ISSN 2385-1376
Testo massima
Nel caso di domanda cautelare diretta ad ottenere la cancellazione della segnalazione a sofferenza presso la centrale rischi difetta il presupposto per l’applicazione dell’art. 10, comma 4 del d. lgs. 150/2011, ossia l’esistenza di un provvedimento, inteso come atto di una autorità amministrativa, da rendere inefficace.
La segnalazione infatti è una attività informativa, o meglio di trasmissione dati, che viene posta in essere direttamente da un soggetto privato, ossia l’istituto di credito convenuto, in conformità a quanto previsto dalla circolare sulla centrale rischi della Banca d’Italia n.139 dell’11 febbraio 1991, nell’ultimo aggiornamento (29 aprile 2011). In tale ipotesi, difettando un rimedio cautelare tipico, è ammissibile il ricorso al provvedimento ex art. 700 c.p.c.
Allorquando chi agisce per ottenere la sospensione o la cancellazione del proprio nominativo dalla centrale rischi si duole non già delle modalità con cui i dati relativi all’insolvenza siano stati raccolti, trasmessi o gestiti ma semplicemente dell’assenza dei presupposti di fatto che legittimano la segnalazione alla centrale rischi, la relativa controversia non è riconducibile a quelle riguardanti l’applicazione della disciplina sul codice della privacy ma piuttosto a quel e da responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c..
Così si è pronunciato il Tribunale di Verona, Giudice dott. Vaccari, con sentenza del 18/03/2013.
La decisione cui giunge l’adito giudicante parte dal presupposto che, nel caso di specie, la domanda cautelare proposta risulta strumentale rispetto alla corrispondente domanda di merito che è connessa con quella di accertamento avanzata nel giudizio di merito.
Da tanto, in applicazione del terzo comma dell’art.40 cpc, ne deriva la prevalenza del rito ordinario sulla disciplina dell’art.10 d.lgs. 150/2011.
Ad ogni buon conto, a prescindere dalla considerazione suesposta , il Giudice di Verona condivide l’orientamento dottrinale di che sostiene che colui che agisce per ottenere la sospensione o la cancellazione del proprio nominativo dalla centrale rischi si duole non delle modalità con cui i dati relativi all’insolvenza siano stati raccolti, trasmessi o gestiti ma ancora e più semplicemente dell’assenza dei presupposti di fatto che legittimano la segnalazione alla centrale rischi.
Ciò che viene in rilievo quindi è una violazione del precetto del neminem laedere non una violazione delle modalità di trattamento dei dati.
Invero, la parte che ha subito l’iscrizione in CAI si duole della segnalazione del proprio nominativo alla centrale rischi, che è una attività informativa, o meglio di trasmissione dati, che viene posta in essere direttamente da un soggetto privato, ossia l’istituto di credito.
In conformità a quanto previsto dalla circolare sulla centrale rischi della Banca d’Italia n.139 dell’11 febbraio 1991, nell’ultimo aggiornamento (29 aprile 2011):
– al paragrafo II.2 prevede che: “Gli intermediari partecipanti (sott. al sistema centralizzato, n.d.r.) comunicano alla Banca d’Italia informazioni sulla loro clientela e ricevono, con la medesima periodicità con cui sono raccolte, informazioni sulla posizione debitoria verso il sistema creditizio dei nominativi segnalati e dei soggetti a questi collegati“
– mentre il successivo paragrafo II.5 aggiunge che: “Gli intermediari sono tenuti a controllare le segnalazioni di rischio trasmesse alla Banca d’Italia e a rettificare di propria iniziativa le segnalazioni errate o incomplete riferite alla rilevazione corrente e a quelle pregresse“.
Da tanto, risulta come la funzione della banca d’Italia, quale gestore di un servizio pubblico è non solo meramente esecutiva ma anche suppletiva di quella dell’intermediario.
Il provvedimento di cui all’art.152, comma 12 codice privacy, ora art. 10 comma 6 d.lgs 150/2011 è dunque solo eventuale in quanto può e deve essere adottato in caso di inerzia dell’intermediario.
Tale decisione è in aperto contrasto con quella assunta di recente, da altro Giudice della medesima sezione del Tribunale di Verona, dott. Andrea Mirenda che invece, con sentenza del 14/01/2013 aveva dichiarato inammissibile il ricorso d’urgenza ex art. 700 cpc nel caso di illegittima segnalazione di un correntista presso la Centrale di Allarme Interbancaria (C.A.I.).
