ISSN 2385-1376
Testo massima
La Corte di Cassazione, con sentenza numero 20376 del 20 novembre 2012, ha affermato il diritto del fideiussore ad essere ammesso al passivo del fallimento in via privilegiata anche per gli interessi e le sanzioni inerenti il mancato pagamento dell’imposta.
Nel caso di specie la società (poi dichiarata fallita) aveva stipulato con una Compagnia di assicurazione polizza fideiussoria per l’anticipato rimborso dell’IVA, grazie alla quale aveva ottenuto un consistente rimborso IVA.
In seguito alla dichiarazione di fallimento, l’Amministrazione finanziaria, con tre richieste di escussione, comunicava alla società assicuratrice di avere notificato al curatore fallimentare della società tre avvisi di rettifica ed invitava la compagnia assicuratrice a pagare l’importo dovuto, nei limiti del massimale, per l’IVA indebitamente rimborsata, per gli interessi e per le sanzioni.
La compagnia di assicurazioni pagava la somma richiesta, corrispondente al massimale garantito, e quindi depositava, tre istanze di ammissione tardiva, in sede privilegiata, al passivo del fallimento della società fallita per i corrispondenti importi.
Il Tribunale ammetteva il credito al passivo del fallimento, in sede privilegiata, solo per le somme pagate per l’IVA e per gli interessi, rigettando la domanda per quelle pagate a titolo di sanzione.
Proposto appello, i giudici di merito, ammettevano anche queste ultime, ma solo in via chirografaria sul presupposto che trattandosi di surroga in un credito dello Stato (nei confronti della società fallita) che trova titolo in una autonoma obbligazione riparatoria di natura civile normativamente imposta a carico della società fallita e solo in senso atecnico qualificabile come “sanzione”, l’ammissione non poteva avvenire in sede privilegiata.
La Corte, investita della questione, ha accolto il ricorso proposto dalla compagnia di assicurazione chiarendo che, nonostante la nuova disciplina delle sanzioni tributarie contenuta nel d.lgs. 472/97 abbia introdotto all’art. 5 il cd. principio di “personalità” delle sanzioni tributarie, detta normativa ha comunque previsto la responsabilità della società per l’importo corrispondente alle sanzioni derivanti da illeciti commessi dall’amministratore o dipendente, stabilendo all’art. 11 che “la società, l’associazione o l’ente nell’interesse dei quali ha agito l’autore della violazione sono obbligati al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata salvo il diritto di regresso secondo le disposizioni vigenti”.
Detta norma è stata interpretata nel senso che, nel caso di violazione sulla determinazione o sul pagamento del tributo, l’ente collettivo, con o senza personalità giuridica, è responsabile di detta violazione, in solido con l’autore materiale di essa, che ha agito nell’esercizio delle funzioni di dipendente, rappresentante o amministratore, anche di fatto, dell’ente collettivo stesso SALVO IL DIRITTO DI REGRESSO SECONDO LE DISPOSIZIONI VIGENTI” (cfr. Corte Cost. 27 aprile 2007 n.147).
In virtù di tale principio, afferma la Corte, nell’ipotesi di illeciti tributari commessi, nell’esercizio delle loro funzioni, da dipendenti o amministratori della società, rimane a carico della società stessa, pur dopo l’introduzione del principio di “personalità” delle relative sanzioni, una obbligazione solidale, nei confronti dello Stato, di natura essenzialmente civile per l’importo corrispondente alle sanzioni applicabili all’autore degli illeciti.
Di conseguenza se è proprio il precetto legislativo che fissa la responsabilità dell’ente per somma pari alla sanzione irrogata a consentire, con il mancato esercizio del regresso, la traslazione del peso della sanzione dall’autore della violazione alla società, non si vede come un contratto autonomo di garanzia possa porsi in contrasto con norme imperative ed essere considerato nullo solo perché quel costo venga riversato su un soggetto (garante) diverso dalla società.
Quanto poi all’esclusione del credito dalla sede privilegiata, secondo la Corte, le norme del codice civile stabiliscono che i privilegi possono essere oggetto di un’interpretazione estensiva che sia diretta ad individuarne il reale significato e la portata effettiva, anche oltre il limite apparentemente segnato dalla formulazione testuale tenendo in considerazione l’intenzione del legislatore e la causa del credito (Sez. U, n. 11930/2010, per l’estensione del privilegio all’I.C.I; Sez. 1, n. 4861/2010, in relazione all’I.R.A.P.)..
In tale ottica, anche alla luce dell’orientamento ribadito dalle Sezioni Unite, è possibile interpretare la normativa in materia di privilegi in modo estensivo, ritenendola applicabile anche al caso concreto, relativo ad un credito dello Stato (e, in via di surroga, del garante) nei confronti della persona giuridica per una somma pari alla sanzione irrogata. La causa del credito, infatti, è pur sempre costituita dalla violazione di norme in materia di IVA.
