ISSN 2385-1376
Testo massima
La Corte di Appello di Roma, con la sentenza in rassegna (20/09/2012) si è pronunciata in materia di fondo patrimoniale costituito dai coniugi, precisando che anche il fideiussore può agire a mezzo revocatoria contro il detto fondo patrimoniale.
Nel caso di specie un fideiussore, nonché socio di una società amministrata di fatto da uno di due coniugi, dopo aver ricevuto un ingiunzione di pagamento quale fideiussore della società (e soddisfatto per l’intero il credito vantato dalla Banca), aveva adito il Tribunale per sentir dichiarare inefficace nei suoi confronti il fondo patrimoniale costituito tra i due coniugi, fondo nel quale questi ultimi avevano fatto confluire tutti i beni della famiglia.
Si costituivano in giudizio i coniugi contestando la ricostruzione effettuata da parte attorea sottolineando che il fondo patrimoniale era intervenuto quando la società non aveva alcun problema economico, ragione per la quale il fideiussore non aveva alcun titolo per agire nei loro confronti.
Accolta in primo grado la domanda, il Tribunale aveva affermato che l’azione revocatoria ordinaria può essere utilmente esperita anche in relazione a crediti non scaduti, condizionati ovvero soltanto eventuali
e che, pertanto, nel caso di specie, tale presupposto certamente sussisteva.
La Corte di Appello confermava la decisione del giudice di primo grado, e dopo aver brevemente enunciato i principi in materia di revocatoria a mente dei quali: -legittimato a proporre l’actio pauliana è il creditore quand’anche il suo credito non sia certo liuqidio ed esigibile; per il suo fruttuoso esperimento occerre: a) UN ATTO DI DISPOSIZIONE PATRIMONIALE; b) IL CD. EVENTUS DAMNI e c) LA CD. SCIENTIA DAMNI ha precisato che:
“l’atto di costituzione del fondo patrimoniale, anche quando é posto in essere dagli stessi coniugi, costituisce un atto a titolo gratuito che può essere dichiarato inefficace nei confronti del creditore, qualora ricorrano le condizioni di cui al n. 1 dell’art. 2901 cod. civ.. Nell’ambito della nozione lata di credito accolta dalla norma citata, non limitata in termini di certezza, liquidità ed esigibilità, ma estesa fino a comprendere le legittime ragioni o aspettative di credito – in coerenza con la funzione propria dell’azione revocatoria, la quale non persegue scopi specificamente restitutori, bensì mira a conservare la garanzia generica sul patrimonio del debitore in favore di tutti i creditori – deve considerarsi ricompresa la fideiussione“.
In conclusione, la Corte ha rigettato il ricorso sostenendo come il giudice di primo grado aveva correttamente desunto, dagli elementi proprosti, non solo la consapevolezza del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore ma anche della dolosa preordinazione dell’atto in frode a quest’ultimo.
L’azione revocatoria può essere proposta da qualunque soggetto che vanti un interesse potenziale anche per un credito soltanto eventuale.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D’APPELLO DI ROMA
SECONDA SEZIONE CIVILE
riunito in camera di consiglio, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello,
Tra
R.L. e D.F. (coniugi);
APPELLANTI
E
G.P. (fideuissore);
APPELLAT
O
Avente ad oggetto: appello contro la sentenza n. 181/2006 resa dal Tribunale di Frosinone, pubblicata in data 17.3.2006, in materia di azione revocatoria ordinaria.
MOTIVAZIONE
La necessità di delineare le questioni oggetto del presente giudizio di appello, rende opportuno, sia pure a questi soli fini, ripercorrere brevemente le scansioni procedimentali nelle quali si è articolata la vicenda.
Con atto di citazione ritualmente notificato, G.P. conveniva in giudizio i coniugi R./D., odierni appellanti, chiedendo venisse dichiarata la inefficacia, nei suoi confronti, dell’atto di costituzione di fondo patrimoniale stipulato dagli stessi con atto notarile del 18.4.1996; a tal fine assumeva di essere socio, unitamente al R., della A. S.r.l., amministrata di fatto sempre da quest’ultimo ed in favore della quale egli aveva prestato una fideiussione personale, presso la B.M., sino a concorrenza di Lire 36.000.000, successivamente ampliata, mediante sottoscrizione di un foglio in bianco e contro la sua volontà, sino a Lire 150.000.000.