Testo del provvedimento
TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI VERONA
IL GIUDICE
DOTT. MASSIMO VACCARI
HA EMESSO LA SEGUENTE
ORDINANZA
Pronunciando sul ricorso ai sensi dell’art.700 cpc proposto in data 24 gennaio 2013
DA
ALFA S.P.A.
CONTRO
BANCA
a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 7 marzo 2013
RILEVA CHE
Il ricorso in esame, proposto nell’ambito di un giudizio promosso dalla stessa ricorrente nei confronti della convenuta al fine di fare accertare il carattere indebito di alcune voci debitorie corrisposte nel corso di un rapporto di conto corrente con connesse aperture di credito, è diretto ad ottenere, in via cautelare e atipica, la immediata sospensione o cancellazione dell’iscrizione del suo nominativo dall’archivio informatizzato della Centrale Rischi categoria sofferenze.
Va innanzitutto esaminata l’eccezione pregiudiziale di rito di inammissibilità del rimedio cautelare atipico ex art. 700 cpc, sollevata dalla resistente, sul presupposto della presenza di specifico rimedio tipico a presidio della fattispecie qui prospettata, individuato nel provvedimento di sospensione di cui all’art.10 del d.lgs. 150/2011.
Essa è infondata e va pertanto disattesa.
La convenuta, infatti, non ha tenuto conto del fatto che la domanda cautelare in esame è strumentale rispetto alla corrispondente domanda di merito che è connessa con quelle di accertamento avanzate dalla ALFA S.P.A. nel giudizio di merito, con la conseguenza che, ai sensi dell’art.40 comma 3 cpc, prevale il rito ordinario e la disciplina dell’art.10 d. lgs. 150/2011 risulta incompatibile con esso.
A prescindere da tale considerazione deve evidenziarsi come, avuto riguardo alla prospettazione di parte ricorrente, la presente controversia non è comunque riconducibile a quelle concernenti il codice della privacy.
Infatti va condivisa quella dottrina che ha osservato che in casi come quello di specie, chi agisce per ottenere la sospensione o la cancellazione del proprio nominativo dalla centrale rischi si duole non delle modalità con cui i dati relativi all’insolvenza siano stati raccolti, trasmessi o gestiti ma ancora e più semplicemente dell’assenza dei presupposti di fatto che legittimano la segnalazione alla centrale rischi.
Ciò che viene in rilievo quindi è una violazione del precetto del neminem laedere non una violazione delle modalità di trattamento dei dati.
Anche a voler accedere alla impostazione di parte resistente difetta comunque il presupposto per l’applicazione della norma specifica sulla quale la resistente fonda la propria eccezione, ossia l’esistenza di un provvedimento, inteso come atto di una autorità amministrativa, da rendere inefficace.
Infatti ciò di cui si duole il ricorrente è la segnalazione del proprio nominativo alla centrale rischi, che è una attività informativa, o meglio di trasmissione dati, che viene posta in essere direttamente da un soggetto privato, ossia l’istituto di credito convenuto, in conformità a quanto previsto dalla circolare sulla centrale rischi della Banca d’Italia n.139 dell’11 febbraio 1991, nell’ultimo aggiornamento (29 aprile 2011).
Il paragrafo II.2 della predetta circolare stabilisce infatti che: “Gli intermediari partecipanti (sott. al sistema centralizzato, n.d.r.) comunicano alla Banca d’Italia informazioni sulla loro clientela e ricevono, con la medesima periodicità con cui sono raccolte, informazioni sulla posizione debitoria verso il sistema creditizio dei nominativi segnalati e dei soggetti a questi collegati” mentre il successivo paragrafo II.5 aggiunge che: “Gli intermediari sono tenuti a controllare le segnalazioni di rischio trasmesse alla Banca d’Italia e a rettificare di propria iniziativa le segnalazioni errate o incomplete riferite alla rilevazione corrente e a quelle pregresse“.
Non si rinvengono spunti a sostegno della tesi di parte resistente nemmeno nella pronuncia della Corte di Cassazione n.7958 del 1 aprile 2009 n.7958 che ha delineato il ruolo della BANCA D’ITALIA nei giudizi ex art.152 cod. privacy, volti a far valere l’illegittimità della segnalazione in centrale rischi.
In tale pronuncia la Cassazione ha affermato che la BANCA D’ITALIA è soggetta alla disciplina comune in tema di responsabilità civile nel trattamento dei dati, ovviamente nel caso in cui abbia contributo alla segnalazione erronea, nonché alla tutela giurisdizionale di cui all’art.152, comma 12, cod. privacy, ora riprodotta nell’art. 10, comma 6, del d. lgs. 150/2011.
