di nullità, per il mancato verificarsi della c.d. presupposizione, senza della quale mai gli attori avrebbero stipulato il preliminare.
Da qui la domanda tesa alla restituzione della caparra di euro 30.000,00, oltre agli interessi dal 11-01-2007 ed il risarcimento dei danni conseguenti subiti.
LA DIFESA DEI CONVENUTI
I promittenti venditori ed il Comune di Leporano svolgevano analoghe difese.
I primi, dopo aver ricordato l’avvenuta notifica alle controparti in data 10-04-2008 della diffida ad adempiere, sotto la comminatoria della risoluzione del contratto e conseguente trattenimento della caparra, sostenevano in primo luogo che l’art. 18 doveva considerarsi un logico sviluppo delle prescrizioni contenute nell’art. 12, posto che il rilascio del permesso a costruire, relativamente ad un singolo lotto, non può prescindere dall’approvazione del piano relativo all’assetto territoriale sotto il profilo delle opere di urbanizzazione. Opere che devono necessariamente riguardare un intero comparto e quindi richiedere la preventiva adesione al Piano dei vari proprietari dei lotti compresi nella più vasta area.
I convenuti sostenevano quindi che l’edificabilità del lotto promesso in vendita in realtà permaneva, pur se alle condizioni previste dalla normativa urbanistica ed in particolare rispettando le prescrizioni previste dall’art. 18; norma che i promittenti acquirenti erano tenuti a conoscere, anche considerando che si avvalevano dell’opera di un tecnico per la progettazione di un’opera edilizia importante.
Il Comune convenuto in particolare ricordava poi che il certificato in parola ai sensi della legge 47/85 è rilasciato a fini circolatori ed ha carattere meramente dichiarativo e non costitutivo e quindi per definizione privo della capacità di ledere posizioni giuridiche soggettive.
Le difese convenute sostenevano quindi che doveva considerarsi improprio il richiamo alla presupposizione, posto che nessuna modifica della normativa urbanistica di riferimento era intervenuta dopo la stipula del preliminare.
In via subordinata contestavano la ricorrenza dei danni e per il mancato guadagno, al più, legittimata attiva doveva considerarsi la C. I. srl.
In ultima analisi i promittenti venditori sostenevano che responsabile dei presunti danni doveva comunque considerarsi il Comune di Leporano, per aver adottato una certificazione di destinazione urbanistica fuorviante.
L’ISTRUTTORIA
Non veniva ritenuta necessaria la prova orale e la Ctu richiesta dagli attori, tesa a quantificare i danni.
All’udienza del 02-05-2012 la causa veniva riservata per la decisione con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per lo scambio di comparse conclusionali e repliche.
L’INDIVIDUAZIONE DELLA FORMA DI INVALIDITÀ CONTRATTUALE DEDOTTA IN CITAZIONE( IURA NOVIT CURIA): L’ESCLUSIONE DELL’ERRORE DI DIRITTO E LA PROSPETTATA PRESUPPOSIZIONE
Come ha avuto occasione di precisare la S.C. l’errore circa la potenziale destinazione edificatoria di un bene compravenduto non configura un errore di diritto( ex art.1429, n.4 c.c.), bensì un errore sulla qualità dell’oggetto della prestazione ( ex art.1429, II co., c.c.).
Sul punto si è espresso il S.C. ( S.U. n. 5900 del 1997):
“La falsa rappresentazione della realtà circa la natura (agricola o edificatoria) di un terreno, ricadendo direttamente su di una qualità dell’oggetto, integra l’ipotesi normativa dell’errore di fatto e non di diritto, poiché la inesatta conoscenza della norma che ne preveda la destinazione urbanistica si risolve in una (altrettanto) inesatta conoscenza della circostanza della edificabilità o inedificabilità del suolo, di una circostanza, cioè, inerente ai caratteri reali del bene, differenziandosi un terreno non fabbricabile da un altro utilizzabile a scopi edilizi essenzialmente sotto il profilo dei relativi, possibili impieghi, così che le parti di una compravendita si determinano alla stipula del negozio proprio in relazione alle qualità del terreno ed alle utilità (ed utilizzazioni) da esso ricavabili, incorrendo in errore essenziale in caso di ignoranza della sua vera natura
“.
Se allora in tema di annullabilità di un contratto del tipo di quello qui controverso, può essere rilevante un errore per così dire più grossolano, quale l’aver scambiato un fondo agricolo per edificatorio, a maggior ragione può essere rilevante l’errore in contestazione, meno evidente del primo, se si considera che si confidava solo sulla immediata edificabilità del lotto.
