ISSN 2385-1376
Testo massima
“Il senso letterale delle parole, di cui all’art.1362 cc, deve essere desunto da tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale presa in considerazione, tenendo conto di ogni sua parte e di ogni sua parola che la compone e non già di una parte soltanto. Di talché, ogni clausola che formi un contratto, prima ancora di essere posta in correlazione letterale e logica con le altre, deve essere letta e valutata nella sua interezza”.
Con la citata pronuncia, la Corte di Cassazione perviene ad una versione del tutto “innovativa ed avanzata” circa l’interpretazione letterale delle clausole, all’interno di un contesto contrattuale. Innovazione che per molti versi appare frutto di una evoluzione giurisprudenziale “ponderata” nel corso degli anni ed altresì valutata alla luce di un contesto giuridico più moderno, caratterizzato dalla atipicità negoziale e (quantunque si tratti di contratti tipici) dall’inserimento di clausole che spesso sfuggono al dettato normativo e si inseriscono piuttosto, in tempi attuali, nell’ambito della prassi contrattuale accettata dalle parti.
L’intervento della Cassazione è per lo più volto ad evitare che tali clausole possano in qualche modo trovare giustificazione e ragion d’essere proprio in una scorretta interpretazione del contesto contrattuale, considerato sia in generale che nello specifico, ovvero in relazione sia alla disciplina che alla funzione pratica del contratto, oltre che all’intento voluto dalle parti.
La fattispecie posta al cospetto della Corte di Cassazione concerneva il contratto di “Mutuo fondiario” tra un Istituto Bancario ed il proprio cliente.
Tale contratto prevedeva quale clausola, tra le altre in esso contenute, quelle che consentivano alla Banca di anticipare o differire, a suo insindacabile giudizio, la stipulazione dell’atto di erogazione a quietanza ed il pagamento da parte del mutuatario di tutte le imposte relative alle somme erogate.
Il cliente conveniva in giudizio l’Istituto bancario, adducendo nullità di tali clausole.
Il Tribunale adito, pertanto accogliendo le doglianze dell’attore, dichiarava la nullità di entrambe le clausole in quanto contrarie ai principi di buona fede e correttezza ed in quanto poste in violazione di norme imperative.
L’Istituto Bancario proponeva appello eccependo in specie che i principi di buona fede e correttezza fossero riferibili solo alla fase delle trattative contrattuali, interpretazione ed esecuzione del contratto, e non alla successiva di formazione della volontà ed al contenuto dello stesso;
che l’art. delle condizioni contrattuali nel comma relativo alle impugnate clausole andava letto congiuntamente ed in relazione al precedente nel quale erano previsti alcuni specifici oneri a carico del mutuatario, a pena di scioglimento ed al contempo prevedeva il differimento dell’atto di erogazione e quietanza in presenza di alcuni presupposti.
L’appello veniva accolto ed avverso tale sentenza l’attore (ovvero il cliente della Banca) proponeva Ricorso in Cassazione a cui l’Istituto Bancario resisteva con controricorso e contestuale ricorso incidentale.
La Corte di Cassazione all’eccezione sollevata dal ricorrente principale e cioé che il giudice di Appello abbia negato l’esistenza dei principi di correttezza e buona fede applicabili anche al momento genetico del contratto ed alle trattative contrattuali, risponde in modo molto sintetico, chiaro e conciso, ribadendo un assunto consolidato in base al quale: Correttezza e buona fede pur essendo ormai principi “affermati e ribaditi”, nella loro qualità di capisaldi della interpretazione in materia contrattuale( sia nella fase delle trattative che dell’interpretazione e della esecuzione) giammai possono essere considerati tali da “inficiare” il contenuto del contratto, pur riconoscendosi l’inadeguatezza delle clausole in esso contenute.
Ovvero solo eventuali e sopravvenute cause di nullità o annullabilità dello stesso contratto possono condurre ad un riequilibrio delle prestazioni e delle aspettative dei contraenti(Cass. 27/09/2009, n. 25047).
