ISSN 2385-1376
Testo massima
Con sentenza n.11066 del 02.07.2012 la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha espresso il principio in base al quale la sentenza che contenga la condanna al pagamento di un credito non specificamente determinato, ma comunque determinabile attraverso dati provenienti da fonti normative e con semplici calcoli aritmetici, costituisce valido titolo esecutivo ex art.474 cpc.
La questione posta all’attenzione della Corte è stata quella di stabilire se, per intendere il significato e l’estensione dell’accertamento compiuto dal giudice con la sentenza sia possibile integrare il pensiero del giudice con quanto risulta dagli atti delle parti, dai documenti da esse prodotti, dalle relazioni degli ausiliari del giudice.
A proposito delle sentenze, dei provvedimenti ed atti del giudice cui la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva, l’idoneità a fondare la relativa azione dipende dalla valutazione che l’ordinamento esprime sull’idoneità dei relativi procedimenti ad accertare i diritti vantati nel processo.
Perchè la parte sulla base di tali provvedimenti possa accedere all’azione esecutiva, l’art.474 cpc richiede che il diritto accertato sia esattamente individuato. Ciò, tuttavia, non implica un’esigenza di compiutezza del documento giudiziario, la cui mancanza impedisca di accedere agli atti del processo in cui il provvedimento è formato, data la funzione propria di quel documento, che è di esprimere il giudizio che sulla base appunto di quegli atti è destinato a doversi formare all’esito della relativa fase del procedimento.
La Corte precisa inoltre che, non è sulla base del documento titolo esecutivo che inizia l’esecuzione forzata, ma sulla base di questo e del precetto, il quale a sua volta deve contenere la specificazione che della prestazione della parte obbligata vi è fatta dalla parte istante, al fine di consentirne lo spontaneo adempimento, nel termine dilatorio a tale scopo previsto dalla legge.
Se dunque si considera la precisa individuazione dell’obbligo dichiarato dal giudice non come un requisito formale del provvedimento giudiziario, ma come ciò che il giudice di merito deve essere stato messo in grado di accertare ed è dimostrabile abbia accertato, quando si integri ciò che nel provvedimento è dichiarato, con ciò che gli è stato chiesto e vi appare discusso, si ottiene il sicuro vantaggio di costringere le parti del rapporto controverso al parlare chiaro:
In conclusione la Corte afferma che l’accertamento contenuto nel provvedimento giudiziale addotto come titolo esecutivo, può essere integrato, attraverso l’apporto probatorio proveniente dalla parte istante, da fonti normative, ovvero con semplici calcoli aritmetici effettuati sulla scorta di dati desumibili, da atti e documenti prodotti nel giudizio e non contestati dall’altra parte.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 16802/2009 proposto da:
MEVIO;
RICORRENTE
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE;
RESISTENTE CON PROCURA
avverso la sentenza n. 958/2008 del TRIBUNALE di REGGIO CALABRIA, depositata il 03/07/2008;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. MEVIO ha intimato precetto all’ INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE – per il pagamento della somma di 367,88 Euro – dei quali 104,63 quale credito nascente dalla sentenza fatta valere come titolo esecutivo e 263,05 per spese ed onorari pertinenti allo stesso atto di precetto.
L’INPS ha reagito con un’opposizione all’esecuzione, che il Tribunale ha accolto con sentenza del 3.7.2008.
MEVIO ne ha chiesto la cassazione con ricorso notificato il 2.7.2009 nel quale ha dedotto due motivi, corredati da quesito.
2. Il Tribunale ha avvertito che la ragione per cui l’opposizione veniva accolta non la si poteva considerare implicata dai motivi per cui l’INPS l’aveva proposta.
Che erano stati motivi con cui s’era dedotto che la somma indicata nel titolo esecutivo era stata pagata e che quella precettata per interessi legali era di gran lunga superiore a quella spettante in forza di titolo esecutivo di condanna generica.
Ha tuttavia ritenuto che il giudice dell’opposizione all’esecuzione ha il potere di rilevare di ufficio che nella pronunzia giudiziale fatta valere come titolo esecutivo mancano non solo l’esatta determinazione dell’oggetto del credito e così dell’ammontare della somma di denaro dovuta, ma anche gli elementi di fatto utili a determinarlo.