In virtù di tali principi il garante di una fallita è ammessa al passivo, in via di regresso, per il credito principale, interessi e sanzioni in via di privilegio generale.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 8153-2006 proposto da:
COMPAGNIA DI ASSICURAZIONI;
RICORRENTE
contro
FALLIMENTO DELLA ROSSA SPA IN LIQUIDAZIONE;
INTIMATO
sul ricorso 11839-2006 proposto da:
FALLIMENTO ROSSO SPA IN LIQUIDAZIONE;
CONTRORICORRENTE E RICORRENTE INCIDENTALE
contro
COMPAGNIA DI ASSICURAZIONI;
CONTRORICORRENTE AL RICORSO INCIDENTALE
avverso la sentenza n. 1332/2005 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 24/11/2005;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Il 24.10.1998 la s.p.a. Gruppo ROSSO stipulò con La COMPAGNIA DI ASSICURAZIONI;
la polizza fideiussoria per l’anticipato rimborso dell’IVA n. (OMISSIS) in forza della quale la Compagnia garantiva l’Amministrazione Finanziaria, fino alla concorrenza del complessivo importo di L. 5.055.458.060 e per il periodo indicato in polizza, per i crediti dello Stato che sarebbero potuti sorgere nei confronti della SPA.
La ROSSO SPA a seguito di atto amministrativo notificato entro il periodo di validità della polizza per IVA indebitamente rimborsata per il terzo trimestre dell’anno 1998 e per gli anni precedenti compresi i relativi interessi, le spese e le sanzioni connesse. Più precisamente, ai sensi dell’art.5 delle condizioni generali di polizza, la Compagnia si obbligava a versare, senza eccezione alcuna e a meno che vi avesse già provveduto la contraente Gruppo ROSSO SPA, le somme che per i predetti titoli sarebbero state eventualmente richieste dall’Amministrazione Finanziaria entro sessanta giorni dalla data di notifica dell’atto amministrativo alla suddetta contraente la quale, ai sensi dell’art. 13 delle stesse condizioni generali, si obbligava a restituire alla Compagnia, entro il termine di giorni quindici dalla richiesta, quanto dalla stessa pagato. In virtù di tale garanzia la Gruppo ROSSO SPA conseguì il rimborso anticipato dell’IVA per l’importo di L. 4.000.000.000.
In data 6.11.2000 il Tribunale di Modena dichiarò il fallimento della detta società.
Con tre successive richieste di escussione (rispettivamente in data 4.4.2001, 17.9.2001 e 4.10.2001) l’Amministrazione Finanziaria comunicò a La COMPAGNIA DI ASSICURAZIONI;
di avere notificato a Gruppo ROSSO SPA in fallimento e, quindi, al Curatore tre avvisi di rettifica rispettivamente n. (OMISSIS) relativo all’anno 1995, n. (OMISSIS) relativo all’anno 1996 e n. (OMISSIS) relativo all’anno 1997 ed invitò la Compagnia, in ottemperanza degli artt. 1 e 5 delle condizioni generali di polizza a pagare il complessivo importo di Euro 2.610.926,19, pari al massimale garantito di L. 5.055.458.060, (di cui L. 2.203.285.000 = Euro 1.137.901,74 per IVA indebitamente rimborsata, L. 404.919.000 = Euro 209.123,21 per interessi e L. 2.447.224.000 = Euro 1.263.885,72 per sanzioni oltre a L. 30.000 per diritti di notifica.
La COMPAGNIA DI ASSICURAZIONI provvide a pagare la complessiva somma di Euro 2.610.926,19 (pari a L. 5.055.458.060) corrispondente al massimale garantito e quindi depositò al Tribunale di Modena e per i corrispondenti importi, tre istanze di ammissione tardiva, in sede privilegiata, al passivo del fallimento di Gruppo ROSSO SPA.
Previa riunione delle cause, il Tribunale, con sentenza pubblicata il 10.2.2004, ammise la COMPAGNIA DI ASSICURAZIONI al passivo del fallimento in sede privilegiata ex art.2752 cc per la somma di Euro 1.347.040,47 corrispondente al credito per sorte ed interessi oltre interessi dagli avvenuti pagamenti alla vendita dei beni, mentre rigettò la domanda di ammissione della somma pagata da Fondiaria a titolo di sanzioni condannando quest’ultima a rifondere al Fallimento le spese di lite.
Pronunciando sull’appello proposto dalla COMPAGNIA DI ASSICURAZIONI, la Corte di appello di Bologna, con sentenza del 24.11.2005, in parziale riforma della decisione di primo grado, ammise il credito dell’appellante per l’ulteriore importo corrisposto all’Amministrazione finanziaria, relativo alle sanzioni, di Euro 1.263.885,72 in via chirografaria, compensando le spese del giudizio.
