L’intervento di chi vanta un credito privilegiato e si trova in una delle condizioni previste dall’art. 499 c.p.c., comma 1, il quale abbia luogo tardivamente rispetto ai termini fissati del medesimo art. 499 c.p.c., comma 2 (e quindi dopo che sia stata tenuta l’udienza di autorizzazione alla vendita prevista, per l’espropriazione presso terzi, dagli artt. 530 e 551 c.p.c.), preclude l’attivazione del subprocedimento di verificazione previsto da quella norma e comporta che il credito si abbia per disconosciuto, ma non rende inammissibile l’intervento, prevalendo la disciplina dell’art. 551 (o, per le espropriazioni mobiliari presso il debitore e quelle immobiliari, rispettivamente quella degli artt. 528 o 566) c.p.c. con la conseguenza che, per conseguire il diritto quanto meno all’accantonamento in sede di distribuzione, il creditore privilegiato, non titolato e interventore tardivo, deve presentare istanza in tal senso e dimostrare di avere agito, entro i trenta giorni dall’equipollente dell’udienza in cui avviene il mancato riconoscimento e quindi dalla data stessa dell’intervento tardivo, per conseguire il titolo esecutivo mancantegli nei confronti dell’esecutato.
Questo il principio espresso dalla Cassazione Civile, sez. terza, Pres. Salmè – Rel. De Stefano, con la sentenza n. 774 del 19.01.2016 con una chiara ed esaustiva spiegazione delle regole giuridiche che disciplinano l’intervento tardivo, non titolato.
Nel caso di specie, nell’ambito di una procedura di espropriazione presso terzi intrapresa da un creditore procedente, in danno di un debitore esecutato e presso il terzo Banca, avente ad oggetto quote di fondi comuni di investimento, dopo l’emissione dell’ordinanza di vendita da parte del giudice dell’esecuzione aveva spiegato intervento, in base a credito non fondato su titolo esecutivo, la Banca, quale creditore titolare di un diritto di pegno (costituito anteriormente al pignoramento) sui medesimi beni staggiti.
Esaurita la fase liquidativa, il G.E. aveva disposto il pagamento in favore del solo creditore procedente dell’intero ricavato della vendita, nulla statuendo in ordine all’intervento dell’istituto bancario.
Avverso detta ordinanza aveva spiegato opposizione agli atti esecutivi la Banca, deducendo l’illegittimità dell’omessa assegnazione in suo favore del ricavato con collocazione privilegiata ovvero, quantomeno, dell’omessa assegnazione del residuo ricavato all’esito della soddisfazione del creditore procedente.
Il Tribunale di Vicenza aveva rigettato l’opposizione e la Banca aveva, dunque, proposto ricorso per Cassazione, affidato ad un unico ed articolato motivo, a cui resisteva con controricorso il creditore procedente.
In particolare, il Tribunale aveva ritenuto che la opponente Banca, pur titolare del diritto di pegno sui beni oggetto dell’espropriazione, non potesse nè partecipare alla distribuzione della somma ricavata nè fruire dell’accantonamento di somme, per avere spiegato il proprio intervento non titolato oltre il limite temporale sancito dall’art. 499 c.p.c., comma 2 e non avere attivato il subprocedimento di ricognizione del credito regolato dai commi quinto e sesto dello stesso articolo, subprocedimento cui doveva “necessariamente” sottoporsi ogni creditore intervenuto senza titolo, privilegiato o chirografario, ai fini della distribuzione o anche soltanto del mero accantonamento.
A sostegno dell’unico motivo di ricorso la Banca deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 499 e 528 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e, dunque, l’ammissibilità nell’esecuzione mobiliare dell’intervento tardivo di un creditore privilegiato sprovvisto di titolo esecutivo, esperibile in ogni momento della procedura purchè prima dell’adozione del provvedimento di distribuzione, nonché l’ininfluenza del tempo dell’intervento sull’operare della causa legittima di prelazione, cioè il diritto alla soddisfazione in via preferenziale sul ricavato della vendita del creditore privilegiato, ancorchè tardivamente intervenuto.
La Suprema Corte osservava che, per effetto di una radicale innovazione dell’impianto previgente, la legge ha delineato un modello di procedimento esecutivo definito “a porte chiuse”, caratterizzato cioè da una significativa limitazione della possibilità del concorso di altri creditori, consentito ai creditori muniti di titolo esecutivo che circoscriveva solo a fattispecie eccezionali, tassativamente predeterminate dalle legge, le ipotesi di intervento di creditori non muniti di titolo esecutivo.
L’art. 499 c.p.c., in effetti, individua tre tipologie di possibili interventori non assistiti da titolo esecutivo, abilitando a tanto i creditori che, al momento del pignoramento: a) abbiano eseguito un sequestro sui beni staggiti; b) vantino su detti beni un diritto di pegno o un diritto di prelazione risultante da pubblici registri, oppure ancora; c) siano titolari di un diritto di credito di una somma di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c..