Aggiungeva che, nel novembre del 1998, gli veniva notificato un decreto ingiuntivo, emesso dal Tribunale di Latina in favore del predetto istituto di credito, con il quale gli si richiedeva, quale fideiussore della società, il pagamento della somma di Lire 119.817.158 segnalando inoltre di avere appreso che i convenuti, nell’aprile del 1996, avevano costituito un fondo patrimoniale nel quale avevano fatto confluire tutti i beni immobili della famiglia mentre T.R., figlia di L. ed amministratrice della società, aveva ceduto, ad un prezzo irrisorio, il ramo d’azienda relativo agli appalti pubblici alla A. S.r.l., società di cui era socio il fratello T.
Nel costituirsi in giudizio il R. e la D. contestavano la ricostruzione attorea sottolineando che la costituzione del fondo patrimoniale era intervenuta quando il P. era ancora amministratore della società che, dal canto suo, non aveva alcun problema economico e di affidamento presso le banche; aggiungevano che l’attore non poteva vantare alcun credito nei loro confronti in quanto il decreto ingiuntivo era stato ritualmente opposto mentre, per altro verso, la cessione di ramo d’azienda rappresentava la scelta più conveniente in conseguenza dell’abolizione dell’albo dei costruttori e della perdita di introiti derivanti proprio dalla gestione amministrativa del P.
Nel corso del giudizio di primo grado si apprendeva dell’intervenuta dichiarazione di fallimento della A. S.r.l.
Il giudice di primo grado rilevava, in primo luogo, come non potesse essere accolta la argomentazione spesa dai convenuti, odierni appellanti, circa l’insussistenza del presupposto oggettivo dell’azione intrapresa dal P., ovvero la assenza di qualsivoglia credito da parte di quest’ultimo nei confronti del R.; osservava, a tal proposito, che l’azione revocatoria ordinaria può essere utilmente esperita anche in relazione a crediti non scaduti, condizionati ovvero soltanto eventuali e che, pertanto, nel caso di specie, tale presupposto sussisteva certamente al momento della proposizione della domanda giudiziale, quando, a séguito della chiusura del conto corrente acceso dalla A. S.r.l. presso la B.M., era sorto il credito dell’istituto nei confronti dei fideiussori e, pertanto, erano già venuti ad esistenza i relativi presupposti della azione di surroga e regresso del debitore adempiente nei confronti degli altri coobbligati.
Aggiungeva, il primo giudice, che, in quella sede, non era rilevante che il credito del P. nei confronti del R. fosse a sua volta controverso e, sotto altro profilo, a chi fossero addebitabili le difficoltà in cui era incorsa la società.
Per altro verso, poi, riepilogati i principi in materia di fondo patrimoniale, osservava che, nel caso di specie, non vi era prova che, alla data di costituzione del fondo patrimoniale di cui si discute, la B.M. avesse già fatto valere il proprio credito derivante dalla chiusura del rapporto di conto corrente con la società ma, d’altra parte, che era stato lo stesso R., in una nota da egli sottoscritta e non disconosciuta, datata 31.7.1999, ad affermare che la situazione della società era già precaria nel corso del 1996; ma era proprio in quell’anno, segnalava il giudice di primo grado, dopo trent’anni di matrimonio e con i figli ormai maggiorenni, che egli decideva tuttavia di costituire il fondo patrimoniale, con decisione non comunicata al socio e proprio mentre emergeva l’esigenza di aumentare le garanzie personali della società.
Da ultimo, sottolineava il primo giudice, la deposizione del figlio dei convenuti chiariva come la stessa D. fosse perfettamente consapevole della finalità dell’operazione.
Di qui, l’accoglimento della domanda proposta dal P.
Avverso la predetta sentenza proponevano appello il R. e la D. proponendo una serie di considerazioni peraltro non articolate in motivi separati.
Segnalavano, infatti, che l’istruttoria di primo grado avrebbe dato conto del fatto che, alla data di costituzione del fondo patrimoniale, ed anteriormente alle dimissioni rassegnate dal P., la società non presentava alcun problema di natura economico – finanziaria sicché il credito che questi poteva vantare nei confronti del R. era semmai solo eventuale ma, proprio per questo, nemmeno ipotizzabile e prevedibile da parte dell’appellante.
In realtà, insistevano gli appellanti, la revocatoria avrebbe potuto avere ingresso solo laddove il P. fosse stato titolare di un credito effettivo nei confronti del R., ovvero solo dopo aver eseguito un pagamento valido ed efficace tale da giustificare la propria azione di rivalsa o surroga.