2.- Contro la sentenza della Corte di appello la COMPAGNIA DI ASSICURAZIONI ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Ha resistito con controricorso la curatela fallimentare la quale ha proposto, altresì, ricorso incidentale affidato a tre motivi, resistito con controricorso dalla ricorrente principale.
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art.378 cpc.
3.- Con il PRIMO motivo la società ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art.2752 cc, comma 2 (già comma 3) avuto riguardo al D.Lgs. n.472 del 1997, artt.11 e 26.
Deduce, in estrema sintesi, – che al fine di riconoscere ex lege ad un credito collocazione privilegiata occorre aver riguardo alla sua causa, nel senso di giustificazione economica del credito stesso;
– che delle norme in materia di privilegi, sia puri di diritto singolare e non suscettibili di analogia, è comunque consentita un’interpretazione estensiva ricompresa nell’ambito della reale volontà dispositiva della legge e che tale strumento interpretativo è stato già concretamente utilizzato dalla Suprema Corte (e da Giudici di merito) nonchè ben definito, quanto ai limiti della sua applicabilità, dalla Corte Costituzionale;
– che i privilegi che assistono i crediti tributari trovano il loro fondamento nell’utilità derivante all’intera collettività dal pagamento regolare dei tributi;
– che il privilegio previsto per pene pecuniarie e soprattasse afferenti all’Imposta sul Valore Aggiunto dall’art.2752 cc esiste nel nostro ordinamento da sempre, e cioè sin dall’istituzione di tale imposta, e trova il suo presumibile fondamento nel rafforzamento della potestà intimidatrice dello Stato per un’imposta per la quale si richiede un alto grado di collaborazione da parte del contribuente;
– che il D.Lgs. n.472 del 1997 ha sostituito le pene pecuniarie e le soprattasse con sanzioni pecuniarie di eguale importo, come statuito letteralmente dall’art.26, stesso D.Lgs., mentre non ha abrogato il privilegio riconosciuto ex art.2752 cc, comma 2 (già comma 3) alle vecchie pene pecuniarie e soprattasse con conseguente applicabilità di tale privilegio alle attuali sanzioni;
– che il principio della personalità della sanzione introdotto dal D.Lgs. in questione è sostanzialmente smentito dalla responsabilità solidale del contribuente persona giuridica (ex art. 11) il quale si trova a dover pagare all’Amministrazione Finanziaria le sanzioni da questa pretese in luogo dell’autore materiale, addirittura anche quando quest’ultimo è deceduto prima dell’irrogazione delle sanzioni medesime, mentre l’esercizio del regresso da parte della società contribuente nei confronti dell’autore materiale è lasciato alla libera iniziativa della prima per cui il trasgressore può di fatto rimanere immune dall’applicazione della sanzione nei molti casi in cui l’Erario proceda alla previa escussione del contribuente quale coobbligato solidale dell’autore materiale della violazione;
– che, in ultimo, nelle ipotesi in cui la legge speciale dichiara obbligato all’adempimento della prestazione tributaria un soggetto diverso dal soggetto passivo del debito tributario (come accade nel caso in esame per il contribuente persona giuridica), il primo è pacificamente ritenuto soggetto passivo del privilegio anche se non del debito tributario;
La corte di merito, dunque, avrebbe dovuto riconoscere la natura privilegiata del credito dello Stato nei confronti del proprio contribuente persona giuridica, e ciò avrebbe dovuto fare tenendo presenti i sopra illustrati e consolidati principi in materia di privilegi, che certamente non possono venire scardinati da un intervento legislativo, oltre tutto “a termine”, quale è stato quello del 1997, visto che con il D.L. n.269 del 2003, nuovo art.7 il nostro legislatore, soltanto per i contribuenti persone giuridiche, ha eliminato la riferibilità della sanzione all’autore materiale della violazione e quindi, abbandonata ogni velleità di personalizzazione della sanzione medesima, è tornato a statuire che le sanzioni tributarie sono esclusivamente a carico della persona giuridica. Talchè, in forza dell’art.1949 cc, il credito insinuato dalla ricorrente per le somme corrisposte a titolo di sanzione andavano ammesse al passivo con il privilegio richiesto, da estendere agli interessi maturati dal dì dei singoli pagamenti, nei limiti della sentenza della Corte cost. n. 162/2001.
3.2.- Con il SECONDO motivo di ricorso la ricorrente principale denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt.91, 92 cpc e art.101 L. Fall., lamentando l’erronea compensazione delle spese processuali, nonostante la ricorrente fosse risultata parzialmente vittoriosa ma costretta al pagamento di ingenti spese per la registrazione della sentenza.