Ebbene, a ben vedere tale interpretazione appare aderire ad un pregresso orientamento in cui la Cassazione affermò che: ” il criterio della buona fede nella interpretazione dei contratti, applicabile anche agli atti pre- negoziali come appunto la fase della trattative contrattuali, deve ritenersi funzionale ad escludere il ricorso a significati unilaterali o contrastanti, ma non può mai consentire di assegnare all’atto una portata diversa da quella che emerge dal suo contenuto obiettivo“(Cass. 15/03/2004 n. 5239; Cass. 18/05/2001 n. 6819).
Appare, a questo punto, raccordarsi con il menzionato orientamento la soluzione che il Supremo Consesso ha adottato sancendo la fondatezza del motivo di censura dedotto nella fattispecie in oggetto, dal ricorrente, in relazione all’erronea interpretazione della clausola riguardante l’obbligazione del mutuatario di corrispondere interessi.
La Cassazione, perviene infatti ad un avanzato intendimento del concetto di “interpretazione letterale“, laddove l’art 1363 ccil quale sancisce che le “le clausole si interpretano le une per mezzo della altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto”, viene letto sotto una nuova luce ovverossia:
Rimane valido il principio già affermato nelle pregresse pronunce invero che il senso letterale delle parole, di cui al precedente art.1362 cc va desunto anche in correlazione ed in modo logico, dall’intero contesto contrattuale, senza fermarsi alle singole clausole (plurimis Cass. 22/12 2005, n. 28479).
Questo principio però deve essere mitigato da un altro : la singola clausola(prima ancora di essere messa in correlazione letterale e logica con le altre e di essere valutata nel contesto negoziale) deve essere letta, analizzata, valutata da sola e nella sua interezza.
dott.ssa Valentina Zirafa
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 27268-2006 proposto da:
V.E.;
RICORRENTE
contro
BANCA;
INTIMATO
sul ricorso 30797-2006 proposto da:
BANCA;
CONTRORICORRENTE E RICORRENTE INCIDENTALE
contro
V.E.;
INTIMATO
avverso la sentenza n. 309/2006 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 05/05/2006;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
V.E., quale procuratore speciale di V. G., conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Pescara, l’Istituto Bancario, Sezione Credito Fondiario, esponendo che il contratto di mutuo fondiario da lui stipulato con il convenuto in data 17 dicembre 1981 era entrato in ammortamento soltanto il 22 settembre 1987, in quanto l’Istituto, che aveva provveduto ad erogazioni rateali, aveva cardato a stipulare l’atto di erogazione e quietanza, con la conseguenza che esso mutuatario aveva dovuto corrispondere alla banca gli interessi di preammortamento.
Pertanto, deducendo la nullità della clausola (art. 3, u.c., delle condizioni generali di contratto) che consentiva alla banca di “anticipare o differire… a suo insindacabile giudizio… la stipulazione dell’atto di erogazione e quietanza” in quanto, da un lato, prevedeva una obbligazione di pagamento degli interessi indeterminata, perchè priva di un limite temporale e in quanto, d’altro canto, subordinava la stipula del mutuo ad una condizione meramente potestativa e deducendo altresì la nullità della clausola (art. 5, u.c., delle condizioni generali di contratto) che prevedeva il pagamento da parte del mutuatario di tutte le imposte relative alle somme erogate, poichè in tal modo venivano trasferiti sul mutuatario gli oneri tributari gravanti sul mutuante, l’attore chiedeva la condanna del convenuto alla restituzione delle somme indebitamente corrisposte ed al risarcimento dei danni.
Il Tribunale di Pescara, con sentenza del 19 febbraio 2001, accoglieva la domanda e condannava il convenuto alla restituzione delle somme ricevute a titolo di interessi e di imposte (rispettivamente L. 176.156.653 e L. 15.680.000). In particolare, il Tribunale affermava la nullità della clausola di cui al citato art. 3 perchè, in contrasto con i doveri di correttezza e buona fede, consentiva alla banca di modificare a suo piacimento i termini del contratto, e perchè subordinava la stipula del contratto definitivo ad una condizione meramente potestativa; inoltre, il Tribunale affermava anche la nullità della clausola di cui al citato art. 5 siccome contraria alle norme imperative dettate dal D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 26 e 64.