3. La sezione terza della Corte, cui il ricorso è stato assegnato per la decisione, ha rilevato l’esistenza di un contrasto nella giurisprudenza della Corte e con ordinanza del 14.12.2011 ne ha chiesto la soluzione da parte delle sezioni unite.
In applicazione dell’art.374 cpc, comma 2, è stato disposto in tal senso.
4. La ricorrente ha depositato memoria.
Il ricorso è stato discusso in udienza pubblica.
Il pubblico ministero ha concluso per il suo accoglimento.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La cassazione della sentenza, con il ricorso, viene chiesta per due motivi, che sono corredati da quesiti.
1.1. Con il PRIMO, la cassazione è chiesta per i vizi di violazione e falsa applicazione di norme sul procedimento (art.360 cpc, n.4, in relazione all’art.112 cpc) e difetto di motivazione (art.360 cpc, n.5).
Alla Corte è posto il seguente quesito: – se incorre nel vizio di ultrapetizione e conseguente violazione degli artt.99 e 112 cpc, il giudice dell’opposizione all’esecuzione che dichiari d’ufficio la nullità del precetto per genericità del titolo esecutivo, ancorchè l’opponente non abbia eccepito come motivo di opposizione l’inidoneità della sentenza azionata a costituire titolo esecutivo e non essendosi instaurato quindi sulla questione il contraddicono tra le parti, con conseguente lesione del diritto di difesa.
1.2. Con il SECONDO MOTIVO la cassazione è chiesta per il vizio di violazione di norma di diritto (art.360 n.3 in relazione all’art.474 cpc).
Alla Corte è posto il seguente quesito: se, ai sensi dell’art.474 cpc, costituisce o meno valido titolo esecutivo la sentenza che contenga la condanna al pagamento di un credito non specificamente determinato, ma comunque determinabile attraverso dati provenienti da fonti normative e con semplici calcoli aritmetici effettuati sulla scorta di dati desumibili da atti e documenti prodotti nel giudizio e non contestati dall’altra parte.
1.3. Gli argomenti svolti dalla ricorrente sono stati in sintesi i seguenti.
L’INPS aveva opposto un’eccezione di estinzione del credito per avvenuto pagamento, senza però dare la prova d’aver pagato, prima della intimazione del precetto, la somma in questo indicata.
Agli atti del giudizio in cui era stata pronunciata la sentenza fatta valere come titolo esecutivo erano gli elementi necessari e sufficienti per stabilire la somma per cui era stata pronunciata condanna.
La sentenza riguardava un credito per interessi su interessi scaduti su somme dovute a titolo di adeguamento alla sopravvenuta svalutazione monetaria dell’indennità di disoccupazione, reclamata per gli anni dal 1988 al 1992 sulla base della sentenza 27 aprile 1988 n. 497 della Corte costituzionale.
Lo sviluppo del calcolo, come eseguito nel precetto, avrebbe potuto essere verificato, se il giudice avesse attivato il contraddittorio tra le parti, a partire dal numero delle giornate indennizzate, quali risultanti dal prospetto contributivo allegato agli atti del giudizio di primo grado, in cui era stata resa la sentenza fatta valere come titolo esecutivo, che aveva esteso la condanna agli interessi sugli interessi scaduti.
2. Dalla sentenza della corte d’appello di Reggio Calabria – che costituisce il titolo esecutivo, in base al quale è stato intimato il precetto – risulta che l’attrice aveva agito in primo grado contro l’INPS per ottenerne la condanna a pagare le somme costituenti l’adeguamento dell’indennità di disoccupazione agricola corrisposta nella misura di lire 800 giornaliere, con gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sulle stesse, dalla domanda amministrativa all’effettivo soddisfo, ed ancora gli ulteriori interessi legali ex art.1283 cc, dalla domanda giudiziale al soddisfo.
La domanda dal giudice di primo grado era stata accolta, con la specificazione di riguardare gli anni 1989, 1991 e 1992 e di dovere gli interessi legali e la rivalutazione monetaria decorrere dal 120 giorno successivo alla data di inoltro della domanda amministrativa e fino al saldo.
La sentenza era impugnata dall’attrice, per lamentare che non era stata esaminata la domanda di condanna al pagamento degli interessi anatocistici.
