ISSN 2385-1376
Testo massima
Nel procedimento di reclamo contro la sentenza dichiarativa del fallimento, la Corte d’Appello deve ordinare l’integrazione del contraddittorio quando il reclamante non ha notificato il ricorso ai creditori istanti, al fine di consentire loro la partecipazione al giudizio d’impugnazione.
E’ questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione, sezione prima, con la sentenza n. 6649 del 15 marzo 2013 che ha accolto il ricorso promosso dal curatore fallimentare contro il decreto della Corte d’Appello che aveva accolto il reclamo depositato da una società a responsabilità limitata dichiarata fallita.
L’art. 18 legge fallimentare disciplina la procedura da seguire per proporre reclamo contro la sentenza dichiarativa del fallimento.
Il reclamo può essere proposto dal debitore o da qualunque altro soggetto interessato attraverso il deposito di un ricorso da presentarsi avanti alla Corte d’Appello. Una volta depositato il reclamo, il presidente della Corte d’Appello designa il relatore e fissa con decreto l’udienza di comparizione. E’ però necessario che il ricorso ed il decreto di fissazione dell’udienza siano congiuntamente notificati al curatore fallimentare ed alle altre parti a cura del reclamante.
All’udienza, infatti, il collegio, sentite le parti, può assumere anche d’ufficio, e comunque nel rispetto del principio del contraddittorio tutti i mezzi di prova che ritiene necessari, provvedendo, al termine dell’istruttoria, sul ricorso con sentenza.
L’art. 18, comma 12, legge fallimentare precisa infine che la sentenza che revoca il fallimento è notificata a cura della cancelleria al curatore, al creditore che ha chiesto il fallimento ed al debitore se non reclamante.
Prima della novella operata dall’art. 16 D.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dall’art. 2, comma 7, D.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, l’art. 18 legge fallimentare prevedeva la notifica al curatore ed al creditore richiedente dell’opposizione alla dichiarazione al fallimento.
Nella nuova formulazione dell’art. 18 legge fallimentare, come si è testé avuto modo di evidenziare, il legislatore ha invece previsto la notifica del reclamo al curatore ed alle altre parti.
La Cassazione afferma che le ragioni dell’intervenuta modifica normativa siano da ricercare nella diversa configurazione del mezzo d’impugnazione.
Nel testo riformato dell’art. 18 legge fallimentare, il mezzo d’impugnazione non assume difatti più la forma dell’atto introduttivo di un giudizio di primo grado nel quale è indispensabile identificare le parti del contraddittorio. La nuova formulazione dell’art. 18 legge fallimentare prevede il ricorso ad un mezzo d’impugnazione che introduce un giudizio di secondo grado nel quale le parti sono quelle che hanno partecipato al giudizio di primo grado concluso con la sentenza dichiarativa del fallimento.
La Cassazione evidenzia pertanto che tra le parti non può non esserci anche il creditore istante, il quale ha dato impulso al giudizio di primo grado.
Per costante e consolidato insegnamento della Cassazione, il creditore istante è comunque da sempre ritenuto parte necessaria del giudizio d’impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento promosso dal debitore.
Si tratta di un’interpretazione conforme al dettato dell’art. 24 cost. che sancisce il principio del diritto di difesa iretto a garantire la partecipazione del creditore istante nel procedimento di reclamo contro la sentenza dichiarativa del fallimento, di modo da potergli consentire l’esercizio di tutte le sue difese.
La previsione contenuta nell’art. 18, comma 12, legge fallimentare che dispone la notifica, a cura della cancelleria, della sentenza che revoca il fallimento al creditore è per i giudici di legittimità una norma che rafforza la tutela del creditore istante. Il creditore istante merita difatti una comunicazione della revoca del fallimento anche nel caso in cui non si sia costituito nel giudizio di reclamo. L’art. 18, comma 12, legge fallimentare non può pertanto essere interpretata come norma finalizzata ad escludere la partecipazione del creditore istante al giudizio di reclamo contro la sentenza dichiarativa del fallimento.
