ISSN 2385-1376
Testo massima
Gli atti dispositivi del fideiussore successivi all’apertura di credito e alla prestazione della fideiussione sono soggetti ad azione revocatoria se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza di arrecare danno al creditore e al fattore oggettivo dell’avvenuto accreditamento.
Lo ha stabilito la Cassazione con ordinanza n. 22878 del 12/12/2012, chiarendo così in maniera definitiva che il fondo patrimoniale costituito per mettere a riparo i propri beni dalla eventuale aggressione dei credito è inefficace nei confronti dei creditori.
Nel caso di specie un istituto di credito chiedeva che venisse dichiarata l’inefficacia dell’atto con il quale due coniugi avevano costituito in fondo patrimoniale un immobile di loro proprietà.
Rigettata la domanda nel primo grado di giudizio i Giudici di merito, investiti della questione, riformavano la decisione dichiarando l’inefficacia del fondo patrimoniale.
Proposto ricorso in Cassazione i coniugi deducevano l’erroneità della sentenza di secondo grado, nella parte in cui la Corte d’appello aveva affermato che l’atto dispositivo di costituzione del fondo posto successivamente in essere era assoggettabile a revocatoria, “in base al solo requisito della consapevolezza di arrecare danno al creditore“.
Al contrario, il giudice di merito avrebbe dovuto accertare il requisito della “dolosa preordinazione” del danno.
La Corte ha rigettato il ricorso chiarendo che l’azione revocatoria ordinaria presuppone, per la sua esperibilità, la sola esistenza di un debito e non, anche, la concreta esigibilità dello stesso.
In particolare poi, l’atto di costituzione del fondo patrimoniale, anche quando è posto in essere dagli stessi coniugi, rappresenta negozio a titolo gratuito che può essere dichiarato inefficace nei confronti del creditore, qualora ricorrano le condizioni di cui all’art.2901, n. 1, cc.
In tale prospettiva ha affermato che, prestata fideiussione, in relazione alle future obbligazioni del debitore principale connesse a un’apertura di credito, gli atti dispositivi del fideiussore, successivi all’apertura di credito e alla prestazione della fideiussione, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ex art. 2901 cc in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (scientia damni) e al fattore oggettivo dell’avvenuto accreditamento.
In conclusione la Corte territoriale, rigettando il ricorso ha correttamente accertato che gli ingenti crediti azionati erano anteriori alla costituzione del fondo ed ha altresì ritenuto “inesistente” il denunciato vizio motivazionale, precisando che la conoscenza del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie è oggetto di giudizio devoluto al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, ove, come nella fattispecie, sia congruamente motivato.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11693/2011 proposto da:
S.O.;
RICORRENTE
contro
BANCA;
CONTRORICORRENTE
contro
ALFA SPA;
CONTRORICORRENTE
e contro
BANCA 2, BANCA 3, BANCA 4, BANCA 5;
INTIMATE
avverso la sentenza n. 2358/2010 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA del 19/04/2010, depositata il 25/11/2010;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE
E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti, “Il relatore, cons. Adelaide Amendola esaminati gli atti, osserva:
1. Con citazione notificata il 3 marzo 1993 Banca Intesa s.p.a.
convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Vicenza I. B., S.O. e I.M.G. e, premesso di essere creditrice, nei confronti dei primi, della somma di lire 609.451.140, oltre accessori, in forza di decreto ingiuntivo del 28 giugno 1990, chiese, per quanto qui interessa, che venisse dichiarato inefficace nei suoi confronti, l’atto in data 23 maggio 1990, con il quale i coniugi I.B. e S. O. avevano costituito in fondo patrimoniale un immobile sito in (OMISSIS).
Nella causa così instaurata, intervennero BANCA BANCA2, BANCA 3, BANCA 5., anch’esse agendo in revocatoria.
I convenuti, costituitisi in giudizio, contestarono le avverse pretese.
Con sentenza del 25 ottobre 2006 il giudice adito rigettò la domanda.
Proposto gravame da BANCA 3, da BANCA e da C. F. s.r.l., cessionaria del credito controverso, la Corte d’appello di Venezia, in data 14 aprile 2011, in riforma della decisione impugnata, ha dichiarato inefficace, nei confronti delle impugnanti l’atto in data 23 maggio 1990, di costituzione del fondo patrimoniale.
2. Avverso detta pronuncia ricorre per cassazione S. O., formulando due motivi e notificando l’atto a BANCA, a C. F. s.r.l., a BANCA 3, a BANCA 4, BANCA 5., a BANCA 4..
Resistono con due distinti controricorsi BANCA e C.F. s.r.l..
3. Il ricorso è soggetto, in ragione della data della sentenza impugnata, successiva al 4 luglio 2009, alla disciplina dettata dall’art. 360 bis, inserito dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. a). Esso può pertanto essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ. per esservi rigettato.