Il motivo di appello era accolto nei seguenti termini: “condanna l’Inps al pagamento… anche degli interessi anatocistici (ex art.1283 cc) dalla domanda giudiziale al saldo, sul solo importo costituito dagli interessi legali, già scaduti alla data della domanda giudiziale, riconosciuti dal primo giudice sulle somme dovute a titolo di adeguamento dell’indennità di disoccupazione agricola”.
Nel giudicare fondato il motivo di impugnazione, la corte d’appello osservava: “la domanda di pagamento dei suddetti interessi veniva effettivamente avanzata con l’atto introduttivo del giudizio ma il primo giudice nulla statuiva in ordine agli stessi, emettendo, invece, sentenza generica di condanna dell’Inps al pagamento delle somme spettanti quale sorte capitale (cioè da determinarsi evidentemente in separata sede come rivalutazione di quelle già pagate a titolo di disoccupazione agricola), con gli interessi legali e rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT dal 121 giorno successivo alla data di inoltro della domanda amministrativa di pagamento e fino al saldo..”.
3. La prima questione che i due motivi sottopongono alla Corte è se il giudice dell’opposizione all’esecuzione, pur quando l’opposizione sia proposta per una diversa ragione, abbia il potere di verificare se il diritto, corrispondente all’obbligo di cui con il precetto viene intimato l’adempimento, risulti dal titolo esecutivo.
Per rispondere a questo interrogativo è necessario affrontarne un altro che lo precede nell’ordine logico.
4. Si tratta infatti di stabilire se, per intendere il significato e l’estensione dell’accertamento compiuto dal giudice con la sentenza ed in genere per decidere della sua autorità, sia dato integrare il pensiero del giudice consegnato alla sentenza con quanto risulta dagli atti delle parti, dai documenti da esse prodotti, dalle relazioni degli ausiliari del giudice, se ne siano stati introdotti nel processo in cui la sentenza che ha definito quel giudizio è stata pronunziata.
5. Su questo punto, quanto all’efficacia propria del giudicato, anche esterno, la risposta della giurisprudenza della Corte la si deve considerare attestata in modo consolidato su una posizione affermativa, almeno in riferimento agli atti delle parti.
E’ pacifico che, non al fine di sovvertire un significato della sentenza chiaro alla luce del dispositivo e della relativa motivazione, ma per superare le incertezze lasciate da questi aspetti del documento sentenza, rientra nei poteri del giudice risalire alla formulazione delle domande delle parti e, secondo alcune tra le decisioni che subito si riportano, anche agli atti del processo in cui la sentenza è stata pronunziata (Cass. 26 giugno 1991 n.7186; 10 giugno 1995 n.6559; 26 luglio 1996 n.6751; 27 aprile 1996 n.3916; 11 marzo 2004 n.4983; 23 novembre 2005 n.24594; 7 febbraio 2007 n.2721; 18 marzo 2010 n.6597; 20 luglio 2011 n.15902).
5.1. L’orientamento seguito dalla giurisprudenza della Corte è peraltro nel senso che l’operazione intesa alla ricostruzione del contenuto del giudicato, segue bensì le regole dell’interpretazione della legge – ed a tale stregua va a sua volta giudicata – quante volte si tratta di stabilire se essa faccia stato circa l’oggetto di altra lite (SU 25 maggio 2001 n.226; 16 giugno 2006 n.13196; 28 novembre 2007 n.24664); ma la stessa operazione si risolve invece in un giudizio di fatto ed a tale stregua il suo risultato è sindacabile in sede di ricorso per cassazione, tutte le volte che del contenuto della precedente decisione si sia discusso in sede di esecuzione forzata e perciò nel giudizio di opposizione all’esecuzione (Cass. 21 novembre 2001 n.14727; 25 marzo 2003 n.4382; 5 settembre 2006 n.19057; 9 agosto 2007 n.17482; 6 luglio 2010 n.15852; 14 gennaio 2011 n.760; 10 novembre 2011 n.23471).
5.2. Tuttavia, non è da tale diversa modalità del suo successivo sindacato in sede di legittimità, che nella giurisprudenza della Corte sono fatte discendere conseguenze sul piano dei poteri di cui dispone il giudice della opposizione all’esecuzione.