4.1.- Con il primo motivo del ricorso incidentale la curatela fallimentare denuncia “violazione e/o falsa applicazione degli artt.1418, 1362 e 1363 c.c.; D.P.R. n.633 del 1972, art.38 bis; D.Lgs. n.497 del 1997, artt.3, 4, 5 e 11; art. 101 L. Fall. (negata nullità per illiceità della causa del negozio fideiussorio laddove garantisce il pagamento di sanzioni tributarie irrogande e conseguente inesistenza del diritto di surroga della COMPAGNIA DI ASSICURAZIONI per tale titolo)”. Ciò perchè dopo la riforma del 1997 il sistema punitivo tributario è oggi organizzato sul modello dell’illecito penale.
4.2.- Con il secondo motivo il ricorrente incidentale denuncia “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1325, 1346 e 1349 e 1418 c.c. (negata nullità per I’ndeterminabilita dell’oggetto, id est il rischio-sanzioni, della garanzia prestata dalla COMPAGNIA DI ASSICURAZIONI in relazione alle irrogande sanzioni pecuniarie tributarie)”.
4.3.- Con il terzo motivo il ricorrente incidentale denuncia “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 11 (il negato difetto di soggettività passiva dell’obbligazione sanzionatoria in capo al Fallimento). La norma denunciata come violata individua come soggetto passivo della sanzione l’amministratore autore della violazione che abbia tratto vantaggio personale. Il fallimento non può essere soggetto passivo delle sanzioni tributarie.
5.- I ricorsi – proposti contro la medesima sentenza – vanno riuniti ai sensi dell’art.335 cpc.
Il ricorso incidentale – diretto a negare la stessa esistenza del credito di cui si reclama la natura privilegiata con il ricorso principale – può essere esaminato congiuntamente al primo motivo di ricorso della società assicuratrice. Ciò al fine di evitare la ripetizione degli argomenti che depongono per la fondatezza del primo motivo del ricorso principale (con assorbimento del secondo) e per l’infondatezza del ricorso incidentale.
Quanto a quest’ultimo, va evidenziato che le stesse questioni poste con i motivi sono state adeguatamente risolte dalla corte di merito la quale ha evidenziato quanto segue:
“l’addebito, alla società Gruppo ROSSO SPA, della somma di complessivi Euro 1.263.885,72, liquidata a titolo di “sanzioni” nei citati avvisi di rettifica non presentava, in concreto, i profili di illegittimità che secondo il Tribunale avrebbero giustificato il rifiuto, da parte della Compagnia garante, del pagamento richiestole.
Il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, contenente la nuova disciplina delle sanzioni tributarie richiamato dal primo Giudice e in effetti, come risulta dai citati avvisi di rettifica, dall’Amministrazione Finanziaria applicato alla fattispecie, pur relativa a violazioni commesse anteriormente al 1.4.1998, in quanto legge più favorevole, pur avendo introdotto, con la statuizione di cui all’art. 5 (“Nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”) il principio della “personalità” delle sanzioni tributarie (e, quindi, della applicabilità delle stesse alle sole persone fisiche) ha, invero, pur sempre previsto la responsabilità della società per l’importo corrispondente alle sanzioni conseguenti agli illeciti commessi dal suo amministratore o dipendente statuendo all’art. 11 e per i casi in cui la violazione sia stata commessa dal rappresentante o dall’amministratore o dal dipendente di società, associazione od ente nell’esercizio delle rispettive funzioni o incombenze che “la società, l’associazione o l’ente nell’interesse dei quali ha agito l’autore della violazione sono obbligati al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata salvo il diritto di regresso secondo le disposizioni vigenti”.
Nell’ipotesi di illeciti tributari commessi, “nell’esercizio delle loro funzioni, da dipendenti o amministratori della società è pertanto rimasta a carico della società stessa, e pur dopo l’introduzione del principio di “personalità” delle relative sanzioni, una obbligazione solidale, nei confronti dello Stato, di natura essenzialmente civile per l’importo corrispondente alle sanzioni applicabili all’autore degli illeciti. Che, poi, a tale obbligazione dovesse in realtà riferirsi la garanzia testualmente prevista nelle condizioni generali di polizza per le “sanzioni” non può ragionevolmente dubitarsi tenuto conto che, già all’epoca della sottoscrizione della polizza, solo sotto tale profilo avrebbe potuto configurarsi la responsabilità della società stessa in relazione ai crediti nascenti dall’esercizio della potestà sanzionatoria dello Stato e che il modulo contrattuale utilizzato dalle parti era stato predisposto dallo stesso Ministero all’evidente scopo di garantire l’adempimento di ogni obbligazione connessa agli accertamenti espletati dall’Amministrazione Finanziaria successivamente all’esecuzione del rimborso IVA richiesto dal contribuente. Nè della concreta applicabilità al caso in esame della citata disposizione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 11, comma 10 vi è nella specie ragione di dubitare sotto il profilo, rilevato dal Tribunale, che, come risulta dall’inciso testuale “nell’interesse dei quali ha agito l’autore della violazione” e come è stato dallo stesso Ministero delle Finanze precisato con la circolare del 10 luglio 1998, per l’operatività di tale norma è pur sempre necessario che l’illecito del dipendente abbia arrecato un vantaggio economico alla società:
la circostanza, incontroversa in causa, che per effetto degli illeciti commessi dal suo amministratore, la società Gruppo ROSSO SPA abbia ottenuto un indebito rimborso IVA di alcuni miliardi risulta, infatti, ampiamente idonea ad integrare tale requisito (ovviamente non rilevando, sotto tale aspetto, l’eventuale successiva distrazione della somma da parte dell’amministratore B.). La rilevata riferibilità della garanzia formalmente prestata da Fondiaria-Sai per le sanzioni a tale obbligazione accessoria della società contribuente e la natura essenzialmente civilistica dell’obbligazione stessa (corrispondente all’importo delle sanzioni ma priva del carattere affittivo di queste ultime) privano, poi, di concreta rilevanza l’eccezione, formulata dal Fallimento ed accolta dal Tribunale, di nullità della garanzia stessa per illiceità della causa.