Con riguardo al primo profilo pare che la Corte abbia ritenuto contitolari del trattamento dei dati effettuato presso la Centrale rischi sia la BANCA D’ITALIA che l’istituto intermediario sebbene, come si è detto, sia quest’ultimo a trasmettere i dati alla centrale e quindi ad effettuare la comunicazione di cui all’art. 4 comma 1 lett. L) del codice della privacy.
In ogni caso, per quanto riguarda l’aspetto della tutela giurisdizionale di cui all’art.152, comma 12, cod. privacy (ora art. 10, comma 6, d. lgs. 150/2011), è opportuno evidenziare come la funzione della BANCA D’ITALIA, quale gestore di un servizio pubblico, sia, non solo meramente esecutiva, ma anche suppletiva di quella dell’intermediario.
La conferma di ciò si ha dalla circolare già citata che al punto II.5 pone a carico degli intermediari l’obbligo di “ottemperare senza ritardo agli ordini dell’Autorità giudiziaria riguardanti le segnalazioni trasmesse alla Centrale dei rischi (ad es. ordine di cancellazione di una sofferenza)” e che anche qualora “l’ordine sia impartito alla BANCA D’ITALIA, quest’ultima chiede prontamente tramite posta elettronica certificata (PEC) o a mezzo fax all’intermediario che ha effettuato la segnalazione di provvedere – tempestivamente e comunque entro i tre giorni lavorativi successivi a quello della richiesta – alla rettifica e all’eventuale riclassificazione della posizione oggetto di accertamento” e che, solo in caso d’inerzia dell’intermediario, possa provvedervi il suddetto ente di iniziativa.
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte non può condividersi la decisione di altro giudice di questa sezione, richiamata dalla resistente, che è giunto alla conclusione, che l’art.10 comma 4 d. lgs. 150/2011 si riferisca anche al provvedimento lato sensu esecutivo reso dalla BANCA D’ITALIA, nelle controversie ex art .152 cod. privacy
Invero dopo quanto si è detto è chiaro che quel provvedimento è solo eventuale in quanto può ed anzi deve essere adottato in caso di inerzia dell’intermediario.
D’altro canto nemmeno la mancata specificazione, nella norma in esame, dell’autorità che adotta il provvedimento impugnato autorizza a ricomprendere nel suo ambito di applicazione quello che possa adottare la BANCA D’ITALIA poiché, come si desume dalla relazione governativa al d. lgs. 150/2011, il legislatore delegato, nel formularla, aveva in mente, oltre alle controversie concernenti l’applicazione del codice della privacy, quelle previste dall’art.10, comma 5, della legge 1 aprile 1981 n.121, in materia di trattamento dei dati e delle informazioni di cui all’art. 6, lett. a) e all’art. 7 della medesima legge, ad opera del centro elaborazione dati presso il Ministero degli Interni.
Il precedente citato da parte convenuta, inoltre, risulta, ad avviso dello scrivente, non del tutto lineare laddove, dopo aver ricondotto all’ambito di applicazione dell’art. 10, comma 4 del d. lgs. 150/2011 anche le ipotesi di impugnazione del provvedimento della BANCA D’ITALIA, esclude poi che tale ente sia litisconsorte necessario nel giudizio allorché abbia operato come mero gestore del servizio centralizzato e non sia quindi l’autore della lesione lamentata.
Venendo al merito al fine di valutare la legittimità della segnalazione effettuata dalla resistente è opportuno rammentare che, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, al quale questo Giudice aderisce, la segnalazione non è un fatto automatico ma implica invece una valutazione della banca in ordine all’insolvenza del cliente.
Il soggetto segnalante deve verificare sulla base degli elementi oggettivi a sua disposizione se il proprio debitore si trovi in una situazione che induca a ritenere la riscossione del credito a rischio, dovendo tenere conto degli elementi quali la liquidità del soggetto, la sua capacità produttiva e reddituale, la situazione di mercato in cui opera, l’ammontare complessivo del credito, fermo restando che non possono tali elementi integrare da soli i presupposti per la segnalazione laddove la concreta situazione del cliente non crei allarme quanto alla sua generale solvibilità.
Nel caso di specie, l’istituto bancario ha ritenuto di dovere inviare la segnalazione di sofferenza del credito nei confronti della società ricorrente nelle more del giudizio che questa aveva promosso al fine di ottenere la depurazione dal contratto di conto corrente n.xxxx e dalle aperture di credito ad esso collegate gli interessi debitori anche anatocistici addebitati nonché gli importi addebitati a titolo di c.m.s.