D’altra parte, proseguivano gli appellanti, alla data di proposizione della domanda giudiziale il debito del P. nei confronti della B.M. era ancora sub judice ed egli non aveva ancora pagato alcunché in favore dell’Istituto procedente.
Di qui, argomentavano, la insussistenza anche del consilium fraudis non potendosi ritenere sussistente la consapevolezza degli odierni appellanti di porre in essere un atto lesivo di un credito non ancora sorto e nel contesto di una situazione societaria che non mostrava alcuna difficoltà di natura finanziaria.
A conferma di ciò, sottolineavano come correttamente il giudice di primo grado avesse escluso la rilevanza della documentazione prodotta sul punto da controparte in quanto relativa ad un periodo successivo alla costituzione del fondo.
Insistevano, quindi, per la integrale riforma della sentenza impugnata.
Si costituiva, in questo grado, il P. segnalando, in primo luogo, come l’atto di appello si limitasse a riproporre qui le argomentazioni già spese dagli appellanti in primo grado senza alcun particolare sforzo di collegare queste ultime, in maniera critica, alle motivazioni della sentenza impugnata e, anzi, proponendo una lettura volutamente forzata e travisata di queste ultime.
In particolare, ribadiva come la stessa sentenza era chiara nell’affermare che l’anteriorità dell’atto impugnato rispetto al sorgere del credito oggetto della garanzia patrimoniale non incidesse altro che sulla prova dell’elemento soggettivo richiesto dalla norma laddove, invece, la scansione temporale degli eventi, ben ricostruita dal primo giudice, e comunque non controversa, dava conto proprio della piena consapevolezza ed anzi della dolosa sua preordinazione da parte degli odierni appellati in danno degli interessi del creditore.
Ricordava, peraltro, che la documentazione già versata in atti dimostrasse come, a séguito del decreto ingiuntivo ottenuto nei suoi confronti dalla B.M., egli, al fine di evitare la vendita forzata della propria abitazione, si era risolto ad addivenire ad una transazione corrispondendo all’istituto bancario la somma di Euro 40.000,00 circa e chiedendo ed ottenendo, per la metà di quella cifra, un decreto ingiuntivo nei confronti del R., che veniva da quest’ultimo opposto ma dichiarato esecutivo.
Circa la sussistenza del consilium fraudis, la difesa del P. richiamava le argomentazioni spese dal primo giudice, quali desunte dagli esiti della istruttoria dibattimentale e, in particolare, dalla scrittura del 31.7.1999, dall’interrogatorio formale del R., dalle dichiarazioni testimoniali del di lui figlio T. in ordine alle preoccupazioni manifestate dalla madre F.D.
Per altro verso ricordava come sin dal luglio del 1995 il P., amministratore della società, avesse rilasciato in favore del R. una procura speciale contenente i più ampi poteri di firma, gestione ed amministrazione tanto che, nell’aprile del 1997, era stato proprio il R. a richiedere alla M. un ampliamento delle condizioni di affidamento, con conseguente estensione delle fideiussioni prestate dai soci, facendo sottoscrivere l’impegno al P. nella consapevolezza che la propria garanzia patrimoniale era di fatto ormai inesistente.
Richiamava, infine, sempre a confutazione delle argomentazioni spese dagli appellanti, le vicende societarie successive, quali le proprie intervenute dimissioni, la nomina quale amministratore della figlia del R., la cessione dell’unico ramo d’azienda realmente produttivo in favore di altra società di cui il fratello di costei era socio e, infine, la revoca dei fidi e la dichiarazione di fallimento della A. S.r.l.
D’altra parte, soggiungeva l’appellato, nessuna prova era stata fornita dagli appellanti in ordine alle effettive esigenze della famiglia che avrebbero reso necessaria la costituzione del fondo.
La causa, fissata per la precisazione delle conlusioni all’udienza del 10/06/2011, veniva quindi rinviata, per ragioni di ruolo, a quella del 28/09/2012 da cui in accoglimento dell’istanza di anticipazione proposta dalla difesa dell’appellato, veniva anticipata all’udienza del 6.4.2012; in quella occasione, previa sostituzione del relatore, veniva trattenuta in decisione con concorde rinuncia delle parti ai termini di cui all’art. 190 c.p.c.
L’appello è infondato e va respinto.