4. Nei due motivi di ricorso, denunciando vizi motivazionali in ordine alla questione della soggezione a revocatoria ordinaria dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale successivo all’apertura di credito e alla prestazione di garanzia, nonchè violazione dell’art.2901 cod. civ., ex art. 360 cpc, nn.3 e 5, la ricorrente critica l’assunto del giudice di merito secondo cui, prestata la fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore connesse a un’apertura di credito, l’atto dispositivo di costituzione del fondo patrimoniale posto successivamente in essere sarebbe soggetto a revocatoria ex art.2901 cc, n.1, in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza di arrecare danno al creditore. Sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, avrebbe dovuto essere verificata la sussistenza del requisite della dolosa preordinazione in danno del creditore.
Aggiunge che il giudice di merito avrebbe fatto malgoverno del materiale probatorio acquisito, non avendo considerato nè l’esigenza che aveva indotto i disponenti alla costituzione del fondo la necessità di salvaguardare la figlia I.C., gravemente disabile – nè la consistenza, per vero notevole, del loro patrimonio.
5. Le censure non hanno pregio per le ragioni che seguono.
E pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che l’atto di costituzione del fondo patrimoniale, anche quando è posto in essere dagli stessi coniugi, costituisce negozio a titolo gratuito che può essere dichiarato inefficace nei confronti del creditore, qualora ricorrano le condizioni di cui all’art. 2901 c.c., n. 1 (confr. Cass. civ. 18 ottobre 2011, n. 21492; Cass. civ. 7 ottobre 2008, n. 24757).
A ciò aggiungasi che l’azione revocatoria ordinaria presuppone, per la sua esperibilità, la sola esistenza di un debito, e non anche la concreta esigibilità dello stesso. In tale prospettiva è stato quindi affermato che, prestata fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore principale connesse a un’apertura di credito, gli atti dispositivi del fideiussore successivi all’apertura di credito e alla prestazione della fideiussione, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell’art.2901 cc, n. 1, prima parte, in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (c.d. scientia damni) e al fattore oggettivo dell’avvenuto accreditamento. Ciò in quanto l’insorgenza del credito va apprezzata con riferimento al momento dell’accreditamento e non a quello, eventualmente successivo, dell’effettivo prelievo da parte del debitore principale della somma messa a sua disposizione (confr. Cass. civ. 15 febbraio 2011, n. 3676; Cass. civ. 29 gennaio 2010, n. 2066; Cass. civ. 9 aprile 2009, n. 8680).
6. Venendo al caso di specie, il giudice di merito ha accertato che i crediti azionati dalle appellanti traevano origine da fideiussioni prestate dai coniugi I., il 14 novembre 1986, in favore di B.B. s.r.l., e il 15 marzo 1990, in favore di ISP; che già il 15 giugno dello stesso anno era intervenuta la revoca degli affidamenti;
che medio tempore, erano maturati debiti per quasi quattro miliardi di lire ed erano stati chiesti ed emessi svariati decreti ingiuntivi.
In tale contesto non par dubbio che l’anteriorità del credito vantato dalle appellanti, rispetto all’atto di costituzione del fondo patrimoniale, intervenuto in data 23 maggio 1990, è stata correttamente affermata dalla Corte territoriale.
7. Infine le argomentazioni volte a contestare il positivo apprezzamento, da parte del decidente, dei requisiti propri dell’azione revocatoria, attraverso la surrettizia evocazione di violazioni di legge e di vizi motivazionali, in realtà inesistenti, mirano a sollecitare una rivalutazione dei fatti e delle prove preclusa alla Corte Regolatrice. Valga al riguardo considerare che sia l’eventus damni, che la conoscenza del pregiudizio che l’atto arreca alle ragioni del creditore sono oggetto di un giudizio devoluto al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità ove, come nella fattispecie, congruamente motivato (confr. Cass. civ. 17 agosto 2011, n. 17327; Cass. civ. 7 ottobre 2008, n. 24757).
8. La manifesta infondatezza del ricorso esime dall’ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti di I. B., litisconsorte necessario (confr. Cass. civ. 27 gennaio 2012, n. 1242).
E invero, il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 cod. proc. civ.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, comportamenti tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio e delle garanzie difensive dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a esplicare i suoi effetti. In tale prospettiva è stato quindi affermato che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato, appare superflua, pur potendone sussistere i presupposti, la fissazione del termine ex art.331 cpc per l’integrazione del contraddittorio, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (confr. Cass. civ. 18 ottobre 2011, n. 21494; Cass. civ. 8 febbraio 2010, n. 2723)”.
Ritiene il collegio di dovere fare proprio il contenuto della sopra trascritta relazione, alla quale la ricorrente non ha del resto neppure replicato.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Segue la condanna dell’impugnante al pagamento delle spese di giudizio.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 12.200 (di cui Euro 200 per esborsi), oltre IVA e CPA, come per legge, in favore della BANCA, e in Euro 7.200 (di cui 200 per esborsi), oltre IVA e CPA, come per legge, in favore di C.F. s.r.l..
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Numero Protocolo Interno : 39/2012