ISSN 2385-1376
Testo massima
E’ affetto da nullità assoluta l’atto di impugnazione proposto nei confronti della controparte deceduta e notificato presso il procuratore di questa, ove il ricorrente sia venuto a conoscenza del decesso comunicato stragiudizialmente con lettera.
La Corte di Cassazione, con sentenza n.4183 del 20.02.2013 ha così ribadito il principio già espresso dalle sezioni Unite (sent. 11394/1996) secondo cui in caso di morte della parte, intervenuta dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado e prima della notifica della stessa, ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione, quest’ultima deve proporsi nei confronti dei soggetti che siano parti sostanziali interessate alla controversia e al processo.
Il giudizio di impugnazione deve essere comunque instaurato da e contro i soggetti effettivamente legittimati.
Nel caso di specie, dopo l’emissione della sentenza in appello, veniva comunicato, fuori dal processo, con lettera a parte soccombente, il decesso della parte vincitrice in appello e il successivo ricorso per cassazione veniva invece proposto nei confronti della parte deceduta con notifica dell’atto presso il suo avvocato difensore.
I principio espresso dagli ermellini è il seguente “E’ affetto da nullità assoluta l’atto di impugnazione proposto nei confronti della controparte deceduta e notificato presso il procuratore di questa, ove il ricorrente sia venuto a conoscenza del decesso e inoltre ne è preclusa ogni sanatoria ai sensi dell’art. 291 cpc, dal momento che si ha un’errata identificazione del soggetto passivo della “vocatio in jus” e il connesso vizio radicale della inesistenza della notificazione.”
In conclusione, ove la controparte abbia avuto formale comunicazione, anche se stragiudiziale, del decesso, l’atto di appello deve essere notificato agli eredi, non potendosi ritenere valida la notifica compiuta all’originario difensore della parte defunta.
Detto principio è conforme ai principi in precedenza espressi dalle Sezioni Unite (cfr. Cass. 11 marzo 2011 n. 5883, S.U. 16 dicembre 2009 n. 26279, Cass. 19 marzo 2009 n. 6701, tra molte altre, tutte sulla scia di S.U. 19 dicembre 1996 n. 11394).
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17449 del Ruolo Generale degli affari civili dell’anno 2006 proposto da:
BANCA;
– RICORRENTE –
contro
MEVIA, IN QUALITÀ DI FIGLIA ED EREDE DI TIZIO;
– CONTRORICORRENTE –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano, 2 sez. civile, n. 396 dell’11 gennaio – 18 febbraio 2006;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 27 agosto 1993 MEVIA (in qualità di figlia ed erede di TIZIO) conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Milano la società consortile BANCA e ne chiedeva la condanna al risarcimento del danno, per avere illegittimamente iscritto due ipoteche su immobili di sua proprietà, di cui chiedeva ordinarsi la cancellazione.
Il Tribunale adito, dopo la costituzione della convenuta che s’era dichiarata disposta a dare il suo assenso per la cancellazione delle ipoteche iscritte, rigettava la domanda con sentenza del 17 dicembre 2002, affermando che i danni lamentati dall’attore non erano imputabili alla convenuta.
Il gravame proposto dal TIZIO era accolto dalla Corte d’appello di Milano con sentenza del 18 febbraio 2006 che condannava la banca convenuta al risarcimento del danno liquidato in Euro 124.528,93, oltre agli interessi legali su tale somma progressivamente rivalutata secondo gli indici Istat di incremento del costo della vita anno per anno a decorrere dal 27 agosto 1993 alla data della decisione di secondo grado agli ulteriori interessi sul detto importo totale dalla pronuncia al saldo, ponendo a carico della appellata le spese di entrambi i gradi del giudizio.
La Corte ha affermato che il decreto del Presidente del Tribunale di Lodi del 20 marzo 1993 aveva ingiunto a TIZIO di pagare alla Banca popolare di Lodi L. 101.678.000, non detraendo da tale somma quella di L. 16.535.553 già pagata dal debitore, come riconosciuto dalla stessa banca con lettera del febbraio 1993.
In data 9 aprile 1993 la Banca aveva iscritto ipoteca su un immobile del TIZIO per L. 160.000.000, avendo un credito per sorta capitale di poco superiore alla metà di tale somma, in adempimento del quale il 5 maggio 1993 era stata corrisposta ad essa la somma di L. 90.000.000 “ad estinzione, a saldo e stralcio delle ragioni di credito” della BANCA nei confronti del proprietario del bene ipotecato, come da ricevuta a questo rimessa dall’istituto di credito con impegno di “rilasciare atto di assenso alla cancellazione delle ipoteche giudiziali iscritte a fronte del titolo esecutivo” ottenuto nonostante l’incasso della somma indicata con assegni circolari andati a buon fine, la Banca ha proceduto ad iscrivere nuova ipoteca in data 27 maggio 1993 per l’importo di L. 160.000.000 e, dopo l’inizio di questa azione risarcitoria, ha esibito, all’udienza del 9 gennaio 1994, il suo atto di assenso alla cancellazione delle ipoteche in corso di registrazione.
