LA MASSIMA
Solo nell’ambito di un servizio di gestione di portafoglio, ove effettivamente voluto dalle parti in contratto, l’intermediario è tenuto ad informare il cliente nel caso di perdite, effettive o potenziali.
L’obbligo informativo, invece, non sussiste nell’ambito del mero servizio di esecuzione di ordini da parte dell’intermediario finanziario in favore del cliente, giacchè distinte ed autonome le obbligazioni contenute all’interno di un contratto quadro, rispetto alle obbligazioni derivanti da un separato contratto di consulenza, ove effettivamente esistente.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Milano, sez. sesta, Dott. Antonio S. Stefani, con la sentenza n. 5717, pubblicata in data 6 maggio 2016.
IL CASO
Nel caso in oggetto, un investitore invocava l’accertamento e la declaratoria di nullità o inefficacia dell’ordine di acquisto di obbligazioni emesse dalla Banca USA LEHMAN BROTHERS (Holdings Inc.), giacchè asseritamente impartito in base ad un contratto quadro dell’anno 1992 non sottoscritto dalla Banca, nè consegnato ai clienti, oltre che non adeguato alla normativa sopravvenuta di cui ai d.lgs. 415/1996 e 58/1998.
Orbene il Tribunale di Milano, ha premesso che anche la legge n. 1/1991, in vigore al momento della conclusione del contratto relativo alla negoziazione, sottoscrizione e raccolta di ordini concernenti valori mobiliari, prevedeva all’art. 6, comma 1, lett. e), che gli intermediari “devono stabilire i rapporti con il cliente, stipulando un contratto scritto nel quale siano indicati la natura dei servizi forniti, le modalità di svolgimento dei servizi stessi e l’entità e i criteri di calcolo della loro remunerazione, nonché le altre condizioni particolari convenute con il cliente; copia del contratto, dovendo essere consegnata contestualmente al cliente“.
La successiva normativa invocata dagli attori, esplicitava quindi la necessità della forma scritta del documento contrattuale, a pena di nullità; benchè agli atti del procedimento, fosse stata comunque acquisita la copia del contratto, sottoscritta dagli attori.
Quanto alla lamentata nullità, il giudice ha indi evidenziato in primis la differenza normativa tra il disposto dell’art. 23 TUF e l’art. 1350 c.c., mentre secondo la norma codicistica, alcuni contratti “Devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata, sotto pena di nullità“, il citato art. 23 prevede che “I contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento e accessori, sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti. … Nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo e la nullità può essere valere solo dal cliente.”
Nella fattispecie, la norma richiamata tende a tutelare l’interesse del contraente più debole, il quale è, infatti, l’unico soggetto legittimato ad eccepire la nullità, non l’interesse pubblico relativo alla forma scritta dell’atto, che non è destinato alla trascrizione in pubblici registri o comunque a spiegare effetti rilevanti verso i terzi.
In buona sostanza, il Giudice ha spiegato che la finalità perseguita dal legislatore con le nullità di protezione, anche a seguito dell’impulso fornito dalla normativa comunitaria, è quella di evitare, in questo come in altri settori, quale quello dei consumatori, la possibilità di concludere contratti contenenti clausole fortemente squilibrate a danno del soggetto più debole o di consentire un assetto contrattuale che comporti per il contraente debole difficoltà od ostacoli per la comprensione e l’esercizio dei propri diritti.
