Procedimento patrocinato dallo Studio Legale Filesi
LA MASSIMA
La garanzia atipica (patto di ripresa), configurando una garanzia in favore del concedente, con il fine di trasferire al venditore originario il rischio della mancata conclusione del contratto o dalla sua risoluzione, ha causa autonoma, sicchè non trova applicazione l’art. 1957 c.c.
Questi i principi come ricavabili dalla sentenza del Tribunale di Roma n. 22955 Giudice estensore Dott. Simone Antonio Castelnuovo, pubblicata in data 10 dicembre 2016.
IL CASO
Una società proponeva opposizione avverso decreto ingiuntivo di pagamento, nella qualità di coobbligata solidale unitamente alla parte utilizzatrice dei beni concessi in leasing, obbligata principale, deducendo fra l’altro la esclusione della garanzia fidejussoria e l’estinzione della stessa garanzia ex art. 1957 c.c; chiedeva indi l’autorizzazione alla chiamata in causa del terzo, il lessee.
Si costituiva in giudizio la opposta società di locazione finanziaria, contestando le deduzioni dell’opponente e chiedendo la reiezione della opposizione.
Istruita la causa, non concessa la provvisoria esecuzione, autorizzata la chiamata del terzo, non ammessi i mezzi istruttori e tentata senza esito la conciliazione, la causa veniva decisa, con il rigetto integrale della opposizione e la condanna di parte opponente al pagamento delle spese di lite.
In particolare il Tribunale di Roma ha evidenziato che la garanzia atipica prestata dalla opponente (patto di ripresa), configura una garanzia in favore del concedente, con il fine di trasferire al venditore originario il rischio della mancata conclusione del contratto o dalla sua risoluzione, cha ha causa autonoma; ancora osservando il giudice di prime cure che la opponente si era obbligata irrevocabilmente al riacquisto del macchinario, o di quanto ne restava, oggetto del contratto di leasing; dalla conseguenza di quanto testé affermato, derivando quindi il suo naturale corollario, fondato sulla inapplicabilità dell’art. 1957 c.c., ossia su quell’onere del creditore di far valere tempestivamente le proprie ragioni nei confronti del debitore principale, che configura uno stretto collegamento della garanzia al contratto di finanziamento (Cass. 3947/2010).
IL COMMENTO
Sulla valenza giuridica del patto di riacquisto quale garanzia accessoria dei contratti di locazione finanziaria, come tali meritevoli di tutela ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1322 c.c., si è ovviamente occupata (l’ovvio è dato dal notevole contributo giurisprudenziale offerto dal Foro), la giurisprudenza di Milano a partire dagli anni ’80; già la Corte di Appello, con sentenza 5/12/1986 (in Rivista italiana leasing, 1987, 227), affermava che il patto di riacquisto ha natura di garanzia atipica, essendo diretto a trasferire sul venditore originario il rischio derivante al concedente dall’inadempimento al contratto di locazione finanziaria dell’utilizzatore; affermava quivi la Corte distrettuale che al caso si applicava, in via analogica, l’art. 1956 c.c.; ancora il Tribunale di Milano, con sentenza in data 09/03/1987 (in Banca Borsa tit. cred.,1988,II,362), affermava che il cosiddetto patto di riacquisto, che attua la retrovendita – dal concedente al fornitore – del bene concesso in leasing, sotto la condizione sospensiva dell’inadempimento dell’utilizzatore, è un negozio giuridico atipico di garanzia, collegato al contratto di leasing, le cui finalità sono meritevoli di tutela e la cui esecuzione deve avvenire secondo buona fede; ed ancora il Tribunale di Monza, con sentenza del 13/10/1987 (in Rivista italiana leasing, 1987,751), affermava che il patto di riacquisto ha natura giuridica di proposta irrevocabile, cui non è estranea una funzione di garanzia in senso lato; si cita da ultimo la Corte di Appello di Genova, che con sentenza del 1/03/1993, (in Rivista Italiana leasing, 1994,660) ha affermato che il patto di riacquisto può essere configurato come negozio costitutivo di garanzia atipica, del quale però difetta dei presupposti per l’applicazione dell’art. 1956 c.c., in quanto, nel caso di specie, non si ravvisava alcuna successione temporale tra la prestazione della garanzia e l’assunzione della posizione debitoria dell’utilizzatore garantito.