Gli ermellini rilevavano che la mancanza di un titolo esecutivo a base dell’intervento aveva indotto il legislatore ad apprestare, a tutela del debitore esecutato, un sistema di controllo sull’ an e sul quantum della pretesa creditoria affermata dall’interventore, compatibile con la struttura del processo esecutivo e con i limitati poteri di accertamento cognitivo tipicamente devoluti al giudice dell’esecuzione; di qui, la previsione da parte dell’art. 499 c.p.c. di una sorta di parentesi incidentale e parallela all’ordinario corso della procedura, nel quale l’accertamento del credito si compie in maniera semplificata, sottratta ad ogni apprezzamento di natura discrezionale del giudice dell’esecuzione, giacchè esclusivamente condizionata dal contegno serbato dal debitore esecutato.
Grava su quest’ultimo, infatti, ad avviso della Corte, uno specifico onere di contestazione del credito dell’interventore non titolato, da esercitarsi in un’udienza ad hoc fissata: in caso di riconoscimento della pretesa il creditore intervenuto non titolato acquista la facoltà di partecipare alla distribuzione della somma ricavata per l’intero ed in modo pieno, ossia al pari di un creditore titolato e senza necessità di munirsi di titolo esecutivo; qualora invece il debitore effettui il disconoscimento, al creditore non riconosciuto viene garantito soltanto l’accantonamento in sede distributiva degli importi per i quali egli sarebbe stato utilmente collocato nel riparto.
Il deposito del ricorso oltre il termine fissato comporta infatti la postergazione in sede distributiva dell’interventore tardivo e non incide sull’ammissibilità stessa dell’intervento, per la quale i codice stabilisce una soglia molto più spostata in avanti e correlata, in definitiva, al momento terminale della procedura (nelle procedure mobiliari e presso terzi, sino all’emissione del provvedimento di distribuzione; nelle esecuzioni immobiliari, sino all’udienza fissata per la discussione sul progetto di distribuzione).
Ad avviso della Corte adita, invero, ascrivere all’inosservanza del termine per il deposito del ricorso ex art. 499, comma 2, c.p.c., efficacia preclusiva degli interventi non titolati, avrebbe introdotto una ulteriore, ingiustificata diseguaglianza di trattamento tra creditori titolati e non, finendo per disincentivare contraddittoriamente il sistema deflattivo dell’intervento non titolato, rendendolo eccessivamente gravoso.
Il Giudice di legittimità osservava che l’intero sistema dell’intervento non titolato risulta articolato in due subprocedimenti o fasi: a) una prima, in cui alla carenza di titolo si sopperisce con la ficta confessio del debitore; b) una seconda, cui il creditore accede in dipendenza dell’esito dell’esercizio di tale facoltà concessa al debitore, ovvero, in mancanza, proponendo nei trenta giorni successivi al disconoscimento, l’azione per conseguire un valido titolo esecutivo.
Al di fuori di questo sistema, l’intervento è radicalmente escluso.
In via riepilogativa, l’assolvimento dell’onere di depositare il ricorso prima che sia tenuta l’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione ai sensi degli artt. 530, 552 e 569 permette al creditore intervenuto non assistito da titolo esecutivo l’attivazione del subprocedimento di verifica regolato dall’art. 499 c.p.c., commi 5 e 6 e gli consente, quindi, di potersi giovare, in caso di riconoscimento, anche tacito, da parte del debitore, dell’ammissione diretta alla seconda fase, cioè quella di distribuzione del ricavato in posizione paritaria rispetto ai creditori titolati.
Tuttavia, l’eventuale ritardata iniziativa processuale dell’interventore non titolato non può, per le esigenze di coerenza del sistema e per la garanzia della par condicio creditorum, nè sopprimere le garanzie offerte al debitore, nè recidere in maniera netta le possibilità di soddisfazione del credito in tal modo fatto valere: si deve piuttosto riconoscere, che l’intervento non titolato spiegato alla udienza in cui è disposta la vendita produca un effetto processuale di minore portata rispetto all’accesso immediato e paritario al riparto; quest’ultimo è e resta condizionato o alla sussistenza di un titolo o al conseguimento, da parte del creditore, di quel suo specifico surrogato consistente nel riconoscimento (anche tacito) del credito non titolato conseguente alla condotta del debitore.
La Suprema Corte rilevato che, nella vicenda de qua, la ricorrente, interventrice tardiva e non titolata, non aveva minimamente dedotto di avere, prima o dopo l’intervento, esperito, nei termini di legge, un’azione tesa alla costituzione di un titolo esecutivo in danno del debitore esecutato, requisito indefettibile, della fattispecie costitutiva del diritto all’accantonamento, rigettava il ricorso condannando la ricorrente al pagamento delle spese di lite.
In conclusione: intervento tardivo, non titolato, sempre ammissibile a condizione che il creditore si attivi nei successivi trenta giorni proponendo l’azione per l’acquisizione del titolo esecutivo.
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno