In tema di interessi usurari, le norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali che determinano la misura degli interessi in tassi così elevati da raggiungere la soglia dell’usura (introdotte con l’art. 4 L. 17 febbraio 1992 n. 154, poi trasfuso nell’art. 117 d.lgs. 1 settembre 1993 n. 385, e con l’art. 4 L. 7 marzo 1996, n. 108), pur non essendo retroattive, in relazione ai contratti conclusi prima della loro entrata in vigore, comportano l’inefficacia ex nunc delle clausole dei contratti stessi sulla base del semplice rilievo operabile d’ufficio anche dal giudice che il rapporto giuridico non si sia esaurito prima ancora dell’entrata in vigore di tali norme e che il credito della banca non si sia cristallizzato precedentemente.
Relativamente ad un rapporto contrattuale di durata, l’intervento nel corso di esso, di una nuova disposizione di legge diretta a porre, rispetto al possibile contenuto del regolamento contrattuale, una nuova norma imperativa condizionante l’autonomia contrattuale delle parti nel regolamento del contratto, in assenza di una norma transitoria che preveda l’ultrattività della previgente disciplina normativa non contenente la norma imperativa nuova, comporta che la contrarietà a quest’ultima del regolamento contrattuale non consente più alla clausola di operare, nel senso di giustificare effetti del regolamento contrattuale che non si siano già prodotti, in quanto, ai sensi dell’art. 1339 c.c., il contratto, per quanto concerne la sua efficacia normativa successiva all’entrata in vigore della norma nuova, deve ritenersi assoggettato all’efficacia della clausola imperativa da detta norma imposta, la quale sostituisce o integra per l’avvenire (cioè per la residua durata del contratto) la clausola difforme, relativamente agli effetti che il contratto dovrà produrre e non ha ancora prodotto.
Questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione, sez. prima, Pres. Giancola – Rel. Genovese, con la sentenza n. 17150 del 17.08.2016.
Nel caso considerato, una correntista proponeva ricorso per Cassazione avverso la pronuncia resa dalla Corte d’Appello di Catania che, da una parte, aveva dichiarato, rilevandola d’ufficio, la nullità parziale del contratto di conto corrente con riferimento alla clausola di trimestralizzazione degli interessi passivi e disposto il calcolo del saldaconto sulla base di un accertamento peritale ma, dall’altra, aveva respinto l’eccezione di nullità parziale della convenzione relativa agli interessi, in quanto determinabile.
La Banca, costituitasi in giudizio, resisteva con controricorso e memoria illustrativa e proponeva ricorso incidentale affidato a due motivi.
Con il primo motivo di ricorso, la correntista lamentava che la Corte territoriale, dopo aver dichiarato la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi, ed aver richiesto alcune CTU al fine di rideterminare i rapporti di dare ed avere tra le parti, aveva disposto il calcolo degli interessi su base annuale, in contrasto con l’orientamento di parte della giurisprudenza della Corte di cassazione che aveva stabilito, in casi analoghi, l’esclusione di ogni forma di capitalizzazione.
Con il secondo motivo, la ricorrente lamentava che la Corte aveva ritenuto valida la pattuizione del tasso di interesse nella misura di cinque punti percentuali sopra al tasso ufficiale di sconto e, comunque, non inferiore al 18 %, condannandola al pagamento degli interessi dalla data del decreto al soddisfo.
Con il terzo motivo, la ricorrente lamentava che la Corte territoriale aveva errato nel compensare le spese del giudizio di primo grado.
La Banca resistente, con il primo mezzo del ricorso incidentale, lamentava la contraddittoria motivazione in ordine al recepimento della seconda perizia contabile in luogo della prima, senza un accertamento ai fini della disapplicazione dell’art. 1194 c.c..
Con il secondo, lamentava il fatto che il giudice aveva invertito il contenuto della regola di imputazione di cui all’art. 1194 c.c. sulla base dell’opinione del consulente tecnico di parte del creditore e del CTU.
In particolare, in ordine alle censure mosse in punto di usura, in primo luogo, la Suprema Corte rigettava l’eccezione di non rilevabilità d’ufficio dell’usurarietà del tasso di interessi, richiamando il principio già espresso dal Giudice di legittimità, secondo cui “nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto da una banca nei confronti di un correntista, la nullità delle clausole del contratto di conto corrente bancario che rinviano alle condizioni usualmente praticate per la determinazione del tasso d’interesse o che prevedono un tasso d’interesse usurario è rilevabile anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 1421 c.c., qualora vi sia contestazione, anche per ragioni diverse, sul titolo posto a fondamento della richiesta di interessi, senza che ciò si traduca in una violazione dei principi della domanda e del contraddittorio, i quali escludono che, in presenza di un’azione diretta a far valere l’invalidità di un contratto, il giudice possa rilevare d’ufficio la nullità per cause diverse da quelle dedotte dall’attore”.
In secondo luogo, osservava che le norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali che determinano gli interessi con rinvio agli usi, o che fissano la misura in tassi così elevati da raggiungere la soglia dell’usura (introdotte, rispettivamente, con la L. 17 febbraio 1992, n. 154, art. 4, poi trasfuso nel D.Lgs. 1 settembre 1983, n. 385, art. 117, e con la L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 4), non sono retroattive, e pertanto, in relazione ai contratti conclusi prima della loro entrata in vigore, non influiscono sulla validità delle clausole dei contratti stessi, ma possono soltanto implicarne l’inefficacia ex nunc, rilevabile solo su eccezione di parte, non operando, perciò, quando il rapporto giuridico si sia esaurito prima ancora dell’entrata in vigore di tali norme ed il credito della banca si sia anch’esso cristallizzato precedentemente.
Infatti, relativamente ad un rapporto contrattuale di durata, l’intervento nel corso di essa, di una nuova disposizione di legge diretta ad introdurre una nuova norma imperativa condizionante l’autonomia contrattuale delle parti nel regolamento del contratto, in assenza di una norma transitoria che preveda l’ultrattività della previgente disciplina normativa non contenente la norma imperativa nuova, comporta che la contrarietà a quest’ultima del regolamento contrattuale non consente più alla clausola di operare, nel senso di giustificare effetti del regolamento contrattuale che non si siano già prodotti, mentre per quanto concerne la sua efficacia normativa successiva all’entrata in vigore della norma nuova, deve ritenersi assoggettato all’efficacia della clausola imperativa da detta norma imposta, la quale sostituisce o integra per l’avvenire (cioè per la residua durata del contratto) la clausola difforme, relativamente agli effetti che il contratto dovrà produrre e non ha ancora prodotto.
In altri termini, gli ermellini, ribadito il principio di irretroattività della disciplina antiusura introdotta dalla L. n. 108/1996, almeno in ordine ai rapporti contrattuali sorti e conclusi prima della sua entrata in vigore, osservavano che, in relazione ai contratti pendenti in quella data, dovesse operare l’inefficacia ex nunc delle clausole divenute usurarie per effetto del citato intervento normativo.
Per quanto suesposto, la Suprema Corte accoglieva solo parzialmente il ricorso, cassava la sentenza impugnata in ordine ai motivi accolti e rinviava la causa alla Corte d’Appello di Catania, in diversa composizione.
IL COMMENTO
Le decisione in questione lascia perplessi, in quanto la Suprema Corte non ha effettuato un esame approfondito della normativa, nè tantomeno ha valutato i precedenti in materia.
Con D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito con legge 28 febbraio 2001, n. 24, recante norme di interpretazione autentica della legge n. 108/1996, il legislatore ha statuito che «ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’art. 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento».
Con tale norma, è stato chiarito che ciò che conta, per la valutazione della usurarietà degli interessi è il momento genetico della pattuizione degli stessi, indipendentemente dal momento del pagamento, in virtù del principio dell’”irrilevanza” del superamento Tasso Soglia in corso di rapporto.
A tal proposito, il legislatore ha previsto che la sanzione della nullità (art. 1815, comma 2, c.c.) della normativa antiusura trovi applicazione solo nell’ipotesi di usura originaria, quale vizio genetico del contratto.