Il punto nodale evidentemente affrontato caso per caso dai giudici di merito, atteneva alla esatta interpretazione, caso per caso, del regolamento di interessi sottoscritto fra le parti dietro il nomen juris di patto di riacquisto, ma era ancora “in ombra” la effettiva devoluzione al giudice di merito, dell’accertamento relativo alla distinzione, in concreto, tra contratto di fideiussione e contratto autonomo di garanzia quale discrimen per la applicazione tout court, nel primo caso, delle norme di cui all’art. 1936 e ss. c.c., in luogo di una diversa ed invece qualificazione giuridica del patto di riacquisto quale garanzia autonoma, tale da consentirne anche il distacco dalla disciplina tipica della fideiussione in senso stretto, quali:
A) la previsione, o meno, del beneficio della preventiva escussione dell’obbligato principale, non prima della quale il creditore possa escutere la garanzia nei confronti del fideiussore (cfr. art. 1944 II co. c.c.);
B) la previsione, o meno, di quanto disposto all’art. 1956 c.c. sulla liberazione del fideiussore per obbligazione futura;
C) la previsione, o meno, delle esimenti di cui all’art. 1957 c.c., giusta il quale il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purché il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate.
Negli anni, cioè, in cui trovava ingresso nella aule dei giudici di merito la disciplina del patto di riacquisto, quale accessorio del contratto di locazione finanziaria, più che la discussione in merito alla prevalenza degli elementi della accessorietà tipica della fideiussione, rispetto ai tratti distintivi di una garanzia autonoma (cui la giurisprudenza di merito e poi di legittimità giunge a disquisire molto più tardi), il thema decidendum appariva essere concentrato esclusivamente sulla lettura esegetica del patto, il regolamento di interessi ad esso sotteso, l’interesse delle parti effettivamente perseguito, concentrandosi, la attenzione dei giudici, sull’essere o meno pattuito il riacquisto per realizzare una garanzia atipica in favore dell’acquirente, in luogo di una nuova vendita atta a realizzare un reciproco interesse delle parti meritevole di tutela, dalla quale discendeva e quindi l’obbligo da parte del lessor, in forza della disciplina legale del contratto di compravendita, ai sensi dell’art. 1476 comma 1 c.c., alla effettiva consegna della cosa, con la conseguente impossibilità di liberarsi dalla obbligazione di consegna, solo con il mero trasferimento della disponibilità giuridica della cosa stessa.
Illuminante a tal fine, quasi ad aprire un fronte nuovo sulle diverse casistiche portate all’esame dei giudici di merito, l’intervento della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 9050 del 28/08/1995, che statuì la ben possibilità che le parti pattuissero che la consegna (materiale) fosse effettuata con la semplice messa a disposizione del bene, restando però a carico del fornitore rectius l’obbligato alla ripresa, gli oneri e le spese dell’effettiva appropriazione. Il soggetto giuridico, infatti, al quale per eccellenza era attribuito il ruolo di obbligato al riacquisto, generalmente era lo stesso fornitore. Ed ancora la sentenza di legittimità appena citata, esponendo che qualora il patto di riacquisto, da parte del fornitore, di un bene concesso dall’acquirente all’utilizzatore a titolo di leasing, sia stato stipulato non per realizzare una garanzia atipica a favore del concedente, ma a tutela di un interesse del fornitore, il concedente, che di quel patto intenda avvalersi, è tenuto non solo a trasferire al fornitore la disponibilità giuridica del bene, ma anche a consegnarlo, a nulla rilevando in senso contrario che il fornitore si sia assunto contrattualmente le spese occorrenti per il recupero del bene.
Sempre la Suprema Corte, con la sentenza n. 15199 del 19/07/2005, ha poi statuito che al c.d. patto di riacquisto, quando pur autonomo rispetto al contratto di leasing, sia qualificabile come accessorio di quest’ultimo (in quanto strumentale a garantire l’adempimento di altra obbligazione pecuniaria in esso prevista) e quindi non come garanzia autonoma o atipica, si rendono applicabili le disposizioni della fideiussione e, tra queste, la norma di cui all’art. 1957 c.c. alla scadenza della obbligazione principale. Ha affermato la Suprema Corte, con la stessa sentenza, che il patto di riacquisto autonomo, ma funzionalmente collegato ad un contratto di leasing, va qualificato come contratto di garanzia se il prezzo di riacquisto è fissato con riferimento al debito dell’utilizzatore, senza che debba avvenire in rilievo l’elemento della corrispettività proprio della causa alienandi della vendita. I principi di diritto e le massime come ricavabili attraverso la lettura integrale della sentenza in argomento, si soffermavano indi ancora sul caso della stipula da parte del lessor con il fornitore dei beni stessi, di un patto di riacquisto in caso di risoluzione anticipata del contratto di leasing per inadempimento del locatario e tale patto sia qualificato dal giudice di merito come un contratto di garanzia, concludendo che nel caso si versava in ipotesi non di garanzia autonoma, per configurare la quale occorre che manchi l’elemento dell’accessorietà, ma di garanzia fideiussoria riconducibile allo schema tipico della fideiussione, con la conseguente applicabilità della già più volte richiamata norma di cui all’art. 1957 c.c. Orbene il Tribunale di Roma, con la sentenza oggi in commento, ha evidentemente escluso dalla lettura del patto, la natura di nuova vendita, ravvisando al contrario e sempre dalla lettura dello stesso, la sussistenza di un negozio di garanzia, come tale meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c.
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