Tale peculiare profilo del vizio in esame, non sembra agli occhi dello stesso giudice essere stato comunque valorizzato dalle recenti decisioni della Suprema Corte ( Cass. n. 5919/2016 e n. 7068/2016), che si sarebbero espresse in senso contrario (per inciso i giudici della legge, con la sentenza n. 5919/16, hanno affermato che in tema di contratti per i quali la legge richiede la forma scritta “ad substantiam”, la produzione in giudizio della scrittura da parte del contraente che non l’ha sottoscritta, realizza un equivalente della sottoscrizione, con conseguente perfezionamento del contratto con effetti “ex nunc” e non “ex tunc”, essendo necessaria la formalizzazione delle dichiarazioni di volontà che lo creano; da ciò conseguendo che tale meccanismo non opera se l’altra parte abbia “medio tempore” revocato la proposta, ovvero se colui che aveva sottoscritto l’atto incompleto non sia più in vita nel momento della produzione, determinando la morte, di regola, l’estinzione automatica della proposta (art. 1329 c.c.), non più impegnativa per gli eredi. Nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto che il contratto quadro di investimento mobiliare formalmente non sottoscritto dalla banca, si fosse perfezionato solo dal momento della produzione nel giudizio intrapreso dall’investitore nei confronti dell’intermediario, con la conseguente inefficacia del pregresso ordine di acquisto del cliente. Sempre i giudici della legge, con la sentenza n. 70368/16, hanno affermato invece che la nullità del contratto di negoziazione per mancanza di forma scritta, incide sulla validità dei successivi ordini di investimento, stante l’esclusione di ogni forma di convalida del primo, ex art. 1423 c.c.).
Nel caso di specie, il Tribunale di Milano ha rilevato che il testo contrattuale era stato redatto in forma scritta e che il cliente ne era in possesso, avendo, infatti, gli attori sottoscritto una esplicita dichiarazione di ricezione del documento.
Parte attrice non aveva allegato sul punto alcuna prova orale ed, inoltre, in decenni di esecuzione del contratto, non era stata avanzata alcuna doglianza relativa alla mancanza di disponibilità del testo contrattuale, atteso che, peraltro, il contratto aveva avuto regolare ed incontestata esecuzione per anni.
Il disposto dell’art. 23 TUF, risultava quindi del tutto rispettato, tanto da non consentire l’accesso alla invocata domanda di nullità del contratto quadro e, conseguentemente, dell’ordine di acquisto.
Inoltre la Banca aveva comunicato in forma scritta la propria volontà di avvalersi del contratto, con l’effetto di perfezionarlo, trasmettendo al cliente la conferma di esecuzione dell’ordine, nonché gli estratti conto prodotti in atti.
Per quanto riguarda l’adeguamento alla normativa sopravvenuta, il Giudice ha rilevato che il contratto portato all’esame conteneva i requisiti di cui al citato art. 6 della legge n. 1/1991, pressoché sostanzialmente rispondenti al disposto dell’art. 30, reg. Consob 11522/1998, emanato in attuazione del TUF., essendo onere di parte attrice specificare quali elementi necessari difettassero nella fattispecie.
Gli attori avevano inoltre lamentato di non essere stati informati dell’andamento del titolo acquistato, in violazione del disposto dell’art. 21 TUF e dello specifico impegno assunto con l’ordine, laddove era riportata la seguente annotazione:“Il titolo fa parte fa parte dell’elenco delle obbligazioni a basso rischio-rendimento omissis emesso alla data dell’ordine.Il cliente sarà tempestivamente informato nel caso di una variazione significativa del livello di rischio.N.B.: In base agli andamenti del mercato il titolo negoziato potrà uscire dall’elenco successivamente alla data dell’ordine.”.
Sul punto, il Tribunale ha osservato che per quanto riguarda la disciplina legale, in forza del disposto dell’art. 28, comma 4, reg. Consob 11522 già citato, solo nell’ambito del servizio di gestione di portafoglio l’intermediario sarebbe stato tenuto ad informare il cliente nel caso di perdite, effettive o potenziali, in misura pari o superiore al 30% del patrimonio affidato, non sussistendo, viceversa, alcun obbligo nell’ambito del mero servizio di esecuzione di ordini, come nel caso oggetto di contestazione.
Per quanto riguarda, invece, la portata della clausola, ha osservato il Tribunale che essa innanzitutto faceva esplicito riferimento all’iniziativa del Consorzio che aveva, tra l’altro, curato la pubblicazione di una lista di obbligazioni a basso rischio e basso rendimento (OBBRR), nella quale era inserito il titolo LEHMAN BROTHERS, oggetto di causa, non prevedendo, peraltro, in capo all’intermediario l’impegno a comunicare ogni variazione significativa del livello di rischio, proprio perché il contratto stipulato non era di gestione del portafoglio.