Tale illiceità, che in effetti potrebbe ravvisarsi nelle forme di tutela volte a sottrarre preventivamente l’autore della violazione alle conseguenze della sanzione e quindi agli effetti deterrenti istituzionalmente connessi all’esercizio della potestà punitiva dello Stato, non risulta invero ipotizzabile in relazione a garanzie attinenti, come quella in esame, all’adempimento di obbligazioni patrimoniali di esclusiva natura civile. Nè risulta fondata l’ulteriore eccezione, sollevata dal Fallimento ed accolta dal Tribunale, di inesigibilità del credito in oggetto da parte dell’Amministrazione Finanziaria per essere ancora pendente il procedimento penale per i reati di bancarotta, evasione fiscale ed altro a carico dell’amministratore della società fallita B. G..
La non eseguibilità, fino alla definizione con formula assolutoria del relativo procedimento penale, prevista dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 21 comma 2, richiamato dal Fallimento, per le sanzioni amministrative relative alle violazioni tributarie fatte oggetto di notizia di reato risulta, invero, in forza del combinato disposto della predetta norma, dello stesso D.Lgs. n. 74 del 2000, precedente art. 19, comma 2, e D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 11 comma 1 dianzi citato, chiaramente inapplicabile al caso in esame”.
5.1.- Con il primo motivo del ricorso incidentale la curatela ha ribadito gli argomenti disattesi dalla corte di merito, concludendo che COMPAGNIA DI ASSICURAZIONI non aveva titolo giuridicamente valido per insinuarsi al passivo del fallimento in via di surroga per quanto concerne la somma pagata all’Agenzia delle Entrate relativamente alle sanzioni tributarie e ha dedotto:
a) che l’oggetto della polizza fideiussoria – come si evince dal testo del contratto – era costituito dalle sanzioni e non da una somma equivalente di natura diversa.
a.1) Sennonchè, l’accertamento del giudice del merito in proposito – in particolare della comune intenzione delle parti di dedurre in contratto l’obbligazione solidale, nei confronti dello Stato, per l’importo corrispondente alle sanzioni applicabili all’autore degli illeciti – è incensurabile in questa sede ed è adeguatamente e logicamente motivato (v. 5).
Il motivo, al di là della mera enunciazione del dato letterale della clausola, non spiega perchè vi sarebbe stata violazione degli artt.1362 e 1363 cc ed è, in questa parte, inammissibile.
b) dopo la riforma del 1997 il sistema punitivo tributario è organizzato sul modello dell’illecito penale e la clausola estesa alle sanzioni sarebbe nulla perchè “non è accettabile che l’ordinamento tuteli un negozio che abbia ad oggetto la traslazione, dall’autore dell’illecito all’assicuratore, del rischio di applicazione di sanzioni (tributarie) e non”.
b.2) Va, per contro, rilevato che il D.Lgs. n.472 del 1997, art.11 dispone, al comma 1, tra l’altro, che “nei casi in cui una violazione che abbia inciso sulla determinazione o sul pagamento del tributo è commessa … dall’amministratore, anche di fatto, di società, associazione od ente, con o senza personalità giuridica, nell’esercizio delle sue funzioni o incombenze, la persona fisica, la società, l’associazione o l’ente nell’interesse dei quali ha agito l’autore della violazione sono obbligati al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata, salvo il diritto di regresso secondo le disposizioni vigenti”.
Nei commi successivi la predetta disposizione disciplina i rapporti tra l’obbligazione relativa alla sanzione e quella posta a carico della società nel senso che “il pagamento della sanzione da parte dell’autore della violazione e, nel caso in cui siano state irrogate sanzioni diverse, il pagamento di quella più grave estingue l’obbligazione indicata nel comma 1”, comunque la responsabilità della società è limitata all’eventuale eccedenza dopo il pagamento parziale e la morte della persona fisica autrice della violazione, ancorchè avvenuta prima della irrogazione della sanzione amministrativa, non estingue la responsabilità della società.