Cadono allora le difese svolte dai convenuti che presupponevano la sola irrilevanza della ignoranza ( legis) in cui incorrevano gli attori, circa la non immediata edificabilità del lotto promesso in vendita, ex art. 18 delle norme di attuazione.
Nel caso in esame la domanda era fondata però sulla c.d. presupposizione e sulla sua ricorrenza dovrà vertere l’indagine (si veda l’art.112 cpc sulla corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato).
Peraltro anche la presupposizione può implicare l’errore di diritto, come chiarito dalla massima che segue, che è utile richiamare perché sono indicati gli altri presupposti della patologia negoziale in parola (Cass. n. 24295 del 2006):
“Ricorre la presupposizione, o condizione non espressa, quando una determinata situazione, di fatto o di diritto, passata, presente o futura, di carattere obiettivo – la cui esistenza, cessazione e verificazione è del tutto indipendente dall’attività o dalla volontà dei contraenti e non costituisce oggetto di una loro specifica obbligazione debba ritenersi, pure in mancanza di un espresso riferimento ad essa nelle clausole contrattuali, essere stata tenuta presente dei contraenti medesimi nella formazione del loro consenso, come presupposto avente valore determinante ai fini dell’esistenza e del permanere del vincolo contrattuale. Così intesa, la presupposizione assume rilevanza giuridica, determinando l’invalidità o la risoluzione del contratto, quando la situazione presupposta, passata, o presente, in effetti non sia mai esistita e, comunque, non esista al momento della conclusione del contratto, ovvero quando quella contemplata come futura (ma certa) non si verifichi“.
Può allora sostenersi che l’aver ignorato la non immediata edificabilità del lotto, sarebbe potuto rientrare nell’ipotesi dell’errore ex art. 1429, n. 2 c.c., ossia quello che cade sopra una qualità del bene.
Ed in via di interpretazione estensiva della predetta norma, l’annullabilità del contratto va ammessa anche quando la situazione erronea( la conoscenza delle sole prescrizioni ex art. 12 e l’ignoranza di quelle ex art. 18) sia stata implicitamente tenuta presente da tutte le parti contraenti e sia stata la ragione determinante del consenso all’operazione economica divisata.
Si comprende allora come la dedotta patologia contrattuale, sotto il profilo evidenziato, appare investire il momento genetico del rapporto, ossia il formarsi della decisione di addivenire alla stipula del contratto del preliminare di vendita del lotto e per questo aspetto è evidente la somiglianza con il caso dell’errore, con la conseguenza che sarebbe più corretto parlare di negozio annullabile.
Sotto altro profilo, incidendo la situazione avuta presente erroneamente dalle parti contraenti, sulla causa del contratto, può essere pertinente anche il richiamo della disciplina della nullità del contratto, sotto il profilo della mancanza della causa programmata dalle parti( art. 1418, II co. c.c. art. 1325 , n. 2).
Fuori luogo invece nel caso di specie il richiamo della risoluzione (arg. in via di interpretazione estensiva dall’art. 1467 c.c.).
L’individuazione dell’essenza del vizio controverso è utile, sia allo scopo di garantire che il giudizio sulla ricorrenza della dedotta invalidità si svolga nell’ambito dei limiti normativi evocati, sia perché può spiegare meglio la ragione di fondo dell’esito della controversia.
L’EDIFICABILITÀ IMMEDIATA: OGGETTIVITÀ, COMUNANZA E SUO ESSERE DETERMINANTE DEL CONSENSO
Le parti contraenti curavano nel dettaglio l’emersione dallo stesso testo contrattuale dello scopo pratico perseguito, come fra l’altro attestato dall’allegazione al preliminare del certificato di destinazione urbanistica e dallo stralcio della normativa applicabile ossia l’art. 12, del quale si richiamava la parte in cui era contemplata in maniera eloquente “la realizzazione di nuovi edifici su lotti liberi nel rispetto degli indici e parametri
“.
L’incarico di ottenere la certificazione predetta peraltro era stato conferito dagli stessi promittenti venditori al tecnico V., come si desume dalla premessa contenuta nel predetto atto pubblico.
Emerge quindi dallo stesso testo del preliminare come l’immediata edificabilità del lotto fosse una condizione del preliminare comune ad entrambi le parti, pur se non dichiarata espressamente.