Nel corso degli anni, poi, si sono susseguite le seguenti decisioni:
Corte di Cassazione, sezione prima | 25-09-2013 | n.21885 ha poi stabilito che la legge 108/96 non ha carattere retroattivo per cui è lecito l’incasso degli interessi superiori alla soglia atteso che l’usurarietà va valutata solo con riguardo al momento genetico del rapporto, non rilevando le successive variazioni del tasso soglia. Tanto in quanto i criteri fissati dalla legge 7 marzo 1996, n. 108 per la determinazione del carattere usurario degli interessi non trovano applicazione con riguardo alle pattuizioni anteriori all’entrata in vigore della stessa legge, come emerge dalla norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 1, primo comma, D.L. 29 dicembre 2000, n. 394 (conv., con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2001, n. 24), norma riconosciuta non in contrasto con la Costituzione con sentenza n. 29 del 2002 della Corte Costituzionale.
Cassazione civile, sezione terza | 07-02-2014 | n.2821 ha stabilito che l’efficacia irretroattiva della legge anti-usura in quanto la normativa anti-usura prevista dalla legge 108/1996 non ha efficacia retroattiva e per questo motivo non è applicabile a quei rapporti contrattuali conclusi o risolti prima della sua entrata in vigore.
Cassazione civile, Sezione terza | 19-09-2014 | n.19729 ha la legge 108/96 non si può applicare ai rapporti completamente esauriti prima della sua entrata in vigore per cui il criteri introdotti dalla normativa antiusura di cui alla legge 7 marzo 1996 n.108 non possono essere applicati a rapporti completamente esauriti prima della sua entrata in vigore, senza che rilevi, in senso contrario, la pendenza di una controversia sulle obbligazioni derivanti dal contratto e rimaste inadempiute, le quali non implicano che il rapporto contrattuale sia ancora in atto, ma solo che la sua conclusione ha lasciato in capo alle parti, o ad una di esse, delle ragioni di credito.
Cassazione Civile, Sezione Terza, Pres. Salmè – Rel. Vivaldi | 10-02-2015 | n.2474 ha ribadito che l’usura oggettiva va determinata in riferimento al momento della pattuizione degli interessi, non già a quello della riscossione. La Legge n. 24/2001, di interpretazione autentica della Legge antiusura n. 108/1996, non ha efficacia retroattiva e non investe pertanto i rapporti già esauriti al momento dell’entrata in vigore della Legge del 1996.
Cassazione Civile, sez. prima, Pres. Forte – Rel. De Chiara 19-01-2016 n.801 ha dichiarato che al sistema dell’usura è inapplicabile la legge 108/96 alle pattuizioni precedenti la sua entrata in vigore per cui l’accertamento va condotto rispetto al momento della pattuizione e non della dazione. La natura usuraria del tasso di interesse va verificata con riguardo al momento della pattuizione e non a quello della dazione. Depone in tal senso l’art. 1 del D.L. n. 394/2000, norma interpretativa della L. n. 108/1996, derivando da ciò l’inapplicabilità del meccanismo dei tassi soglia alle pattuizioni di interessi stipulate in data precedente all’entrata in vigore della legge antiusura del 1996, ancorché riferite a rapporti perduranti anche dopo tale data.
La decisione in commento non chiarisce la portata della pronunzia, in quanto, pur precisando che la disciplina non ha efficacia retroattiva, ha stabilito, senza ulteriori specificazioni, la inefficacia ex nunc delle clausole dei contratti stipulati ante L.108/1996.
Invero, potrebbe intravedersi un clamoroso ripensamento in ordine alla tesi dell’USURA SOPRAVVENUTA, atteso che le precedenti decisioni in merito, risultano incompatibili con quella in oggetto, avendo queste ultime ben chiarito che la pendenza di una controversia sulle obbligazioni derivanti dal contratto e rimaste inadempiute, non implica che il rapporto contrattuale sia ancora in atto, ma solo che la sua conclusione ha lasciato in capo alle parti, o ad una di esse, delle ragioni di credito.
La cosa ben più grave è che il Giudice di legittimità ha deciso senza valutare i pregressi orientamenti, così alimentando un quadro di generale incertezza tecnica.
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