È noto, ormai, che l’appello “deve contenere, i motivi specifici dell’impugnazione, il che sta ad indicare che l’atto d’appello non può limitarsi ad individuare le “statuizioni” concretamente impugnate e così i capi di sentenza non ancora destinati a passare in giudicato ex articolo 329, cpv., c.p.c. ma deve contenere anche le argomentazioni dirette a confutare la validità delle ragioni poste dal primo giudice a fondamento della soluzione delle singole questioni su cui si regge la decisione (Cass. Sez. Un., 6 giugno 1987, n. 4991; Cass. Sez. Un., 29 gennaio 2000, n. 16; Cass. 10 aprile 2004 -, n. 6396; Cass. 22 dicembre 2004, n. 2041) e, quindi, non può non indicare le singole “questioni” sulle quali il giudice ad quem e chiamato a decidere (Cass. 2 febbraio 2005, n. 2041), sostituendo o meno per ciascuna di esse soluzioni diverse da quelle adottate in prime cure … In sostanza, l’appello non rappresenta più, come nel sistema del codice di rito del 1865, pur permanendo la sua funzione sostitutiva quanto alle statuizioni decisorie su diritti impugnati, il “mezzo” per “passare da uno all’altro esame della causa”, su tali statuizioni, e non può quindi limitarsi, al fine di ottenerne la riforma, ad una denuncia generica dell’ingiustizia dei capi appellati della sentenza di primo grado, ma deve puntualizzarsi all’interno dei capi di sentenza destinati ad essere confermati o riformati, ma “comunque” sostituiti dalla sentenza di appello che non è impugnazione rescindente come il ricorso per cassazione (l’avvicinamento alla struttura del quale è solo parziale); e tale puntualizzazione ulteriore avviene appunto nella denunzia di specifici “vizi” di ingiustizia o nullità della sentenza impugnata (cF., così, Cass. SS. UU., 23.12.2005, n. 28498).
In altri termini, si è ormai abbondantemente chiarito che il requisito della specificità dei motivi postula che, per ritenere la ammissibilità del motivo di appello coltivato nella impugnazione, occorre che alle argomentazioni della sentenza impugnata vengano criticamente contrapposte quelle dell’appellante, in quanto finalizzate ad inficiare il fondamento logico – giuridico delle prime, in modo tale che, sostituendole a queste ultime, il risultato finale della decisione verrebbe ad essere sovvertito (cF., così, tra le tante, Cass. Civ., 24.3.2006, n. 6630, ovvero, anche, Cass. Civ. 12.5.2008, n. 11673).
Nel caso di specie, si è visto, gli appellanti hanno riproposto in questa sede argomentazioni già spese in primo grado, cercando di contrapporre queste ultime alle motivazioni spese nella sentenza impugnata che, in realtà, veniva criticata sostanzialmente per aver ritenuto la sussistenza dei presupposti dell’azione revocatoria intrapresa dal P. nonostante il credito di quest’ultimo nei confronti del R. fosse insorto in un periodo successivo rispetto all’atto di disposizione patrimoniale di cui si chiedeva venisse dichiarata la relativa inefficacia.
Tale circostanza, secondo gli appellanti, si rifletterebbe non soltanto sul presupposto oggettivo dell’azione ma anche, e soprattutto, su quello soggettivo, del consilium fraudis, atteso che, secondo tale prospettazione, era ben difficile per loro immaginare di porre in essere un atto lesivo nei confronti degli interessi di chi, in quel momento, non poteva vantare alcun credito nei loro confronti.
In realtà, però, gli appellanti non hanno in alcun modo potuto contestare la cronologia dei fatti quale riepilogata nella parte motiva della sentenza impugnata (cF., ivi, pagg. 6 – 7) laddove si chiariva come, nel luglio del 1995, il P. avesse rilasciato una ampia procura al R. per la gestione e la amministrazione della società in favore della quale, nell’aprile dell’anno successivo a quello della costituzione del fondo patrimoniale, veniva ampliata la garanzia personale dei soci sino a concorrenza di 150.000.000.
Nessuna censura, inoltre, veniva articolata con riguardo alla valutazione operata dal primo giudice in merito alla scrittura a firma (non disconosciuta) del R., datata 31.7.1999, nella quale costui dava atto che “… la situazione economica della società, già precaria nel 1996, e che andava peggiorando negli anni successivi …”).
Cercavano invece di sminuire le dichiarazioni del figlio del R., T., il quale, sentito come teste, riferiva dei timori della madre F. D., manifestati già nel 1994 – 1995, circa le sorti dell’attività del marito.
Ebbene, dovendosi ritenere pacifici i dati di fatto emersi nel corso del giudizio di primo grado, è bene richiamare alla memoria i principi in materia di revocatoria ordinaria.