Non quindi una circostanza avuta presente solo dal promittente acquirente, suscettibile quindi di rilevare semplicemente come motivo che lo induceva a contrattare( e che al più avrebbe avuto rilevanza come errore ex art. 1429 c.c. sopra citato).
Se poi si estende l’indagine dal testo contrattuale al comportamento successivo, teso a realizzare lo scopo del contratto, emerge ancora più evidente la ricorrenza della presupposizione in parola.
Il progetto architettonico, del quale si dava conto nell’ultima parte del preliminare quando si descriveva tutta l’attività tecnica amministrativa propedeutica al rilascio del permesso a costruire, riguardava la costruzione di 9 fabbricati unifamiliari; non si trattava quindi di un’operazione meramente speculativa: acquisto di un lotto edificabile per una futura edificazione e per una futura rivendita, una volta magari approvato il Piano Esecutivo ex art. 18 delle norme di attuazione.
Non ha quindi pregio alcuno la difesa dei convenuti, che fa leva sulla circostanza che la qualità edificatoria esisterebbe pur sempre in capo al bene promesso in vendita.
Rileva altresì, sempre a denotare come la causa del contratto fosse permeata dalla immediata edificabilità, il rilievo della tempistica delle attività coerenti con la predetta finalità poste in essere dagli interessati: in data 10-01-2007 veniva stipulato il preliminare; per il 15-05-2007 doveva intervenire il definitivo; il permesso di costruire era già stato depositato al Comune in data 2 febbraio 2007.
E’ evidente allora che rendeva vana la stipula del preliminare e quindi del definitivo, la scoperta che in materia avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 18, in luogo di quello certificato di cui all’art. 12, e quindi la necessità di dotarsi di un Piano Esecutivo concernente la maglia di un lotto di 60.000 mq.-
Il contratto va quindi annullato ed ordinata la restituzione della caparra di euro 30.000,00, oltre interessi.
LA DOMANDA RISARCITORIA
Sotto il profilo della responsabilità contrattuale, per quel che concerne la posizione dei promittenti venditori, e sotto quello della responsabilità aquiliana( 2043 c.c.), per il Comune di Leporano, rileva la ricorrenza della colpa in capo agli autori.
Per quel che concerne i promittenti venditori, proprio perché anch’essi avevano ritenuto di poter fare affidamento sulla risultanza ufficiale della certificazione di destinazione urbanistica allegata al preliminare, non può ravvisarsi una loro colpa e quindi non possono rispondere dei danni lamentati dagli attori. Né veniva allegato o risulta che fossero stati in realtà a conoscenza, contrariamente a quanto fatto emergere dal contratto, o dal certificato di destinazione urbanistica, che in realtà il lotto non era immediatamente edificabile.
La responsabilità del Comune invece dipende dal giudizio circa l’erroneità o meno di quanto attestato nella certificazione di destinazione urbanistica dal suo funzionario.
Più precisamente occorre verificare se vi fosse l’onere per il funzionario di indicare nella certificazione in parola anche i limiti derivanti dall’art. 18 delle norme di attuazione del piano regolatore.
Se si considera che nel certificato ci si preoccupava pure di allegare la normativa urbanistica secondaria, per l’individuazione delle prescrizioni in tema della concreta edificabilità, e che non veniva pacificamente richiamata quella rilevante di cui all’art. 18, deve ritenersi che si tratti di omissione colposa.
Non a caso quando si prendeva in considerazione la zona agricola in cui ricadeva parte del lotto, si richiamava la normativa di riferimento; quando si evocava la Zona C turistico residenziale di completamento ed espansione veniva richiamato il solo art. 12 e non anche il più eloquente art. 18( come poi lo stesso funzionario faceva quando prospettava il diniego del rilascio del permesso a costruire).
In materia di certificazione in generale occorre ricordare che la finalità perseguita dal legislatore è propria quella di garantire la certezza nei traffici commerciali; pur non avendo allora carattere costitutivo, la predetta certificazione è chiamata a svolgere una funzione di accertamento qualificato della qualità edificatoria dei beni oggetto di una possibile compravendita. Rileva l’art. 8 del d.l. 23-01-1982 n. 9 e, come ricordava la difesa del Catalano con comparsa conclusionale, l’art. 18 della legge 47/85 e l’art. 30, co. II, del dpr 06-06-2001 n. 380, in tema di obbligo di allegazione negli atti pubblici di compravendita del certificato di destinazione urbanistica, sotto pena si badi – di comminatoria di nullità dello stesso negozio.