Dall’esame delle documentazione contrattuale prodotta in atti dalle parti si evince il fumus boni iuris della fondatezza della maggior parte dei rilievi di parte ricorrente atteso che:
– non vi è traccia di qualsivoglia pattuizione sulla debenza e sulla misura degli interessi ultralegali applicati al correntista nel corso del rapporto di conto corrente, concluso l’.112.1992, ed anzi la seconda risulta essere stata determinata mediante rinvio agli usi piazza;
– non risulta essere stata pattuita per iscritto la facoltà per l’istituto di credito di apportare unilateralmente modifiche al tasso di interesse nel corso del rapporto, secondo quanto previsto dall’art. 117 T.U.B;
– non vi è traccia di qualsivoglia pattuizione sulla debenza e sulla misura della commissione di massimo scoperto che è stata applicata in concreto nei diversi rapporti per cui è causa;
– solo dall’entrata in vigore della delibera Cicr del 9 febbraio 2000 è stata applicata la capitalizzazione trimestrale degli interessi con condizione di reciprocità.
Da ciò consegue anche che la ricorrente è creditrice nei confronti della resistente delle somme che le sono state addebitate per le suddette causali.
La rideterminazione del saldo dei rapporti per cui è causa alla quale ha proceduto il ct di parte ricorrente, anche sulla base delle indicazioni fornite da questo Giudice con l’ordinanza interlocutoria del 20 febbraio 2013 (depurazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori fino al febbraio 2000 e della c.m.s. e rideterminazione degli interessi debitori mediante applicazione del tasso previsto dall’art. 117 comma 7 del T.U.B.) risulta allo stato, e ferma restando la necessità di una ctu contabile bancaria nella fase di merito, più attendibile di quella alla quale ha proceduto parte convenuta poiché, a differenza di essa, tiene conto del tasso di interesse sopra indicato (allegazione che non è stata contestata dalla resistente).
A ben vedere anzi la difesa della convenuta ha addotto a giustificazione della propria scelta di discostarsi dalle indicazioni di questo Giudice un motivo inconsistente, ossia che il tempo concesso è stato insufficiente, ma tale giustificazione è pretestuosa se solo si considera che parte ricorrente è riuscita ad adeguarsi a quanto era stato richiesto alle parti.
Tale comportamento, parzialmente omissivo, di parte resistente allora ben può essere utilizzato come argomento di prova ai sensi dell’art.116, comma 2, cpc.
Non va nemmeno trascurato che dalla relazione del c.t. di parte che ALFA S.P.A ha prodotto e che non stata specificamente contestata dalla resistente risulta che la prima è creditrice della seconda per euro 290.721,54, tenendo conto anche delle competenze dei giroconti alla data del febbraio 2000, e tale importo è superiore al credito della convenuta a titolo di anticipo fatture (euro 58.600,00).
L’eccezione di prescrizione di tale credito sollevata dalla convenuta va decisamente disattesa in quanto si fonda su una norma, vale a dire l’art. 2, comma 61, del d.l.29.12.2010 n.225, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2011 n.10, che è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 78 del 2 aprile 2012.
Quanto al requisito del periculum in mora esso può ritenersi insito nel protrarsi dell’attuale segnalazione in centrale rischi nei confronti della ricorrente poiché essa è sicuramente idonea ad arrecare un pregiudizio alla reputazione commerciale di ALFA S.P.A. che è insuscettibile di essere interamente riparato attraverso l’equivalente economico che potrà essere determinato, inevitabilmente in via equitativa, nel prosieguo del giudizio di merito.
Il ricorso peraltro può trovare accoglimento solo parziale, ossia ordinando alla resistente di provvedere a segnalare il credito da essa vantato contro la ricorrente come contestato, in conformità alla disposizione della sezione III, pf. 9 della circolare sulla centrale rischi che prevede una specifica segnalazione per i crediti contestati e stabilisce in proposito che: “Si considera “contestato” qualsiasi rapporto oggetto di segnalazione (finanziamenti, garanzie, cessioni, etc) per il quale sia stata adita un’Autorità terza rispetto alle parti (Autorità giudiziaria, Garante della Privacy o altra preposta alla risoluzione stragiudiziale delle controversie con la clientela)”.
La liquidazione delle spese di questa fase va riservata all’esito del giudizio di merito.
PQM
Ordina alla resistente di comunicare alla Centrale Rischi presso la Banca d’Italia con riferimento alla segnalazione di credito in sofferenza asseritamente vantato nei confronti di ALFA SPA che detto credito è in contestazione e che allo stato attuale, sulla base degli accertamenti sommari svolti, risulta un credito della stessa ALFA SPA correntista.
Verona 18 marzo 2013
Il Giudice
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