La parte intimata non deve attendere lo spirare del termine di trenta giorni per conseguire la trasformazione dell’ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. in sentenza, dovendosi riconoscere che essa può anticipare questo effetto notificando un atto con il quale essa rinunci alla sentenza.
Questa possibilità deve essere concessa alla parte intimata, la quale può avere interesse ad impugnare subito l’ordinanza di condanna proprio al fine di conseguire la sospensione dell’esecuzione.
La sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado (o, come nel caso di specie, dell’ordinanza ex art. 186 quater c.p.c.) che il giudice d’appello, ai sensi dell’art. 283 c.p.c. nel testo novellato dalla legge n. 353 del 1990, può disporre in presenza di “gravi motivi” é rimessa ad una valutazione globale d’opportunità, poiché tali motivi consistono per un verso nella delibazione sommaria della fondatezza dell’impugnazione (c.d. fumus boni iuris) e per altro verso nella valutazione del pregiudizio patrimoniale che il soccombente può subire (anche in relazione alla difficoltà di ottenere eventualmente la restituzione di quanto pagato) dall’esecuzione della sentenza (c.d. periculum in mora).
Questi i principi affermati dalla Corte d’Appello di Bari, sez. seconda, Pres. Di Leo – Rel. Dibisceglia, con l’ordinanza del 2 marzo 2016.
Nel caso di specie, parte appellata aveva eccepito nel suindicato gravame l’inammissibilità dell’appello proposto dalla Banca e la conseguente caducazione del decreto presidenziale di accoglimento della inibitoria, pronunciato inaudita altera parte, in quanto la banca non aveva atteso il termine acceleratorio di 30 giorni prima di impugnare dinanzi alla Corte l’ordinanza ex art. 186 quater del c.p.c..
Parte appellata sosteneva che la nuova formulazione dell’art. 186 quater del c.p.c. aveva abrogato la parte in cui prevedeva espressamente la rinuncia alla sentenza, di tal guisa era sempre necessario attendere il termine di giorni 30, concesso all’intimato per chiedere la pronuncia della sentenza, prima di poter impugnare l’ordinanza.
La Banca, invece, riteneva possibile l’impugnazione immediata dell’ordinanza al fine di paralizzare le statuizioni contenute nella gravata ordinanza ex art. 186 quater del c.p.c., con la semplice rinuncia alla sentenza contenuta nello stesso atto di appello e senza alcuna necessità di depositarla nella cancelleria del giudice a quo, così come avveniva sotto la previgente normativa.
La Corte barese, accogliendo la tesi difensiva della banca, ha rilevato, in effetti, la assoluta infondatezza dell’eccezione di inammissibilità dell’appello, atteso che la parte intimata non deve attendere lo spirare del termine di trenta giorni per conseguire la trasformazione dell’ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. in sentenza, dovendosi riconoscere che essa può anticipare questo effetto notificando un atto con il quale essa rinunci alla sentenza. Questa possibilità deve essere concessa alla parte intimata, la quale può avere interesse ad impugnare subito l’ordinanza di condanna al fine di conseguire la sospensione dell’esecuzione.
Ha precisato, altresì, la Corte barese che la sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado ( o, come nel caso di specie, dell’ordinanza ex art. 186 quater c.p.c.) che il giudice d’appello, ai sensi dell’art. 283 c.p.c., nel testo novellato dalla legge n. 353 del 1990, può disporre in presenza di gravi motivi, è rimessa ad una valutazione globale d’opportunità, poiché tali motivi consistono per un verso nella delibazione sommaria della fondatezza dell’impugnazione (c.d. fumus boni iuris) e per altro verso nella valutazione del pregiudizio patrimoniale che il soccombente può subire ( anche in relazione alla difficoltà di ottenere eventualmente la restituzione di quanto pagato) dall’esecuzione della sentenza (c.d. periculum in mora).
Nel caso di specie sussiste il fumus, stante alcune aporie della motivazione della sentenza, quali la mancata pronuncia sull’eccezione di prescrizione e la qualificazione giuridica dell’azione. Sussiste anche il periculum, in considerazione dell’entità della somma precettata, che potrebbe rendere impossibile o estremamente difficile il recupero di essa in caso di accoglimento dell’appello.
Per tali motivi, la Corte ha accolto l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva dell’ordinanza ex art. 186 quater c.p.c..
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