La BANCA, nel frattempo succeduta all’Istituto Bancario, proponeva appello che la Corte territoriale de L’Aquila accoglieva, con sentenza del 5 maggio 2006, osservando che: 1) i principi di correttezza e buona fede attenevano al momento delle trattative precontrattuali ed a quello dell’interpretazione ed esecuzione del contratto, ma non al momento della formazione della volontà negoziale ed al contenuto del contratto; 2) l’ultimo comma dell’art. 3 delle condizioni generali di contratto andava posto in relazione, come suggeriva la sua lettera, con il precedente comma 1 che prevedeva alcuni specifici oneri incombenti sul mutuatario ed ai quali erano subordinate l’erogazione del mutuo o, in difetto di assolvimento, la possibilità della banca di sciogliersi da ogni impegno; pertanto, la clausola non era affetta nè da un vizio di indeterminatezza nè integrava una condizione meramente potestativa, poichè rimetteva la possibilità di differimento della stipula dell’atto di erogazione e quietanza al riscontro di una serie di presupposti dell’erogazione del mutuo; 3) di fronte all’eccezione di inadempimento dei cennati oneri, l’attore avrebbe dovuto fornire la prova di avervi invece adempiuto; 4) la traslazione convenzionale del carico di imposta doveva ritenersi consentita, in difetto di una contraria disposizione di legge e si esauriva in un incremento dei proventi del mutuante; 5) sulla somma da restituire alla banca erano dovuti gli interessi legali, ma non il danno da svalutazione monetaria, essendo mancate l’allegazione e la prova che un pagamento tempestivo avrebbe messo la stessa banca in condizione di evitare gli effetti depauperativi dell’inflazione; in particolare, infatti, la banca non aveva indicato l’ammontare dei profitti che avrebbe potuto trarre dal reimpiego del denaro nelle proprie attività produttive.
V.E., quale procuratore speciale di V. G., propone ricorso per cassazione avverso detta sentenza, deducendo quattro motivi. La BANCA resiste con controricorso e propone ricorso incidentale affidato ad un motivo.
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I ricorsi proposti avverso la stessa sentenza devono essere riuniti.
Con il PRIMO motivo il ricorrente principale deduce la violazione degli artt.1343, 1362, 1363, 1366, 1368, 1369, 1370, 1374 e 1418 cc nonchè il vizio di motivazione e la nullità della sentenza, lamentando, sotto un primo profilo, che la Corte di appello aveva erroneamente negato l’esistenza nel nostro ordinamento di un principio generale di correttezza e buona fede applicabile anche al momento genetico del contratto ed al suo contenuto e lamentando altresì, sotto un secondo profilo, che la sentenza impugnata aveva erroneamente interpretato l’art.3, u.c..
delle condizioni generali. Infatti, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte soltanto la decisione ultima sulla stipulazione era condizionata all’adempimento degli oneri di cui al primo comma dello stesso articolo, mentre l’anticipazione o il differimento della data di stipulazione erano rimessi all’insindacabile giudizio della Banca.
L’erroneità dell’interpretazione risultava sia dal senso letterale delle parole, sia dal quadro complessivo nel quale la clausola si inseriva ed andava apprezzata, sia dalla causa concreta del contratto e dalla funzione della clausola, strumentale all’attribuzione di un potere ad libitum in capo all’Istituto mutuante.
Con il SECONDO motivo il ricorrente principale deduce la violazione degli artt.1346, 1354, 1355 e 1418 cc nonchè il vizio di motivazione e la nullità della sentenza, lamentando che per effetto dell’erronea interpretazione denunciata col primo motivo la Corte di appello non aveva rilevato la nullità della clausola in quanto, rimettendo l’an e il quando della stipula dell’atto definitivo al semplice volere del mutuante, non poneva alcun limite temporale all’obbligazione del mutuatario di corrispondere interessi.
Con il TERZO motivo il ricorrente principale deduce la violazione degli artt.1337, 1366, 1375 e 2907 cc, artt.99 e 112 cpc, art. 24 Cost. nonchè il vizio di motivazione e la nullità della sentenza lamentando che la Corte di appello, parlando di eccezione di inadempimento sostanzialmente sollevata dalla banca con riferimento agli adempimenti preliminari alla stipula definitiva, aveva riqualificato la domanda dell’attore, trascurando che la stessa era volta a realizzare anche una tutela restitutoria e non meramente risarcitoria.
Inoltre, gli oneri pretesamente rimasti non assolti condizionavano, ai sensi dell’art.3 delle condizioni generali, le erogazioni di pagamento, che invece avevano avuto regolarmente luogo (su di esse venivano computati gli interessi) e non la stipula dell’atto di erogazione e quietanza. Con lo stesso motivo il ricorrente lamenta che la funzione del mutuo edilizio, finalizzato a dotare il mutuatario delle provviste necessarie al completamento delle opere, era incompatibile con l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui il diritto del mutuatario alla stipula dell’atto di erogazione presupponeva “la dimostrazione di avere integralmente eseguito le opere in vista della cui realizzazione il finanziamento era stato concesso e di avere consegnato la documentazione comprovante la loro regolarità edilizia”. Pertanto, doveva ritenersi contraria a buona fede l’eccezione di inadempimento della banca, con la conseguenza che la stessa, indipendentemente dalla nullità dell’art. 3 delle condizioni generali di contratto, era tenuta alla restituzione degli interessi incamerati.
Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 26 e 24 (rectius 64) e del D.P.R. n. 643 del 1972, art. 27 nonchè nullità della sentenza, lamentando che la Corte di appello erroneamente aveva ritenuto la validità della clausola contrattuale che trasferiva sul mutuatario i debiti di imposta gravanti sul mutuante in relazione agli interessi convenuti.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale la BANCA deduce la violazione degli artt. 1224 e 1226 cc nonchè il vizio di motivazione, lamentando che erroneamente la Corte di appello aveva ritenuto non provato il danno da svalutazione monetaria in quanto la pacifica qualità di imprenditore commerciale del creditore consentiva di presumere che, se vi fosse stato tempestivo adempimento, la somma dovuta sarebbe stata utilizzata in impieghi “antinflattivi” ed in quanto dallo stesso contratto di mutuo fondiario in atti risultava la pattuizione di interessi in misura superiore al tasso legale. Pertanto, anche in considerazione della variabilità del costo del denaro, la Corte di appello avrebbe potuto procedere ad una liquidazione equitativa del danno.
2. Il primo profilo del primo motivo è infondato. I principi di buona fede e correttezza sono previsti dal codice civile, come tali, in riferimento alla fase dello svolgimento delle trattative contrattuali (art. 1337), a quella dell’interpretazione del contratto (art. 1366) ed a quella della sua esecuzione (art. 1375), sicchè la violazione dell’obbligo di attenervisi, sebbene possa esser fonte di responsabilità risarcitoria, non inficia però il contenuto del contratto con il quale le parti abbiano composto i rispettivi interessi, nel senso che, ove non venga in rilievo una causa di nullità o di annullabilità del contratto medesimo specificamente stabilita dal legislatore, tali vizi invalidanti non sono invocabili a fronte della inadeguatezza delle clausole pattuite a garantire l’equilibrio delle prestazioni o le aspettative economiche di uno dei contraenti (Cass. 27 novembre 2009, n. 25047).
E’, invece, fondato il secondo profilo del primo motivo. Invero, come deduce il ricorrente, l’ultimo comma dell’art. 3 delle condizioni generali di contratto recita testualmente: “L’Istituto potrà però sempre ed a suo esclusivo giudizio anticipare: o differire la stipulazione dell’atto di erogazione e quietanza o, in relazione alle circostanze di cui al comma 1, nonchè in mancanza della approvazione di cui al D.L. 13 agosto 1975, n. 376, art. 11, convertito nella L. 16 ottobre 1975, non darvi luogo”.
Tale clausola è stata riportata dalla Corte di appello (pagg. 13 e 14 della sentenza) senza le ultime quattro parole, cosicchè l’interpretazione letterale è stata privata della indicazione della seconda azione alternativamente consentita alla banca e tale ablazione è tanto più rilevante considerato che l’inciso contenente le condizioni prese in considerazione dalla sentenza segue la disgiuntiva “o” e precede la previsione di tale seconda azione e cioè della possibilità di non dare luogo alla erogazione del finanziamento. Ne consegue che per le cennate condizioni, relative agli oneri incombenti sul mutuatario, dall’intero testo della clausola non emerge una evidenza di collegamento, sotto il profilo letterale, al differimento o all’anticipazione della stipulazione dell’atto di erogazione e cioè alle azioni che nella formulazione della clausola precedono la disgiuntiva “o”.
Sussiste, pertanto, la violazione del criterio secondo cui l’interpretazione letterale deve tenere conto del tenore complessivo della clausola poichè il “senso letterale delle parole”, di cui all’art.1362 cc, va desunto da tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, avendo riguardo ad ogni sua parte e ad ogni parola che la compone, e non già ad una parte soltanto. Tale principio, affermato più volte da questa Corte (e plurimis Cass. 22 dicembre 2005, n. 28479) con riferimento alla necessità di porre in correlazione, anche sotto il profilo letterale oltre che sotto il profilo logico, l’intero contesto contrattuale, senza fermarsi alle singole clausole, vale necessariamente ed ovviamente anche nell’ambito della singola clausola che, prima ancora di essere posta in correlazione letterale e logica con le altre, deve essere letta e valutata nella sua interezza.
All’accoglimento per quanto di ragione del primo motivo consegue l’assorbimento del secondo e del terzo motivo del ricorso principale.
3. Il QUARTO motivo del ricorso principale è infondato. Invero, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la clausola del contratto di mutuo, che faccia obbligo al mutuatario di rimborsare al mutuante le imposte afferenti agli interessi convenuti (IRPEG ed ILOR), sì da garantire un determinato ammontare netto degli interessi medesimi, non è affetta da nullità per violazione di norme imperative, nè per violazione del precetto costituzionale del concorso di tutti alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva (art. 53 Cost.), atteso che tale clausola non implica che l’imposta afferente ad un reddito venga corrisposta al fisco da un soggetto diverso dal suo percettore, obbligatosi a pagarla in sua vece e conto, ma configura una mera traslazione convenzionale del carico di imposta, da ritenersi in via generale consentita in mancanza di una specifica diversa disposizione di legge, e si esaurisce in un incremento dei proventi del mutuante in misura pari alla somma che deve versare all’erario, senza alcun esonero nè da quest’ultimo versamento, nè dall’obbligo di dichiarare all’amministrazione finanziaria il maggior reddito conseguente al rimborso di tale versamento, e di pagare le ulteriori imposte dovute sullo stesso maggior reddito (Cass. s.u. 18 dicembre 1985, n. 6445; conf. Cass. 3 giugno 1991, 6232; Cass. 29 maggio 1993, n. 6037; Cass. 27 novembre 1999, n. 13261).
4. Il ricorso incidentale, non assorbito con riferimento all’obbligo di restituzione delle somme dovute a titolo di rimborso delle imposte, è inammissibile per mancanza di autosufficienza in quanto il ricorrente non precisa come abbia formulato la domanda di risarcimento del maggior danno e quali siano state le sue allegazioni sull’uso del denaro. L’appartenenza ad una categoria se consente, infatti, di avvalersi di presunzioni nella determinazione del danno non esclude la necessità di effettuare le necessarie allegazioni.
Resta, pertanto, assorbito il profilo relativo alla inammissibilità della domanda del maggior danno da svalutazione monetaria sulle somme corrisposte a seguito della sentenza di primo grado e richieste in restituzione con la proposizione dell’appello sul rilievo che l’autonomia della domanda, in quanto fondata su un titolo diverso da quello della domanda principale ex art.336 cpc, richiede un accertamento con l’osservanza del doppio grado di giurisdizione (Cass. 6 novembre 1995, n. 11527).
PQM
riunisce i ricorsi; accoglie per quanto di ragione il primo motivo del ricorso principale; dichiara assorbiti il secondo ed il terzo motivo; rigetta il quarto motivo; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di L’Aquila in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
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Numero Protocolo Interno : 151/2012