Appare evidente la ratio di tale disciplina, tesa a far sì che una somma pari alla sanzione irrogata venga comunque versata all’Amministrazione.
Va, per inciso, evidenziato che la detta norma è stata interpretata dalla Corte costituzionale nel senso che il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n.472, art.11 “dispone che, nel caso di violazione incidente sulla determinazione o sul pagamento del tributo, l’ente collettivo, con o senza personalità giuridica, è responsabile di detta violazione, in solido con l’autore materiale di essa che ha agito nell’esercizio delle funzioni di dipendente, rappresentante o amministratore, anche di fatto, dell’ente collettivo stesso, salvo il diritto di regresso secondo le disposizioni vigenti” (cfr. Corte cost., ord. n. 147 del 2007, in motivazione, come intesa anche da Sez. 5, n. 26507/2011, 6.2).
Se è vero, peraltro, che la norma innanzi riportata prevede il diritto di regresso della società nei confronti dell’autore dell’illecito, è vero altresì che la dottrina ha già indagato il fenomeno per il quale la società stessa potrebbe decidere di non esercitare il regresso medesimo e si è posta il quesito se – addirittura – il costo discendente dall’omesso esercizio del regresso possa essere considerato fiscalmente deducibile.
Ora, se è proprio il precetto legislativo che fissa la responsabilità dell’ente per somma pari alla sanzione irrogata a consentire, con il mancato esercizio del regresso, la traslazione del peso della sanzione dall’autore della violazione alla società, non si vede come un contratto autonomo di garanzia (quale è stato definito dalle Sezioni unite quello di cui al D.P.R. n.633 del 1972, art.38 bis) possa porsi in contrasto con norme imperative ed essere considerato nullo sol perchè quel costo venga riversato su soggetto (garante: banca o assicurazione) diverso dalla società.
c) Quanto agli ulteriori profili dedotti nel primo motivo del ricorso incidentale (conoscenza da parte di COMPAGNIA DI ASSICURAZIONI dell'”inassicurabilità” del rischio per sanzioni perchè sancita da una circolare A.N.I.A. del 1998), la censura è inammissibile nella parte in cui non indica come e con quali modalità la questione sia stata posta alla corte di merito e, comunque, è resa irrilevante dalla mancata specifica impugnazione dell’accertamento del giudice del merito secondo cui il testo utilizzato dalle parti per la redazione della polizza fideiussoria in oggetto corrispondeva “perfettamente al modello diffuso dallo stesso Ministero con Decreto 20 febbraio 1988 pubblicato sulla G.U. n. 45 del 24.2.1998” e quindi, rappresentava “all’epoca l’unico schema ammesso dagli Uffici Finanziari per l’operatività della garanzia richiesta per il rimborso, con procedura accelerata, del credito IVA risultante dalla dichiarazione del contribuente”.
5.2.- Con il secondo motivo del ricorso incidentale la curatela ripropone l’eccezione di nullità del contratto di garanzia relativamente alla indeterminabilità dell’oggetto quanto al rischio sanzioni.
Anche tale motivo è inammissibile nella parte in cui censura l’accertamento in fatto operato dal giudice del merito, il quale ha adeguatamente giustificato la decisione evidenziando che la validità della garanzia in oggetto non “può essere posta in dubbio in relazione alla mancata indicazione dello specifico massimale risultando, all’opposto, le prescrizioni di cui all’art. 1938 c.c. pienamente rispettate dai contenuto complessivo della polizza nella quale l’importo garantito è stato espressamente indicato (assumendosi esclusivamente come parametri di giustificazione l’eccedenza di imposta richiesta a rimborso e degli interessi maturati e maturandi sul relativo importo) in L. 5.055.458.060 con la precisazione, all’art. 1 delle citate condizioni generali, che fino alla concorrenza dello stesso la garanzia avrebbe coperto tutte le somme concernenti l’imposta sul valore aggiunto, compresi i relativi interessi, le spese e le sanzioni connesse dovuti dal contraente a seguito di atto amministrativo notificato entro il periodo di validità del presente contratto”.
Lo stesso ricorrente incidentale, peraltro, ammette che la legge specifica l’ammontare massimo della sanzione irrogabile e la garanzia appare prestata per tale ammontare massimo ma nei limiti del massimale indicato anche per le sanzioni, oltre che per l’imposta sul valore aggiunto, i relativi interessi e le spese.
5.3.- L’ultimo motivo del ricorso incidentale ribadisce i concetti relativi alla personalizzazione delle sanzioni introdotta dalla riforma del 1997, nega l’esistenza dell’obbligazione solidale della società e deduce che il B. si è appropriato delle somme ottenute a titolo di indebito rimborso alla società. Il ricorrente incidentale, infine, deduce che non sarebbe applicabile ratione temporis la disciplina introdotta dalla L. n. 326 del 2003 che ha posto a carico della persona giuridica la responsabilità esclusiva per le sanzioni relative al proprio rapporto fiscale.
