Il decreto di liquidazione del compenso all’ausiliario – emesso dal giudice che lo ha nominato ed opponibile (ex art. 15, comma 2, d.lgs 150 del 2011) innanzi al capo dell’ufficio cui appartiene quel magistrato – deve considerarsi equiparato all’ordinanza del giudice monocratico, appellabile ex art. 702-quater cod. proc. civ..
Una ricognizione completa del quadro normativo, vigente a seguito dell’entrata in vigore del D. Lgs. n.150/2011, comporta l’inquadramento dell’opposizione al decreto di liquidazione delle spese di giustizia nell’ambito del procedimento del rito sommario.
Ne discende che il termine per la proposizione della predetta impugnativa è quello di trenta giorni stabilito, in generale, dall’art. 702 quater cod. proc. civ. per il riesame dei provvedimenti adottati in prima istanza nelle procedure riconducibili allo schema del rito sommario di cognizione.
Il suindicato principio di diritto è stato espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.106 del 12.05.2016, in occasione della decisione sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 17 (modificativo dell’art. 170 del Testo Unico in materia di spese di giustizia -D.P.R. n.115/2002-), e dell’art. 15, comma 2 (relativo alla nuova disciplina dell’opposizione al decreto di pagamento delle spese di giustizia), del D. Lgs. n.150/2011, sollevata in riferimento alla parte in cui tali disposizioni hanno abrogato l’inciso “entro venti giorni dall’avvenuta comunicazione” previsto, in origine, dall’art. 170, primo comma, del D.P.R. n.115/2002.
Le parti rimettenti, rappresentate, nella specie, dalla Corte Suprema di Cassazione e dal Tribunale di Bergamo (che hanno dato origine a due diversi giudizi poi riuniti per identità della norma denunciata sulla base della medesima censura), hanno evidenziato, in particolare, che l’art. 34, comma 17, del D. Lgs. n.150/2011, nel modificare l’art. 170 del D.P.R. n.115/2002, ha eliminato il termine di “venti giorni dall’avvenuta comunicazione” per la proposizione dell’opposizione al decreto di liquidazione delle spese di giustizia.
Secondo le autorità rimettenti, quindi, l’attuale versione dell’art. 170 del D.P.R. n.115/2002, prevede soltanto la possibilità di proporre opposizione avverso il decreto di pagamento emesso a favore dell’ausiliario del magistrato secondo la disciplina di cui all’art. 15 del D. Lgs. n.150/2011 il quale stabilisce, a sua volta, che tali opposizioni vanno proposte innanzi al capo dell’ufficio giudiziario cui appartiene il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato e che le stesse sono regolate dal rito sommario di cognizione, ma non prevede alcun termine entro il quale proporre l’opposizione.
I rimettenti deducono, in sostanza, che da tale quadro normativo discenderebbe la possibilità di proporre l’opposizione “sine die”, evidentemente in contrasto con la funzione stessa del processo.
La Corte Costituzionale ha precisato che, in realtà, stante il disposto dell’art. 15 del D. Lgs. n.150/2011, in base al quale le opposizioni ai decreti in tema di giustizia sono regolate dal rito sommario di cui agli articoli 702 bis e seguenti cod. proc. civ., il decreto di liquidazione del compenso dell’ausiliario, opponibile, ai sensi dell’art. 15, comma 2, del citato decreto legislativo, innanzi al capo dell’ufficio cui appartiene il magistrato che lo ha emesso, deve necessariamente considerarsi equiparato all’ordinanza del giudice monocratico di cui all’art. 702 ter cod. proc. civ.
La Corte conclude, di conseguenza, statuendo che il termine di trenta giorni per la proposizione dell’appello avverso tale ultima ordinanza, deve ritenersi applicabile, per esigenze di omogeneità di rito, anche all’opposizione avverso il decreto sulle spese di giustizia.
Avendo stabilito, quindi, che l’opposizione al decreto di liquidazione delle spese di giustizia non è proponibile “sine die”, la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalle parti rimettenti.
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