E ciò sia quanto alla ricostruzione della portata del comando, che alla pretesa, affidata al precetto, che secondo la parte istante scaturirebbe dal titolo esecutivo.
5.3. Così, nel campo dell’esecuzione forzata per obblighi di fare o non fare, si rinvengono nella giurisprudenza della Corte decisioni che, quando si tratta di superare incertezze lasciate dalla formulazione del provvedimento del giudice fatto valere come titolo esecutivo, affermano che tali incertezze si prestano ad essere superate attraverso gli atti del processo in cui la decisione da eseguire è stata pronunziata e tra questi le relazioni di consulenza (Cass. 14 marzo 2003 n. 3786; 22 febbraio 2008 n. 4651).
5.4. Nel campo dell’esecuzione forzata per espropriazione un indirizzo della giurisprudenza della Corte, presente in particolare nella sezione lavoro, nega invece valore di titolo esecutivo alla decisione di condanna, quando il documento cui questa è consegnata non contiene gli elementi sufficienti a rendere liquido il credito con calcolo puramente matematico, e così nega che si possa fare riferimento ad elementi esterni, non desumibili dal titolo, pur se presenti nel processo che ha portato alla formulazione della condanna (Cass. 21 novembre 2006 n. 24649; 23 aprile 2009 n. 9693; 28 aprile 2010 n 10164).
La via da battere perchè il creditore sia munito di titolo è indicata nell’accesso alla procedura per decreto d’ingiunzione, da chiedere in base ai documenti che la parte istante pone a base della liquidazione del credito (Cass. 5 febbraio 2011 n. 2516).
Al predetto orientamento se ne contrappone altro – seguito in prevalenza dalla sezione terza, ma presente anche nella sezione lavoro – che consente l’integrazione extratestuale, a condizione che i dati di riferimento siano stati acquisiti al processo in cui il titolo giudiziale si è formato (Cass. 8 maggio 2003 n. 6983; 29 novembre 2004 n. 22427; 15 marzo 2006 n. 5683; 17 aprile 2009 n. 9245).
6. La Corte ritiene che all’interrogativo descritto al punto 4 si debba dare risposta affermativa.
Questo per le ragioni che seguono.
7. La soluzione che si propone di abbandonare postula una identificazione del titolo esecutivo col documento in cui è consacrato l’obbligo da eseguire e da tale identificazione fa discendere il divieto di interpretazione extratestuale.
Ma, a proposito delle sentenze e dei provvedimenti ed atti del giudice cui la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva, l’idoneità a fondare la relativa azione dipende dalla valutazione che l’ordinamento esprime circa l’altrettale idoneità dei relativi procedimenti ad accertare i diritti vantati nel processo, idoneità che a sua volta deriva dalla cognizione a loro riguardo da svolgersi nelle pertinenti forme del contraddittorio.
Perchè la parte sulla base di tali provvedimenti possa accedere all’azione esecutiva, l’art.474 cpc, richiede bensì che il diritto accertato sia esattamente individuato e ricorrano le condizioni perchè ne possa essere preteso l’adempimento.
E però ciò non implica per sè un’esigenza di compiutezza del documento giudiziario, la cui mancanza impedisca di accedere agli atti del processo in cui il provvedimento è formato, data la funzione propria di quel documento, che è di esprimere il giudizio che sulla base appunto di quegli atti è destinato a doversi formare all’esito della relativa fase del procedimento.
Non si tratta di dare spazio ad un accertamento che è mancato, ma di precisarne l’oggetto.
7.1. Per altro verso, non è sulla base del documento titolo esecutivo che inizia l’esecuzione forzata, ma sulla base di questo e del precetto (art.479 cpc, comma 1), il quale a sua volta deve contenere la specificazione che della prestazione della parte obbligata vi è fatta dalla parte istante (art. 480 c.p.c., comma 1, e art. 605 c.p.c., comma 1), al fine di consentirne lo spontaneo adempimento (art, 494 cod. proc. civ.), nel termine dilatorio a tale scopo previsto dalla legge.