Nel giudizio d’impugnazione della sentenza dichiarativa del fallimento, la Cassazione ritiene inoltre che l’accertamento della regolare costituzione del contraddittorio tra le parti necessarie del procedimento deve precedere ogni indagine circa la legittimità del provvedimento impugnato. Ed in particolare la verifica della regolare formazione del contraddittorio deve avvenire anche prima dell’accertamento della sussistenza di una possibile causa di sospensione necessaria e pregiudiziale del giudizio per la dichiarazione di fallimento Fattispecie che si può verificare nel caso della contemporanea pendenza di due procedure concorsuali tra di loro incompatibili quali ad esempio la procedura di dichiarazione di fallimento e la procedura per la dichiarazione dello stato d’insolvenza ex art. 12 del D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270.
A seguito del reclamo proposto contro la sentenza dichiarativa del fallimento, il giudice d’appello incorre pertanto nella violazione dell’art. 331 cpc per mancanza di una parte necessaria del giudizio se non dispone l’integrazione del contraddittorio quando ha accertato l’omessa notifica dell’impugnazione ai creditori istanti.
La violazione dell’art. 331 cpc comporta il rinvio della causa al giudice d’appello che, in altra composizione, dovrà disporre l’integrazione del contraddittorio e si dovrà nuovamente pronunciare sul reclamo proposto dal debitore avverso la sentenza dichiarativa del fallimento.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28353-2009 proposto da:
FALLIMENTO N. 56/08 A. T. S.P.A., in persona del Curatore;
– RICORRENTE –
contro
P.U., nella qualità di amministratore unico di A. T. S.P.A.;
A.. T.S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA;
– CONTRORICORRENTE –
avverso la sentenza n. 170/2009 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 19/03/2009;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Nel procedimento per la dichiarazione di fallimento di A. T. s.p.a., iniziato con ricorsi 9 a-gosto 2007 di E. e B. s.r.l., 7 novembre 2007 dei sigg. Ma.Ma. ed V.E., e 18 gennaio 2008 dei sigg. T.M., S.G. e Z.M., il legale rappresentante della società debitrice, in occasione della sua convocazione davanti al Tribunale di Teramo, si dichiarò intenzionato a chiedere l’ammissione all’amministrazione straordinaria.
2. In effetti, il “Gruppo A.”, così denominatosi, e costituito dall’A.. s.r.l. e dalle società controllate al 100% A. C. s.p.a., A. T. s.p.a., A. T. s.p.a., A. T. s.p.a., S.L.C, s.r.l., A.. S. s.r.l., A. E. s.r.l. A.. R&D s.r.l. depositò il 27 maggio 2008 un’istanza di dichiarazione dello stato d’insolvenza D.Lgs. n. 270 del 1999, ex art. 3 sostenendo che le singole società appartenenti al gruppo non integrano entità imprenditoriali autonome in senso verticale e orizzontale dell’azienda, con la capogruppo, bensì una struttura imprenditoriale essenzialmente unitaria che, così intesa, soddisfaceva i requisiti dimensionali di cui al D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 2.
3. Il tribunale, con decreti in data 12 giugno 2008, dichiarò chiuse le procedure di concordato preventivo che in precedenza erano state presentate da alcune società del gruppo, riservò la decisione sulle istanze di fallimento presentate, tra le quali quella concernente l’A. T. s.p.a., convocò il legale rappresentante della società e il Ministero dell’Industria per gli adempimenti del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 7. Il ministero trasmise un parere nel quale erano riportati i dati acquisiti in ordine al requisito occupazionale di cui al D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 2, lett. B).
Basandosi su tali elementi, il tribunale, con decreto 30 ottobre 2008 emesso D.Lgs. n. 270 del 1999, ex art. 3 rilevato che nessuna della società del gruppo occupava un numero di lavoratori subordinati non inferiore a 200 da almeno un anno, e che non poteva tenersi conto della somma di tutte le società del gruppo, essendo desumibile dal D.Lgs. n. 270 del 1999, artt. 80 e 81 solo la possibilità di estendere la procedura di amministrazione straordinaria alle altre imprese del gruppo solo nel caso che almeno una di esse possedesse i requisiti di legge, dichiarò l’inammissibilità della domanda di dichiarazione dello stato d’insolvenza. Con distinte sentenze in data 31 ottobre 2008, poi, il Tribunale di Teramo, decidendo sulle distanze di fallimento presentate, e considerando l’intervenuta dichiarazione d’inammissibilità della domanda di amministrazione straordinaria, dichiarò il fallimento di cinque società del gruppo, tra le quali A. T. s.p.a.