Si tratta di censure che contrastano con l’accertamento in fatto del giudice del merito e che non ne attingono specificamente la motivazione sopra trascritta. Quanto alla responsabilità solidale della società valgono le argomentazioni innanzi svolte.
Infine, (e l’argomento introduce l’esame del primo motivo del ricorso principale) quanto alla personalità della sanzione va ricordato che da tempo, in relazione all’ammissione al passivo fallimentare, questa Sezione ha precisato che “in tema di credito per pene pecuniarie in materia di I.V.A., la natura afflittiva e personale della sanzione, che in generale esclude la natura privilegiata del credito, cede a fronte del D.P.R. n.633 del 1972, art.62, comma 3, il quale prevede che i crediti dello Stato per le imposte, le pene pecuniarie e le soprattasse dovute ai sensi di quel decreto hanno privilegio generale sui beni mobili del debitore, con grado successivo a quello indicato al n. 15), art. 2778 c.c., e che anche in caso di infruttuosa esecuzione sui mobili, gli stessi crediti sono collocati sussidiariamente sul prezzo degli immobili con preferenza rispetto ai creditori chirografari, ma dopo i crediti indicati alla L. n.153 del 1969, art.66, commi 1 e 2” (Sez. 1, Sentenza n. 23808 del 18/09/2008).
6.- La corte di merito ha negato il riconoscimento del privilegio ex art. 2752 c.c. sul rilievo che, trattandosi di surroga in un credito dello Stato (nei confronti della società fallita) che trova titolo non già nell’esercizio della potestà punitiva dello stesso nei confronti dell’autore delle violazioni ma in una autonoma obbligazione riparatoria di natura civile normativamente imposta a carico della società fallita e solo in senso atecnico qualificabile come “sanzione”, l’ammissione non poteva “avvenire nella richiesta sede privilegiata prevista dai richiamati art.2752 cc, comma 3 e art. 2758 c.c. (norme, tra l’altro, come tutte quelle sui privilegi, non suscettibili di interpretazione analogica) per le entrate di diritto pubblico”. Ha rilevato, poi, che per le stesse considerazioni non potrebbe giovare alla tesi della società assicuratrice il richiamo al D.Lgs. n.472 del 1997, art. 26 il quale ha sostituito con il riferimento alla sanzione pecuniaria di uguale importo quello alla soprattassa e alla pena pecuniaria nonchè ad ogni altra sanzione amministrativa perchè la norma, secondo la corte di merito, ha pur sempre inteso riferirsi alle obbligazioni pecuniarie che trovano loro fonte diretta nell’esercizio della potestà punitiva dello Stato. Osserva, in proposito, la Sezione che l’azione proposta dalla ricorrente principale trova – tra l’altro disciplina nella legge 10 giugno 1982, n.348, avente ad oggetto la “Costituzione di cauzioni con polizze fidejussorie a garanzia di obbligazioni verso lo Stato ed altri enti pubblici”, la quale, all’art. 1, dispone che “In tutti i casi in cui è prevista la costituzione di una cauzione a favore dello Stato o altro ente pubblico, questa può essere costituita in uno dei seguenti modi:
a) da reale e valida cauzione, ai sensi dell’art. 54 del regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato, approvato con R.D. 23 maggio 1924, n.827, e successive modificazioni;
b) la fidejussione bancaria rilasciata da aziende di credito di cui al R.D.L. 12 marzo 1936, n.375, art. 5, e successive modifiche ed integrazioni;
c) da polizza assicurativa rilasciata da imprese di assicurazione debitamente autorizzata all’esercizio del ramo cauzioni ed operante nel territorio della Repubblica in regime di libertà di stabilimento o di libertà di prestazione di servizi” (lettera così sostituita dal D.Lgs. 17 marzo 1995, n.175, art.128).
L’art. 2 del provvedimento legislativo in questione prevede che:
“Diritti ed azioni, di cui godeva il creditore beneficiario della prestazione garantita da cauzione costituita in uno dei modi sopra detti, si trasferiscono in surrogazione a chi ha prestato la cauzione a seguito di inadempienza del debitore principale ed incameramento della cauzione”.
6.1.- La disciplina normativa innanzi richiamata è stata già applicata dalle Sezioni unite di questa Corte in una fattispecie analoga di surrogazione nei diritti dell’Amministrazione finanziaria ad opera dello spedizioniere, in materia di diritti doganali (cfr. Sez. U, Sentenza n. 499 del 1993).
Non può essere revocato in dubbio che la disciplina generale di cui alla L. n. 348 del 1982 si applichi anche alla polizza fideiussoria stipulata ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis.