Il funzionario del Comune, abilitato a svolgere allora questa delicata attività certificativa, doveva fornire informazioni più corrette, sotto il profilo della loro completezza; se un dovere così stringente non fosse preteso dall’ente competente, si finirebbe con il minare la istituzionale finalità pubblicistica, di garanzia della certezza dei traffici commerciali, sottesa al rilascio della predetta certificazione.
Finalità che invece nel caso di specie veniva frustrata, come sta a testimoniare la scoperta dell’inutilità dell’affare divisato dalle parti, al quale infatti non si sarebbe addivenuti, se fosse stata certificata la limitazione in fatto di edificabilità del lotto promesso in vendita, ai sensi dell’art. 18 delle norme di attuazione.
Sul carattere non meramente documentale ma di certificazione amministrativa dell’attività amministrativa in parola è utile il richiamo di una pronunzia del Tar di Lecce( n. 2121 del 2009):
“In relazione alla qualificazione giuridica del certificato di destinazione urbanistica – che rientra nella categoria degli atti di certificazione, redatti da pubblico ufficiale, aventi carattere dichiarativo o certificativo del contenuto di atti pubblici preesistenti – lo stesso non può essere sussunto nella categoria del “documento amministrativo” definito dall’art. 22, lett. d), l. 7 agosto 1990 n. 241, come ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica Amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale. Ne consegue che il rilascio dei certificati di destinazione urbanistica non può avvenire nelle forme del diritto di accesso, ma secondo le specifiche fonti normative, legislative e regolamentari, che precipuamente riguardano tali tipi di atti amministrativi“.
L’INSUSSISTENZA DELLA PROVA DEI DANNI
Proprio la ristrettezza del periodo in cui si veniva a conoscenza dell’impossibilità di immediata edificabilità, il diniego risale infatti al 15-03-2007, spiega come molte delle voci di danno reclamate in citazione fossero rimaste sul piano delle mere aspettative, come peraltro confermato indirettamente dalla genericità della prova sul punto articolata ed alla quale non si sarebbe potuto sopperire con la richiesta Ctu, se si considera che avrebbe avuto il vietato carattere esplorativo.
Così in particolare per i soggetti che avrebbero manifestato interesse peraltro verbalmente – all’acquisto degli immobili da costruire.
Stesse considerazioni valgono per il mancato guadagno ed il danno all’immagine, anche perché gli istanti, quanto meno, avrebbero dovuto attendere il rilascio del permesso a costruire.
Peraltro di molti dei danni evocati, sarebbe stata legittimata attiva la società costituita allo scopo, la C. I., srl e non gli attori, quali persone fisiche.
Degli esborsi fatti, gli attori producevano fattura relativa alla prestazione resa dal notaio per la costituzione della predetta società e la fattura relativa alle prestazioni rese dal geom. L. V..
Per la prima voce di danno, non risulta che sia stata costituita solo per la finalità sottesa al preliminare; infatti l’art. 5, relativo all’oggetto sociale, riguarda l’attività in generale nel settore edilizio, programmata peraltro fino al 2050.
In ogni caso la fattura relativa a tale prestazione e quella che documenta le prestazioni rese dal geom. Vitale risultano intestate alla società, la quale quindi deve ritenersi che fosse la sola legittimata attiva.
Le spese sopportate dagli attori seguono la prevalente soccombenza dei convenuti e si liquidano come da dispositivo, tenuto conto della effettiva attività svolta.
PTM
Definitivamente pronunziando sulle domande proposte dai sig.ri TIZIA ed MEVIO, con citazione regolarmente notificata, nei confronti dei sig.ri CAIA e SEMPRONIA, nonché nei confronti del Comune di Leporano, in persona del sindaco pro tempore, rigettata ogni altra domanda ed eccezione, così provvede:
Accoglie la domanda principale ed annulla il preliminare del 10-01-2007 dedotto in giudizio;
Condanna in solido le convenute CAIA e SEMPRONIA alla restituzione, in favore degli attori, della somma di euro 30.000,00, oltre interessi dal 10-01-2007;
Rigetta le altre domande risarcitorie;
Liquida le spese processuali sopportate dagli attori, in loro favore, in euro 1.000,00 per esborsi ed euro 8.000,00 per diritti ed onorari, oltre accessori di legge;
Condanna quindi (ex art. 97 c.p.c.) le convenute CAIA e SEMPRONIA al pagamento in favore degli attori della metà delle predette spese processuali ed il Comune di Leporano all’altra metà.
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Numero Protocolo Interno : 196/2012