Il tribunale, ritenendo i danni subiti dal TIZIO “per la revoca o il congelamento degli affidamenti bancari da attribuirsi alla prima iscrizione ipotecaria e non alla (mancata n.d.r.) cancellazione della stessa e alla iscrizione della seconda ipoteca”, ha rigettato la domanda.
Sul gravame del TIZIO la domanda è stata accolta in appello.
La corte di merito ha in primo luogo accertato la eccedenza della somma per la quale si era iscritta la prima ipoteca (L. 160.000.000), rispetto alla misura del credito effettivo della Popolare (L. 85.000.000) e alla somma di cui al decreto ingiuntivo (L. 102.000.000) nel cui computo non si era tenuto conto del pagamento parziale del dovuto.
La Banca, avendo riconosciuto l’estinzione dell’intero credito che precede, perchè interamente adempiuto dal TIZIO in data 5 maggio 1993, da tale data era tenuta a “consentire” alla cancellazione della iscritta garanzia reale accessoria ad un credito venuto meno, mentre non ha dato tale assenso fino al gennaio 1994.
Per la Corte d’appello di Milano la condotta descritta è stata gravemente ingiusta, ma la colpa della BANCA, è divenuta macroscopica con l’accensione della seconda ipoteca su immobili dell’appellante per L. 160.000.000 in data 27 maggio 1993 che, per la stessa appellata, era stata frutto di un “mero errore materiale“.
Alla Banca era quindi imputabile non solo tale seconda iscrizione assolutamente priva di giustificazione, ma anche la mancata cancellazione della prima ipoteca dopo il 5 maggio 1993, che aveva determinato il congelamento di varie aperture di credito in favore del B. da parte della Cassa di risparmio di (omissis), della Banca di (omissis, della Banca (omissis), come era emerso anche dalla assunta prova testimoniale.
Ad avviso della Corte d’appello, era chiaro l’illecito comportamento della banca consistito nel mancato tempestivo consenso alla cancellazione di ipoteca e nell’iscrizione della seconda garanzia reale immobiliare di cui sopra.
Correttamente il C.T.U. nominato in primo grado ha liquidato i danni subiti dal TIZIO in L. 241.121.623, perdite connesse alla necessità di finanziare l’attività dell’attore durante la temporanea sospensione delle linee di credito bancarie sopra indicate, che ha provocato il grave danno per il controricorrente derivato della vendita di un suo immobile a prezzo minore del valore di mercato, per la urgente necessità di procurarsi la liquidità necessaria per non interrompere il leasing immobiliare a causa di tale situazione con conseguenti perdite certamente da ritenere provate.
La Corte d’appello di Milano ha quindi condannato la Banca a risarcire il danno, liquidato in Euro 124.528,93, oltre agli interessi legali su tale somma progressivamente rivalutata di anno in anno in base agli indici ISTAT del costo della vita dal 27 agosto 1993 alla data della decisione e a quelli su detto importo totale dalla data che precede al saldo, oltre alle spese dell’intero giudizio.
Per la cassazione di tale sentenza del 18 febbraio 2006, la BANCA, divenuta nelle more Banca (omissis) propone ricorso di tre motivi, notificato il 26 – 30 maggio 2006 al difensore domiciliatario di TIZIO, già deceduto in (OMISSIS), cui replica con tempestivo controricorso l’unica figlia ed erede del defunto MEVIA, eccependo la inammissibilità della avversa impugnazione proposta contro un soggetto non più in vita, invece che nei confronti degli eredi di lui, pur essendo stato comunicato alla parte ricorrente il decesso della parte vincitrice in appello, con lettere del 5 e 6 maggio 2006.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Prima di ogni altra questione deve esaminarsi la eccezione della controricorrente d’inammissibilità del ricorso, per essere stato notificato il 26 – 30 maggio 2006, a TIZIO presso il difensore domiciliatario in appello, dopo che il decesso di quest’ultimo era stato comunicato al difensore dell’appellante con lettere del 5 -6 maggio dello stesso anno.
Come affermato da più pronunce di questa Corte:
“E’ affetto da nullità assoluta l’atto di impugnazione proposto nei confronti della controparte deceduta e notificato presso il procuratore di questa, ove il ricorrente sia venuto a conoscenza del decesso e inoltre ne è preclusa ogni sanatoria ai sensi dell’art. 291 c.p.c., dal momento che si ha un’errata identificazione del soggetto passivo della “vocatio in jus” e il connesso vizio radicale della inesistenza della notificazione” (Cass. 11 marzo 2011 n. 5883, S.U. 16 dicembre 2009 n. 26279, Cass. 19 marzo 2009 n. 6701, tra molte altre, tutte sulla scia di S.U. 19 dicembre 1996 n. 11394).
Il ricorso deve quindi dichiararsi inammissibile e le spese del giudizio di cassazione devono porsi a carico della ricorrente nella misura che si liquida in dispositivo ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140, da applicare anche per le prestazioni professionali eseguite nel vigore delle previgenti tariffe non più applicabili, come chiarito da S.U. 12 ottobre 2012 n. 17405.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 4.500,00 a titolo di compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
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