Inoltre, se nell’esecuzione forzata per espropriazione o per consegna e rilascio, è l’ufficiale giudiziario a tradurre direttamente in atto la pretesa esecutiva una volta mancato l’adempimento spontaneo – ma lo stesso non accade nell’espropriazione forzata per obblighi di fare o non fare (art. 612 c.p.c., comma 1) – tuttavia sull’inizio delle operazioni esecutive può essere attivato il sindacato del giudice, attraverso le opposizioni che precedono tale inizio e con le quali da un lato è possibile attaccare il precetto, se la prestazione che vi è stata richiesta non si presenti formulata con la specificità necessaria a mostrarne la derivazione dal titolo esecutivo (art. 617 c.p.c., comma 1), dall’altro è possibile sollevare contestazioni a riguardo della stessa specificità dell’oggetto della condanna espressa nel titolo (art. 615 c.p.c., comma 1), si da poter ottenere che lo stesso inizio dell’esecuzione sia sospeso (art. 618 c.p.c., comma 2, e art. 615 c.p.c., comma 1).
7.2. Ne risulta che il superamento dell’incertezza circa l’esatta estensione dell’obbligo dichiarato nella sentenza e negli altri tipi di provvedimenti cui la legge ricollega efficacia esecutiva, incertezza che del resto può essere relativa, tale cioè da non estendersi al suo intero aspetto oggettivo, si presta ad essere attinto, prima dell’inizio dell’esecuzione, attraverso il rimedio delle opposizioni che la precedono, ma anche, a processo esecutivo iniziato, attraverso la sollecitazione del potere che pur è riconosciuto al giudice dell’esecuzione in tema di controllo della esistenza del titolo esecutivo.
7.3. Se dunque si considera la precisa individuazione dell’obbligo dichiarato dal giudice non come un requisito formale del provvedimento giudiziario, ma come ciò che il giudice di merito deve essere stato messo in grado di accertare ed è dimostrabile abbia accertato, quando si integri ciò che nel provvedimento è dichiarato, con ciò che gli è stato chiesto e vi appare discusso, si ottiene il sicuro vantaggio di costringere le parti del rapporto controverso al parlare chiaro: il creditore procedente indicando con precisione nel precetto la prestazione richiesta ed i suoi perchè;
il debitore con altrettanta precisione contestando ciò che ritenga non dovuto, perchè negato o non accertato, ponendolo a base delle opposizioni che possono precedere o seguire l’inizio dell’esecuzione od affidandole al giudice dell’esecuzione ai fini del suo controllo sull’estensione del titolo; il creditore dal canto suo proponendo domanda riconvenzionale a fini di accertamento di quanto possa essere ritenuto già non accertato o controbattendo le allegazioni interne al processo esecutivo fatte dal debitore.
Nella misura del possibile, ma anche del dovuto in termini di efficacia della funzione giurisdizionale, ne sarà resa possibile la effettiva definizione della controversia ed evitato di dare spazio a comportamenti solo dilatori.
8. La risposta così data all’interrogativo presentato al punto 4 consente di attingere immediatamente la soluzione di questo caso.
La possibilità che l’accertamento contenuto nel provvedimento giudiziale addotto come titolo esecutivo, al di là della formulazione di questo, potesse risultare integrato attraverso l’apporto probatorio proveniente dalla parte istante; in una situazione processuale in cui la contestazione che ne fosse stata fatta dal debitore veniva ritenuta dallo stesso giudice generica al punto da essere considerata affatto mancata; impediva al giudice di dichiarare di ufficio che al credito accertato nel provvedimento giurisdizionale fatto valere come titolo esecutivo mancavano i tratti richiesti dall’art. 474 cpc, senza che le parti fossero state invitate a discutere la questione ed integrare le proprie difese anche sul piano probatorio.
Il primo motivo è dunque fondato.
Lo è parimenti il secondo nei suoi aspetti di principio, la discussione sulla rilevanza delle fonti di integrazione dell’accertamento contenuto nel titolo restando riservata al giudice di rinvio con specifico riguardo a quelle che in concreto saranno fatte valere.
9. Il ricorso è accolto, la sentenza è cassata con rinvio al tribunale di Reggio Calabria in diversa composizione, cui si rimette di decidere anche sulle spese del presente grado di giudizio
PQM
La Corte, a sezioni unite, pronunciando sul ricorso lo accoglie, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa anche per le spese al tribunale di Reggio Calabria in diversa composizione.
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Numero Protocolo Interno : 4/2012