In buona sostanza, l’interpretazione sistematica e secondo buona fede delle clausole contrattuali, imposta dagli art. 1363 e 1366 c.c., imponeva di ritenere che l’impegno assunto dalla Banca era speculare e conseguenziale a quello del Consorzio, nel senso che la Banca avrebbe tempestivamente trasmesso le notizie eventualmente comunicate dal Consorzio stesso, non potendo, viceversa, la clausola essere interpretata come istitutiva di un autonomo impegno della Banca a monitorare in proprio il titolo e ad informarne il cliente: in tal caso infatti non avrebbe avuto senso il richiamo all’inserimento del titolo nella lista curata dal Consorzio.
Infine, il Tribunale di Milano, ha osservato che la clausola in esame, subito dopo l’impegno di comunicazione della variazione di rischio, aveva avuto cura di precisare che il titolo poteva uscire dall’elenco, gestito dal Consorzio; confermando l’estrema difficoltà se non anche la impossibilità derivante dalla natura a “singhiozzo” della clausola, tale per cui il primo e il terzo periodo potessero essere riferiti al Consorzio, di contra il secondo creando un nuovo e autonomo obbligo per la Banca.
Tale interpretazione peraltro comportava anche ostacoli di carattere logico e pratico, giacchè una autonoma valutazione della Banca si sarebbe sovrapposta in modo non coordinato a quella propria del Consorzio, che aveva adottato anche precisi parametri, sulla base dell’andamento dell’indice VaR, per le informazioni ai clienti e per la fuoriuscita di un titolo dalla lista OBBRR.
La stessa parte attrice aveva inoltre riconosciuto che la clausola in esame era standardizzata e imposta dal Consorzio, il che confermava che nessun impegno autonomo era stato con essa assunto dall’intermediario.
La Banca convenuta risultava quindi avere tempestivamente adempiuto ai propri impegni, mentre era ovvio che eventuali censure circa l’operato del Consorzio, dovessero essere rivolte a quel distinto soggetto.
Le domande di parte attrice sono state, dunque, totalmente rigettate.
IL COMMENTO
Gioverà ricordare, all’esito della esposizione del caso, quanto già ripetutamente affermato sull’argomento da parte della giurisprudenza di merito, laddove essa ha costantemente evidenziato che il fallimento della Lehman Brothers fosse evento del tutto imprevisto e imprevedibile e, pertanto, non imputabile agli intermediari finanziari.
I titoli obbligazionari emessi dalla Banca statunitense, infatti, non presentavano nel mese di marzo 2007 profili di rischiosità, in quanto l’abbassamento del rating si era verificato nel corso dell’anno 2008, non disponendo l’intermediario, al tempo, elementi di conoscenza, tali da far presumere il sopravvenire della situazione di default dell’emittente ( cfr per tutte Tribunale Firenze, sez. III, 20/02/2014, n. 587; in senso conforme, Sez. Un. civ., 19 dicembre 2007, n. 26724; Sez. Un. civ., 19 dicembre 2007, n. 26725; Trib. Firenze, 6 luglio 2007; Trib. Milano, 15 settembre 2008; Trib. Venezia, 5 novembre 2009; Trib. Rimini, 27 marzo 2013; Trib. Firenze, 17 gennaio 2014; Cass. civ., 10 aprile 2014, n. 8462; Trib. Torino, 10 giugno 2014).
Il “rating” elevato (superiore ad A-) mantenuto dalla Lehman Brothers fino al suo crack costituiva quindi un elemento obiettivo ostativo a far ritenere (in difetto di elementi contrari della cui prova è onerato il cliente), che le proprie obbligazioni avessero subito una variazione significativa del livello di rischio, né potendosi considerare come variazione significativa del tasso di rischio, ingenerante per l’intermediario aderente al Consorzio, l’obbligo di informare tempestivamente il cliente di un negativo andamento del titolo, la circostanza che l’obbligazione Lehman Brothers nell’autunno 2007 fosse qualificata “con classe di rischio 3 e cioè medio alta“( cfr Corte appello Trieste, 11/05/2012).
