ISSN 2385-1376
Testo massima
Nel processo tributario è ammissibile la produzione di documenti nuovi per la prima volta in appello, senza alcuna sanzione per l’omessa produzione nel procedimento di primo grado.
Con la sentenza 16959 del 5 ottobre 2012, la Corte di Cassazione ha affrontato, seppur in via incidentale, la questione relativa all’ammissibilità della produzione di nuovi documenti in appello nel giudizio tributario.
In particolare, il contribuente, tra i motivi di ricorso, lamentava la violazione di norme di legge da parte dell’ufficio, che depositava per la prima volta, in sede di appello, un documento necessario ai fini del contendere, ovvero una circolare dell’Agenzia delle Entrate.
Tale produzione “tardiva” avrebbe violato la previsione di cui al primo comma dell’articolo 58 del Dlgs 546/1992, e avrebbe precluso al contribuente la possibilità di svolgere “un’adeguata difesa”, con grave lesione del diritto al contraddittorio.
La Corte di cassazione ha, dapprima, puntualizzato come la doglianza del ricorrente fosse, in primo luogo, infondata “dal momento che in tema di contenzioso tributario, l’art.58, secondo comma, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n.546 ha espressamente previsto e consentito la produzione di nuovi documenti in appello. (
) Ne consegue che, nel processo tributario, mentre prove ulteriori, rispetto a quelle già acquisite nel giudizio di primo grado, non possono essere disposte in appello, salvo che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio, i documenti possono essere liberamente prodotti anche in sede di gravame, ancorché preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado, come nella specie e ha fatto, comunque, salvo il deposito “tardivo” del documento proposto in appello.
Alla luce della pronuncia della Suprema Corte, la facoltà di produrre nuovi documenti in appello è consentita indipendentemente dalla impossibilità dell’interessato di produrli in primo grado per una causa a lui non imputabile: quest’ultimo requisito è, infatti, previsto dall’articolo 345 cpc, ma non dall’articolo 58.
L’articolo 345 cpc, terzo comma, va infatti interpretato nel senso che esso fissa sul piano generale il principio dell’inammissibilità di mezzi di prova “nuovi”, la cui ammissione cioè non sia stata richiesta in precedenza, e quindi anche delle produzioni documentali; e nello stesso tempo indica i limiti di tale regola, ponendo in via alternativa i requisiti che tali documenti, al pari degli altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame: requisiti consistenti nella dimostrazione che le parti non abbiano potuto proporli prima per cause a loro non imputabili, ovvero nel convincimento del giudice della indispensabilità degli stessi ai fini della decisione (Cfr.Cass S.U 20 aprile 2005, n.8203).
Diversamente invece è previsto per il processo tributario, secondo l’orientamento giurisprudenziale costante e ormai consolidato, sull’orma della sentenza n.16916 del 16/08/2005.
Infatti alla luce del fondamentale principio di specialità fatto salvo dall’art. 1 – in forza del quale nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria prevale quest’ultima -, non può trasferirsi “tout court” l’esegesi, in tema di produzione di documenti in appello, dell’art.345, terzo comma, cpc. nel senso che tale disposizione fissa sul piano generale il principio dell’inammissibilità dei “nuovi mezzi di prova” e, quindi, anche delle produzioni documentali.
L’articolo 58 del nuovo processo tributario, infatti, oltre a consentire al giudice d’appello di valutare la possibilità di disporre “nuove prove” (comma 1), fa espressamente “salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti” (comma 2). (cfr. Cass. civ., Sez. V, 20/2/2006, n.3611; nonché Cass. civ. Sez. I, 27/1/2006,).
Tanto è razionalmente ammissibile in quanto il processo tributario è tipicamente fondato su elementi quasi esclusivamente documentali con esclusione sia del giuramento sia della prova testimoniale (cfr. comma 4 dell’articolo 7 del Dlgs 546/1992) per cui il legislatore ha fortemente voluto privilegiare la produzione documentale.
dott.ssa Daniela Salamone
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 24726-2006 proposto da:
CONTRIBUENTE F.A.;
RICORRENTE
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE;
CONTRORICORRENTE
e contro
AGENZIA DELLE ENTRATE;
INTIMATO
avverso la sentenza n. 126/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di LATINA, depositata il 16/06/2005;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso alla commissione tributaria provinciale di Latina il CONTRIBUENTE, gestore di caffè bar, proponeva opposizione avverso l’avviso di rettifica, che l’ufficio Iva di quella città gli aveva fatto notificare ai fini della corrispondente imposta per l’anno 1996, e con il quale non veniva riconosciuta l’entità del credito vantato dal contribuente; altresì veniva contestata la mancata registrazione e contabilizzazione di ricavi, con l’applicazione della relativa sanzione, oltre agli interessi. Questi deduceva che la pretesa dell’amministrazione era infondata, in quanto il ricarico era stato inferiore a quello presunto; la contabilità era regolare, sicché nessuna evasione era stata posta in essere, e pertanto chiedeva l’annullamento di quell’atto.