4. Contro il decreto D.Lgs. n. 270 del 1999, ex art. 3 tutte le società del gruppo proposero reclamo. Con decreto 20 gennaio 2009 la Corte d’appello dell’Aquila, accolse il reclamo, ritenendo che il D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 2 debba essere interpretato estensivamente, in modo da ricomprendere tra le imprese che possono essere ammesse alla procedura anche quelle costituite da un gruppo d’imprese tale che il requisito occupazionale di legge sia soddisfatto con riguardo alla somma delle imprese componenti del gruppo, e rimise gli atti al tribunale per la prosecuzione della procedura. Contro questo provvedimento è stato proposto dal fallimento ricorso per cassazione, deciso in data odierna con separata sentenza di accoglimento e di decisione nel merito, con il rigetto delle domande di dichiarazione dello stato d’insolvenza.
5. Contro la sentenza dichiarativa di fallimento l’A. T. s.p.a. propose reclamo, accolto dalla Corte d’appello di L’Aquila che, con la sentenza 19 marzo 2009 impugnata in questa sede, ritenne illegittima la dichiarazione di fallimento pronunciata in pendenza del termine per proporre reclamo avverso il decreto, privo di efficacia esecutiva, di rigetto della domanda di dichiarazione d’insolvenza.
6. Per la cassazione di questa sentenza, non notificata ha proposto ricorso il curatore del fallimento A. T. s.p.a., notificato alla società e al commissario straordinario, per quattro motivi.
La società A..T. s.p.a. resiste con controricorso.
Altro controricorso è stato depositato dal commissario straordinario.
MOTIVI DELLA DECISIONE
7. Va premesso che, a seguito della pubblicazione dell’impugnata sentenza, il Tribunale di Teramo, sulla premessa dell’efficacia esecutiva della revoca del fallimento, con sentenza 27 marzo 2009 ha dichiarato lo stato d’insolvenza, a norma del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 8 del gruppo A., costituito dalle nove società sopra indicate, e con decreto 23 giugno 2009 ha dichiarato aperta la procedura di amministrazione straordinaria del medesimo gruppo d’imprese, e ha nominato il giudice delegato e il commissario giudiziale, il quale ha preso possesso.
Allegando questi elementi di fatto, il commissario giudiziale dell’amministrazione straordinaria del gruppo d’imprese – al quale pure il ricorso era stato notificato – ha depositato un controricorso dichiarando di rappresentare in giudizio le nove società del gruppo.
8. Il controricorso del commissario giudiziario è inammissibile.
La rappresentanza processuale del gruppo d’imprese – trascurando qui ogni profilo sostanziale in ordine alla supposta soggettivizzazione di un tal ente – implicherebbe l’intervento nel presente giudizio di legittimità di un soggetto che non ha partecipato ai precedenti giudizi di merito, ciò che non è consentito. Sull’intervento nel giudizio di cassazione, infatti, questa corte ha avuto modo di pronunciarsi ripetutamente, anche a sezioni unite, affermando il principio che non è consentito nel giudizio di legittimità l’intervento volontario del terzo, mancando un’espressa previsione normativa, indispensabile nella disciplina di una fase processuale autonoma, e riferendosi l’art. 105 c.p.c. esclusivamente al giudizio di cognizione di primo grado, senza che, peraltro, possa configurarsi una questione di legittimità costituzionale (Cass. Sez un. 23 gennaio 2004 n. 1245).
Il controricorso, poi, non può essere ritenuto ammissibile neppure per la parte in cui lo s’intendesse riferito alla sola A.T. s.p.a., essendo questa società, parte necessaria del giudizio di opposizione al suo fallimento, già costituita validamente in persona degli organi societari, e non potendo ammettersi la contemporanea presenza nel medesimo giudizio di una parte rappresentata da organi autonomi, e che si escludono reciprocamente.