È noto, infatti, che legittimato attivamente a proporre l’actio pauliana è il creditore, quand’anche il suo credito non sia certo, liquido ed esigibile ovvero sia contestato.
Per il suo fruttuoso esperimento occorre:
a) un atto di disposizione patrimoniale in forza del quale il debitore abbia modificato la propria situazione patrimoniale o trasferendo ad altri un proprio diritto ovvero assumendo un obbligo nuovo nei confronti di terzi ovvero costituendo, sui suoi beni, diritti in favore di terzi;
b) il c.d. eventus damni, ovvero il pregiudizio per il creditore, consistente nella circostanza per cui, a seguito dell’atto di disposizione patrimoniale posto in essere dal debitore, il patrimonio di quest’ultimo divenga insufficiente a soddisfare tutti i suoi creditori ovvero risulti composto in maniera tale da rendere più difficoltoso l’eventuale soddisfacimento coattivo su di esso;
c) la c.d. scientia fraudis (ovvero scientia damni) del debitore, ovvero la consapevolezza, da parte di quest’ultimo, della natura pregiudizievole, per il creditore, dell’atto di disposizione patrimoniale; laddove poi l’atto, come è incontroverso nel caso di specie, sia a titolo gratuito, è sufficiente che detta consapevolezza alberghi in capo al debitore mentre, qualora l’atto sia a titolo oneroso, è richiesto che anche il terzo sia consapevole che l’atto posto in essere sia tale da arrecare pregiudizio agli interessi del creditore della propria controparte. Da ultimo, quindi, è bene ricordare che soggetti ad azione revocatoria sono non soltanto gli atti dispositivi compiuti dal debitore successivamente al sorgere del debito ma anche quelli anteriori; in tale ultimo caso, però, non è sufficiente la sola scientia damni occorrendo invece il c.d. consilium fraudis, ovvero che possa ritenersi esservi stata una vera e propria dolosa preordinazione dell’atto in frode ai creditori da parte del (anche futuro) debitore e che, laddove si sia in presenza di atti a titolo oneroso, deve coinvolgere anche il terzo.
D’altra parte, in generale, in ordine alla natura e revocabilità dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale il giudice di primo grado ha fatto corretta applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza, laddove si è avuto modo di ribadire che “l’atto di costituzione del fondo patrimoniale, anche quando é posto in essere dagli stessi coniugi, costituisce un atto a titolo gratuito che può essere dichiarato inefficace nei confronti del creditore, qualora ricorrano le condizioni di cui al n. 1 dell’art. 2901 cod. civ. Nell’ambito della nozione lata di credito accolta dalla norma citata, non limitata in termini di certezza, liquidità ed esigibilità, ma estesa fino a comprendere le legittime ragioni o aspettative di credito – in coerenza con la funzione propria dell’azione revocatoria, la quale non persegue scopi specificamente restitutori, bensì mira a conservare la garanzia generica sul patrimonio del debitore in favore di tutti i creditori – deve considerarsi ricompresa la fideiussione” (cF., così, tra le tante, Cass. Civ., 7.10.2008 n. 24.757; conf., ancora, Cass. Civ., 23.9.2004 n. 19.131, secondo cui “l’atto di costituzione del fondo patrimoniale da parte di entrambi i coniugi, in data successiva a quella del matrimonio, costituisce un atto a titolo gratuito, che può essere dichiarato inefficace nei confronti del creditore, qualora ricorrano le condizioni di cui al n. 1 dell’art. 2901 cod. civ. -, in particolare, nel caso in cui la costituzione sia avvenuta anteriormente al sorgere del debito, per la sussistenza del “consilium fraudis”, è sufficiente la consapevolezza, da parte dei debitori, del pregiudizio che, mediante l’atto di .disposizione, sia in concreto arrecato alle ragioni del creditore (Nella specie; la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva revocato l’atto di costituzione del fondo patrimoniale avvenuto anteriormente all’assunzione da parte di entrambi i coniugi di una fideiussione, valorizzando le circostanze che l’esposizione debitoria era progressivamente aumentata, il matrimonio era stato contratto da diversi anni ed i figli erano economicamente autosufficienti).
Tornando al caso di specie, correttamente il primo giudice ha sottolineato (con argomentazione avverso la quale gli appellanti non hanno sollevato alcuna critica o alcuna censura) che l’atto di cui si discute, ovvero la costituzione del fondo patrimoniale, è un atto a titolo gratuito.