Ed ancora sul punto, il Tribunale di Palermo sez. terza, 05/04/2011, ha affermato che non sussiste la responsabilità del “ Consorzio ” per aver inserito nel proprio elenco di obbligazioni a basso rischio quelle della Banca Lehman Brothers, in ragione delle positive valutazioni espresse dalle agenzie di rating e dell’avvenuta determinazione dell’indice di rischio denominato “ Var ”.
Merita allora un richiamo la sentenza oggi in commento, laddove essa si è anche sottratta da una ricostruzione dogmatica, ulteriore rispetto agli obblighi informativi ed i doveri di correttezza e di buona fede previsti in generale dal codice civile (artt. 1175 e 1375 c.c.), a carico di entrambe le parti.
Parte della dottrina e dalla giurisprudenza, infatti, riconducendo la dinamica dei contratti d’intermediazione finanziaria, nell’ambito delle categorie desumibili dal codice civile e tentando di ricondurre all’intermediario l’obbligo ad adempiere i doveri di informazione e trasparenza, con la diligenza richiesta dall’art. 1176, comma 2, c.c., in modo da non suscitare affidamenti lesivi negli investitori (di contra l’investitore dovendo tenere una condotta diligente, a cagione del tasso di rischiosità dell’investimento che si accinge a compiere), è andata oltre quanto ad intensità dell’obbligo informativo, rilevando che gli specifici e puntuali obblighi d’informazione attiva e passiva di cui all’art. 21, lett. b) del d.lgs. n. 58/1998, farebbero sì che “… la prestazione dei servizi di investimento …vada assoggettata… ad una disciplina diversa e più intensa rispetto a quella discendente dall’applicazione delle regole di correttezza previste dal nostro codice”.
L’intermediario, stando a questa interpretazione, sarebbe addirittura obbligato a sindacare la valutazione degli interessi del cliente, emergenti dalle scelte di investimento via via effettuate dal cliente stesso, nonché a perseguirne gli interessi.
Orbene, il Tribunale di Milano, nella fattispecie decisa, effettua un netto distinguo tra contratto quadro sottoscritto tra Banca e cliente, dal quale derivi il servizio di esecuzione degli ordini impartiti dal secondo al primo, rispetto ad un diverso ed eventuale ulteriore contratto per la gestione del portafoglio del cliente, dal quale far derivare ulteriori obblighi e/o doveri di informativa dalla Banca al cliente, aventi ad oggetto l’impegno a comunicare una variazione significativa del livello di rischio; risultando dette ulteriori obbligazioni, al contrario, riservate ad altro e distinto soggetto giuridico, mai convenuto dalla parte attrice, nel caso portato all’esame.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
TALE ASPETTO NON PUÒ INCIDERE SULLA GENESI DELL’ATTO NEGOZIALE
Sentenza | Tribunale di Ragusa, Dott.ssa Antonietta Donzella | 02.01.2017 | n.2
LEHMAN BROTHERS: NON SUSSISTONO OBBLIGHI DI INFORMAZIONE “CONTINUATIVA” A CARICO DELL’INTERMEDIARIO
INFONDATA LA DOMANDA RISARCITORIA DELL’INVESTITORE
Sentenza | Tribunale di Padova, dott. Silvia Rigon | 31.10.2016 | n.2986
SE IL CLIENTE HA GIÀ INCASSATO CEDOLE, NON PUÒ DOLERSI DELL’ESITO DI UNA SOLA OPERAZIONE SFAVOREVOLE
Sentenza Tribunale di Bari, sez. stralcio di Rutigliano, dott.ssa Marisa Attollino 08-03-2016 n. 1274
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