9. E’ stata eccepita dalla controricorrente società la carenza di legittimazione attiva della curatela fallimentare, sul presupposto che l’apertura della procedura ai amministrazione straordinaria, e l’inizio delle operazioni di accertamento dello stato passivo della società dichiarata insolvente avrebbero comportato l’estromissione del curatore fallimentare, oltre che dalla gestione dell’attività produttiva e del patrimonio della società fallita, anche dalla procedura volta alla determinazione dello stato passivo in vista dell’eventuale liquidazione del patrimonio sociale. Ciò comporterebbe altresì la perdita della funzione di tutela degli interessi dei creditori, essendo il commissario giudiziale sostituito al curatore a norma del D.Lgs. n. 270 del 1999, artt. 19, 15 e 53.
Deriverebbe da ciò la perdita d’interesse e di legittimazione del curatore a impugnare la revoca del fallimento. Si aggiunge che la stessa autorizzazione ad agire in giudizio, rilasciata dal giudice delegato prima dell’apertura dell’amministrazione controllata, sarebbe decaduta per effetto della dichiarazione dello stato d’insolvenza e della contestuale nomina del commissario giudiziale, che avrebbe implicitamente revocato il precedente incarico al curatore.
10. L’eccezione è infondata. Oggetto del giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento dell’A. A. s.r.l., nel presente grado, è la legittimità della revoca del fallimento disposta dalla corte territoriale nel grado di reclamo. Gli argomenti diretti a contestare la legittimazione degli organi del fallimento muovono tutti dal presupposto che, a seguito della revoca del fallimento sono stati emessi dei provvedimenti incompatibili con il fallimento medesimo. La legittimità di questi provvedimenti, tuttavia, suppone la legittimità della revoca del fallimento, che è oggetto di contestazione appunto nel presente giudizio, la cui ammissibilità non può essere pertanto contestata con gli stessi argomenti. La sorte dei provvedimenti di apertura della procedura di amministrazione straordinaria, e conseguenti, è invece dipendente da questo giudizio, il cui esito favorevole è idoneo a estendere i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza cassata, a norma dell’art. 336 cpv. c.p.c.. In sintesi, le conseguenze dell’atto impugnato non sono un criterio di legittimazione dell’atto medesimo, perchè non sono i meri fatti a legittimare a posteriori un provvedimento in tesi illegittimo, nè può il giudizio sui presupposti processuali dell’azione essere logicamente posposto a quello sul merito.
10.1 Va ancora osservato che la L. Fall., art. 43 in quanto richiamato dal D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 19 attribuisce la legittimazione processuale al commissario straordinario limitatamente alle controversie, anche in corso, relative ai rapporti patrimoniali dell’imprenditore insolvente, che siano compresi nella procedura concorsuale; e la L. Fall., art. 31, pure richiamato dal D.Lgs. n. 270 del 1999, art.19 attribuisce al commissario straordinario l’amministrazione del patrimonio e il compimento delle operazioni della procedura. Nel giudizio presente, invece, è in gioco l’accesso dell’imprenditore insolvente all’amministrazione straordinaria; un diritto che, per ciò stesso, non può essere compreso nella medesima procedura concorsuale, non attiene ai beni compresi in essa nè al compimento delle operazioni in cui essa consiste, e specificamente di determinazione del passivo, essendone invece il presupposto giuridico e logico. Sono, dunque, proprio i poteri del commissario straordinario a supporre l’accesso dell’imprenditore insolvente alla relativa procedura, mentre è appunto questo accesso, e non già il potere del commissario straordinario (che ne dipende) a essere direttamente in gioco nel presente procedimento.
10.2 Ancor meno, poi, è sostenibile che l’interesse dei creditori in questo giudizio sarebbe validamente rappresentato dal commissario straordinario. Oggetto del giudizio, a seguito dell’intervenuta revoca del fallimento, è precisamente la sussistenza del diritto dei creditori di soddisfare il loro diritto in una procedura concorsuale liquidatoria, secondo le norme della legge fallimentare, in contrasto con la volontà della società insolvente di conservare il patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione della sua attività imprenditoriale (D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 1).
In questa dinamica d’interessi contrapposti, riconducibile alla dialettica propria del giudizio di opposizione al fallimento, il commissario straordinario – se il suo intervento fosse consentito in questa sede – sarebbe funzionale piuttosto al predetto interesse dell’impresa, che contrasta con l’interesse dei creditori alla sollecita soddisfazione dei loro diritti, necessariamente subordinandolo alla prosecuzione dell’attività d’impresa.