Aggiungeva, comunque, che si tratta di un atto antecedente il sorgere del debito che, fondato su una fideiussione che garantiva la società nei confronti della B.M., sorse solo a séguito della chiusura del conto acceso dalla A. S.r.l. presso quell’istituto, avvenuta nel settembre del 1998.
Di tal che, allora, la necessità, per l’utile esperimento dell’azione revocatoria, di accertare l’esistenza del consilium fraudis, ovvero, come si è accennato, che vi fosse stata una vera e propria dolosa preordinazione dell’atto in frode ai creditori da parte del debitore.
Il primo giudice, come pure si è già avuto modo di rilevare, riteneva di trarre la prova di siffatto elemento soggettivo da vari e convergenti elementi emersi nel corso dell’istruttoria dibattimentale, non censurati in maniera specifica nell’atto di appello e, in particolare:
a) la lettera del 31.7.1999 (cF., doc. sub 12 del fascicolo di parte appellata), inviata dal R. al P., e nella quale il primo faceva presente a quest’ultimo che “… la situazione economica della società era già precaria nel 1996 (…) ed è andata peggiorando negli anni successivi…”
b) il momento della costituzione del fondo patrimoniale, intervenuta nel mese di aprile del 1996 a fronte di un matrimonio contratto nel 1967 e della presenza di figli ormai maggiorenni (circostanza incontroversa oltre che confermata dal R.T. in sede di dichiarazioni testimoniali) tanto da avere assunto, una di essi, la carica di amministratore della A. S.r.l. e, l’altro, quella di socio della A. S.r.l. cui la prima, nel settembre del 1998, avrebbe ceduto l’unico ramo d’azienda realmente produttivo;
c) l’avere, il R., in sede di interrogatorio formale, ammesso di avere sottaciuto al P. l’avvenuta costituzione del fondo patrimoniale, con la conseguenza che, quando fu necessario aumentare l’importo della garanzia personale, l’appellante era pienamente consapevole di assumere un impegno in realtà del tutto virtuale;
d) le dichiarazioni testimoniali rese dal figlio del R., T., il quale riferiva che “… su richiesta di mia madre, che si preoccupava per il caso che succedesse qualcosa a mio padre ed all’attività svolta da mio padre; fu costituito il fondo patrimoniale … se non ricordo male; nel 1994 – 1996 …”.
Il giudice di primo grado ha quindi correttamente desunto, da questi convergenti ed univoci elementi, il convincimento della esistenza, in capo al R. (e, per quanto necessario, anche in capo alla di lui moglie F.D.), non soltanto della consapevolezza del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore, ma anche della dolosa preordinazione dell’atto in frode a quest’ultimo, da parte del (anche futuro) debitore (cF., sul rilievo legittimamente assegnato ad elementi indiziari univoci e convergenti, in tal senso, tra le altre, Cass. Civ., III, 10.10.1998 n. 25.016, secondo cui “ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria, la prova della fraudolenta collusione tra il debitore ed il terzo (cosiddetto “consilium fraudis”) può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici, massimamente se fondate sulla qualità delle parti del negozio fraudolento e sulla sua tempistica rispetto alla pretesa del creditore”.
La sentenza, pertanto, non merita le censure mosse dagli appellanti in quanto, nonostante la anteriorità dell’atto impugnato rispetto al sorgere del credito vantato dal P. nei confronti del R., vi sono plurimi e convergenti ragioni, ben sottolineate nella parte motiva della decisione assunta dal primo giudice e non scalfiti dalle censure articolate dagli appellanti, per ritenere che la costituzione del fondo patrimoniale fosse preordinata proprio a scongiurare eventuali azioni di rivalsa o di surroga conseguenti al pagamento di quanto la B.M. aveva richiesto all’appellato in forza ed in virtù della fideiussione da questi sottoscritta.
Le spese
La sentenza impugnata va pertanto confermata con le spese di lite della fase di appello che seguono la soccombenza.
PQM
definitivamente pronunziando sull’appello principale proposto da L.R. e F.D. avverso la sentenza n. 181/06 resa dal Tribunale di Frosinone, pubblicata in data 17.3.2006, respinge l’appello principale e conferma integralmente la impugnata sentenza;
condanna gli appellanti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio che liquida, in favore del P., in Euro 2.800,00 per diritti, di cui Euro 1.000 per diritti ed Euro 1.800,00 per onorari, oltre Iva e Cpa come per legge.
Così deciso in Roma l’11 aprile 2012.
Depositata in Cancelleria il 20 settembre 2012.
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