Instauratosi il contraddittorio, l’ufficio Iva eccepiva l’infondatezza del ricorso, in quanto aveva rilevato la mancata contabilizzazione di parte dei ricavi mediante un maggior ricarico.
Quella commissione, in accoglimento del ricorso, annullava l’atto impositivo.
Avverso la relativa decisione l’agenzia delle entrate, ufficio Iva, proponeva appello, cui l’appellato non resisteva, dinanzi alla commissione tributaria regionale del Lazio, la quale accoglieva il gravame, osservando che il ricarico al 100% era congruo e che l’assunto del contribuente era carente di prova.
Contro questa pronuncia il CONTRIBUENTE ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a tre motivi, ed ha depositato memoria, mentre l’agenzia delle entrate resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Col PRIMO motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n.633 del 1972, art.56, nonchè omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in quanto la commissione tributaria regionale non considerava che il ricarico del 100% non aveva alcuna giustificazione, posto che se esso poteva avere semmai un certo fondamento per qualche tipologia di merce ceduta o di prestazione fornita, tuttavia non poteva essere generalizzato. Inoltre non poteva basarsi su parametri validi semmai solo per le grandi città e non invece per un piccolo centro come Fondi, senza dire poi che si trattava di esercizio con pochi proventi, tanto che successivamente veniva ceduto.
Il motivo è fondato, dal momento che la CTR rilevava che il ricarico era stato determinato in base alle stesse scritture contabili del contribuente secondo i parametri inerenti alla tipologia di attività e alla zona dell’impresa incisa, senza tuttavia specificare il procedimento logico argomentativo, attraverso il quale giungeva a quel giudizio, enunciando solamente dei dati che appaiono all’evidenza insufficienti a suffragare le ragioni del proprio convincimento. D’altronde il ricarico del 100% attribuito alle tazzine di caffè veniva esteso a tutta la tipologia dei beni e servizi forniti dal contribuente in modo apodittico, con la conseguenza che si configura decisamente il vizio di insufficiente motivazione.
2) Col SECONDO motivo il ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art.115 cpc, nonchè vizi di motivazione circa il notorio, atteso che tale istituto, con riferimento al ricarico inerente alle tazzine di caffè, appare impropriamente evocato, non rientrando nel concetto della comune esperienza la percentuale di ricavo rispetto al costo. La censura, che in parte rimane assorbita dal primo motivo, va condivisa, dal momento che il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati ne controllati, va inteso in senso rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile. Pertanto non si possono reputare rientranti nella nozione di fatti di comune esperienza, intesa quale esperienza di un individuo medio in un dato tempo e in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari, o anche solo la pratica di determinate situazioni, ne quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poichè questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 23978 del 19/11/2007 n. 11946 del 2002).
3) Col TERZO motivo il ricorrente lamenta violazione di norme di legge, poichè l’appellante produceva una circolare in appello, in cui l’appellato non si era costituito, e con la quale sostanzialmente la motivazione dell’avviso di rettifica veniva ampliata, con ciò non consentendosi al contribuente un’adeguata difesa.
La doglianza è nuova, perché non dedotta in secondo grado, e perciò è inammissibile.
Comunque è infondata, dal momento che in tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n.546, art.58, comma 2, ha espressamente previsto e consentito la produzione di nuovi documenti in appello. Peraltro si trattava di una circolare, che regolava la materia già da prima. Ne consegue che, nel processo tributario, mentre prove ulteriori, rispetto a quelle già acquisite nel giudizio di primo grado, non possono essere disposte in appello, salvo che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio, i documenti possono essere liberamente prodotti anche in sede di gravame, ancorchè preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado, come nella specie (Cfr. anche Cass. Sentenza n. 16916 del 16/08/2005; Sezioni Unite: n. 8203 del 2005).
Quindi alla luce di quanto più sopra enunciato, la sentenza impugnata non risulta motivata in modo sufficiente e giuridicamente corretto.
Ne deriva che il ricorso va accolto, limitatamente ai primi due motivi, con conseguente cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla commissione tributaria regionale del Lazio, altra sezione, per nuovo esame, e che si uniformerà ai suindicati principi di diritto.
Quanto alle spese dell’intero giudizio, esse saranno regolate dal giudice del rinvio stesso.
PQM
La Corte:
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale del Lazio, altra sezione, per nuovo esame.
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno
Numero Protocolo Interno : 132/2012