11. E’ stata inoltre eccepita dalla società controricorrente la sua carenza di legittimazione passiva, e in ogni caso la nullità del ricorso per cassazione e della sua notifica, perchè, a seguito della sua dichiarazione d’insolvenza e del decreto di apertura dell’amministrazione straordinaria, essa avrebbe perduto la capacità di stare in giudizio.
12. Anche questa tesi è affetta dal medesimo vizio logico, perchè muove dalla supposizione dell’infondatezza del ricorso nel merito: se la revoca del fallimento fosse legittima (e dunque infondato il ricorso), infatti, ne conseguirebbe la legittimità dell’apertura dell’altra procedura concorsuale, e, con ciò, la perdita della capacità di stare in giudizio degli organi della società insolvente, capacità altrimenti indubitabile in un giudizio di opposizione al fallimento, e nel grado d’impugnazione alla sua revoca. La sussistenza di un presupposto processuale, quale la legittimazione processuale a resistere, non può dipendere però dall’esito del giudizio medesimo del quale, al contrario, condiziona il corretto svolgimento.
13. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione degli artt. 101, 102 e 331 c.p.c. e della L. Fall., art.18, avendo la corte territoriale deciso sul reclamo, sebbene il contraddittorio non fosse stato esteso al creditore istante, e negando la necessità di tale integrazione sul duplice presupposto che nel procedimento per la dichiarazione dello stato d’insolvenza D.Lgs. n. 270 del 1999, ex artt.2 e 3 i creditori istanti non sono legittimati passivamente a intervenire o a contraddire, e che la dichiarazione di fallimento sarebbe, avvenuta prima della definizione della procedura di cui all’art.12 del citato decreto, in assoluta carenza di potere giurisdizionale, non essendo mai divenuto esecutivo – ex art.741 cpc – il decreto di rigetto della domanda di dichiarazione di stato d’insolvenza dell’impresa.
14. Il motivo è fondato. Per risalente e consolidata giurisprudenza di questa corte, il creditore istante è parte necessaria del giudizio d’impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento promosso dal debitore (almeno da Cass. 6 agosto 1962 n. 2412;
conformi tutte le successive, sino alla più recente massimata, 8 febbraio 2011 n. 3071).
Neppure la rinuncia al credito farebbe venir meno la sua qualità di parte necessaria, persistendo il suo interesse al giudizio anche dopo la rinuncia, per la possibilità che l’eventuale revoca del fallimento sia per lui fonte di responsabilità (Cass. 22 settembre 2000 n. 12548).
14.1. La Novella della legge fallimentare (D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 16, D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, art. 2 comma 7) ha modificato l’originaria formulazione dell’art. 18, che prescriveva la notifica dell’opposizione al curatore e al creditore richiedente, con l’attuale, che impone la notificazione del reclamo “al curatore e alle altre parti”. La modifica si spiega con la diversa configurazione del mezzo d’impugnazione, che non costituisce più l’atto introduttivo di un giudizio di primo grado (nel quale occorra identificare le parti del contraddittorio), bensì un gravame che introduce un giudizio di secondo grado, nel quale le “parti” non possono essere altre che quelle che hanno partecipato al giudizio di primo grado, concluso con la sentenza dichiarativa di fallimento. Tra queste parti, evidentemente, viene in considerazione innanzi tutto il creditore istante, vale a dire il creditore su impulso del quale s’è svolto il giudizio di primo grado.
Ogni diversa interpretazione si risolverebbe in una lesione del diritto di difesa tanto grave, in relazione all’art. 24 Cost., quanto ingiustificata dal testo della norma. Questa non aveva motivo, infatti, di ribadire il principio generale per il quale al giudizio di secondo grado devono partecipare le parti del giudizio di primo grado, che dall’esito dell’impugnazione possano vedere modificata la pronuncia di accoglimento della domanda proposta. Il fatto – al quale la controricorrente sembra voler attribuire un particolare significato – che nell’art. 18, comma 2 è esplicitamente prevista la notifica, a cura della cancelleria, dell’eventuale revoca del fallimento al creditore che ha chiesto il fallimento significa semplicemente che la posizione del creditore istante è così tutelata, ma meritare una comunicazione della revoca del fallimento anche nel caso in cui non si sia costituito nel giudizio di reclamo, e non certamente che egli possa non essere neppure citato a comparire in quel giudizio per svolgere le sue difese.