Il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 38 bis, nel disciplinare le modalità del rimborso richiesto dal contribuente per eccedenza IVA risultante dalla dichiarazione annuale, prevede che il contribuente stesso possa conseguirlo in via accelerata, senza il previo riscontro della spettanza del credito, a condizione che egli presti idonea garanzia per la restituzione della somma ricevuta nel caso in cui l’ufficio, eseguiti successivamente i riscontri, rilevi che l’eccedenza non sussisteva.
La garanzia può essere fornita, tra l’altro, mediante polizze fideiussorie rilasciate da imprese assicuratrici. In dette polizze è prevista una clausola-tipo, presente anche nel caso di specie, cosi formulata: “la società si obbliga a versare, a meno che non vi abbia già provveduto il contraente, senza eccezione alcuna, le somme richieste dall’ufficio IVA”.
6.2. – Da tempo la giurisprudenza di questa Corte riconosce che la surrogazione legale a favore del fideiussore di cui all’art. 1203 c.c., n. 3, si estende anche ai privilegi stabiliti a favore del creditore da leggi speciali (Sez. 3, Sentenza n. 1846 del 19/07/1967).
L’art. 2752 c.c., comma 2 (già comma 3), dispone che “hanno altresì privilegio generale sui mobili del debitore i crediti dello Stato per le imposte, le pene pecuniarie e le soprattasse dovute secondo le norme relative all’imposta sul valore aggiunto”. Il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 26, comma 1, (Abolizione della soprattassa e della pena pecuniaria) ha disposto che:
“1. Il riferimento alla soprattassa e alla pena pecuniaria, nonchè ad ogni altra sanzione amministrativa, ancorchè diversamente denominata, contenuto nelle leggi vigenti, è sostituito con il riferimento alla sanzione pecuniaria, di uguale importo”.
Si è già rilevato innanzi (p. 5.1-b.l) che la ratio del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 11 è quella di far sì che una somma pari alla sanzione irrogata venga comunque versata all’Amministrazione e che la detta norma è stata interpretata dalla Corte costituzionale nel senso che essa prevede una responsabilità della società per la violazione, in solido con l’autore materiale della stessa. Le norme del codice civile che stabiliscono i privilegi possono essere oggetto di un’interpretazione estensiva che sia diretta ad individuarne il reale significato e la portata effettiva in modo da delimitare il loro esatto ambito di operatività, anche oltre il limite apparentemente segnato dalla formulazione testuale, tenendo in considerazione l’intenzione del legislatore e la causa del credito che, ai sensi dell’art.2745 cc, rappresenta la ragione giustificatrice di qualsiasi privilegio (Sez. U, n. 11930/2010, per l’estensione del privilegio all’I.C.I; Sez. 1, n. 4861/2010, in relazione all’I.R.A.P.).
Le Sezioni Unite hanno ribadito la consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale, secondo la quale è ammissibile l’utilizzabilità di detto strumento ermeneutico non solo nei limiti consentiti dalla massima espansione della portata semantica dell’espressione legislativa, ma anche quando l’estensione della norma a un caso non compreso nella lettera legislativa sia giustificata da un giudizio di meritevolezza del medesimo trattamento, fondato sulla ratio legis indipendentemente dalla somiglianza al caso previsto e tenuto conto che la “causa” del credito, ai sensi dell’art.2745 cc, rappresenta la ragione giustificatrice della creazione di qualsiasi privilegio, perciò valendo a determinarne l’ambito oggettivo e soggettivo (Sez. U, n. 11930/2010), Nella concreta fattispecie sussiste, come innanzi rilevato, identità di ratio della tutela privilegiata del credito dello Stato per la sanzione pecuniaria, di uguale importo di soprattassa, pena pecuniaria, nonchè altra sanzione amministrativa rispetto alla tutela del credito dello Stato (e, in via di surroga, del garante) nei confronti della persona giuridica per una somma pari alla sanzione irrogata.
La causa del credito è costituita pur sempre dalla violazione delle norme in materia di I.V.A..
In accoglimento del primo motivo del ricorso principale, dunque, la sentenza impugnata deve essere cassata.
Non essendo necessari accertamenti in fatto, la Corte può decidere la causa nel merito ex art. 384 c.p.c. e ammettere il credito relativo alle sanzioni in privilegio ex art. 2752 c.c. oltre interessi (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 9147 del 3/05/2005; Corte costituzionale n. 162 del 2001) dagli avvenuti pagamenti alla vendita dei beni, con privilegio nei limiti di cui all’art. 2749 c.c..
La complessità e novità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite.
PQM
La Corte, riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso incidentale, accoglie il primo motivo del ricorso principale e dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ammette con il privilegio richiesto il credito relativo alle sanzioni, oltre interessi dagli avvenuti pagamenti alla vendita dei beni, nei limiti di cui all’art.2749 cc. Dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.
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