14.2. Che la E. e B. s.r.l., Ma.Ma. e V.E., T.M., S.G. e Z. M. fossero i creditori su istanza dei quali il fallimento è stato dichiarato è circostanza che non può essere contraddetta con il rilievo che il fallimento sarebbe stato dichiarato sulla sola premessa dell’insussistenza dei presupposti per la dichiarazione di stato d’insolvenza D.Lgs. n. 270 del 1999, ex art. 12 come sostiene la controricorrente. La riforma della legge fallimentare del 2006 ha soppresso la dichiarazione di fallimento d’ufficio, e l’assunto difensivo della società suppone ingiustificatamente che questa fondamentale regola del nuovo processo fallimentare sarebbe stata violata dal tribunale. E’ invece certo, ed espressamente affermato anche nel decreto impugnato, che la dichiarazione di fallimento della società fu chiesta dai suoi creditori sopra indicati. A tale iniziativa giudiziale si collega pertanto la sentenza dichiarativa di fallimento. La corte distrettuale, negando la necessità della partecipazione del creditore istante al giudizio di reclamo, s’è posta in contrasto con la ricordata giurisprudenza di legittimità.
14.3. Vero è che, secondo la corte territoriale, la regola del litisconsorzio necessario con il creditore istante non sarebbe stata applicabile nel presente giudizio, a causa di una supposta assoluta carenza di giurisdizione del tribunale a pronunciarsi sulla domanda di fallimento, in pendenza del reclamo proposto contro il precedente decreto, privo di efficacia esecutiva, che aveva respinto la domanda di dichiarazione dello stato d’insolvenza D.Lgs. n. 270 del 1999, ex art. 12.
14.4. Non occorre, a questo proposito, interrogarsi sulla consistenza della tesi del giudice di merito, che peraltro si tradurrebbe nell’affermazione dell’esistenza di una causa di sospensione necessaria del giudizio per la dichiarazione di fallimento in attesa della definizione dell’altra procedura concorsuale, entrambe pendenti davanti al giudice ordinario, e non certo in una questione di giurisdizione. E’ sufficiente osservare che, nel giudizio d’impugnazione, la regolare costituzione del contraddittorio tra le parti necessarie del procedimento precede ogni accertamento circa la legittimità del provvedimento impugnato, anche e specificamente sotto il profilo della sussistenza di una supposta causa di sospensione pregiudiziale del giudizio per la dichiarazione di fallimento.
15. In conclusione, a seguito del reclamo proposto dalla società, avverso la sentenza dichiarativa del suo fallimento, la corte d’appello, avendo rilevato che l’impugnazione non era stata notificata ai creditori istanti, avrebbe dovuto ordinare l’integrazione del contraddittorio, e avendo omesso tale adempimento, giudicando nel merito in assenza di una parte necessaria, è incorsa nella violazione dell’art. 331 c.p.c..
16. La fondatezza di questo motivo comporta la cassazione della sentenza impugnata, e assorbe l’esame degli altri motivi. La causa deve essere pertanto rinviata alla medesima corte territoriale la quale, in altra composizione, disporrà l’integrazione del contraddittorio e si pronuncerà nuovamente, anche ai fini del regolamento delle spese di questo giudizio di legittimità, sul reclamo proposto dalla società fallita.
Nei soli rapporti tra la curatela fallimentare e l’amministrazione straordinaria, le spese del presente giudizio di legittimità sono compensate, in considerazione del fatto che alla partecipazione della controricorrente ha concorso la stessa curatela fallimentare, con la notifica del ricorso per cassazione.
PQM
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello dell’Aquila in altra composizione.
Compensa le spese del giudizio di legittimità nel rapporto tra la curatela fallimentare e l’amministrazione straordinaria.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione della Corte suprema di cassazione, il 13 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2013
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Numero Protocolo Interno : 193/2013