Procedimento patrocinato dallo Studio Legale Filesi
Nella esperienza pratica del leasing, sono diffusi i casi ascrivibili al combinato disposto degli artt. 2756 e 2797 c.c.; nessun dubbio, infatti, quanto alla possibilità di esercizio del diritto di ritenzione, anche nei confronti del proprietario che abbia concesso in leasing la cosa all’utilizzatore, il quale ad esempio abbia contrattato con il depositario, avendo il privilegio di cui all’art. 2756 c.c..
La Suprema Corte di Cassazione, intervenuta sul tema, ha confermato il principio suddetto, qualora chi ha fatto le prestazioni o le spese sia stato in buona fede.
La buona fede del creditore, identificandosi con l’ignoranza non già del difetto di titolo dell’affidante a trasferire il dominio, ma del difetto di capacità di affidare la cosa per la conservazione o per il miglioramento (Cass. civ. Sez. III, 22/06/2009, n. 14533).
Qualora infatti il proprietario della cosa affidata da un terzo ad un prestatore d’opera perché vi esegua delle riparazioni, ometta di spiegare come mai chi ha consegnato il bene al riparatore si sia trovato a poterne disporre, ben può il Giudice di merito ritenere sussistente (in relazione ad una sua adeguata valutazione delle particolari circostanze di fatto) una praesumptio hominis di sussistenza della buona fede del soggetto che ha fatto le prestazioni, ai fini del riconoscimento del privilegio per il pagamento del corrispettivo, ai sensi dell’art. 2756, comma 2, c.c., apparendo ragionevole ritenere che il soggetto il quale abbia la disponibilità del bene e lo consegni per le riparazioni, sia egli stesso il proprietario o un incaricato dell’incombenza, da parte dell’avente diritto.
Il creditore, tornando al richiamo in concreto al 2756 c.c., può indi ritenere la cosa soggetta al privilegio, finché non è soddisfatto del suo credito e può anche venderla secondo le norme stabilite per la vendita del pegno [2797; 502 c.p.c.; l.f. 53].
La norma si fonda su un presupposto fondamentale: i beni sui quali vengono posti i privilegi devono necessariamente trovarsi presso chi ha affrontato la spesa o compiuto le prestazioni migliorative.
Perché il privilegio generale posto sui beni in questione possa essere opponibile anche ai terzi estranei, è necessaria la dimostrazione probatoria espressa della bona fides, la quale è ovviamente a carico del creditore medesimo.
Nel caso in cui non abbia ottenuto piena soddisfazione della propria pretesa, il creditore può vantare il cosiddetto diritto di ritenzione nei confronti del bene: un diritto in virtù del quale egli è legittimato alla trattenuta presso di sé della cosa che dovrebbe invece essere di regola restituita al legittimo proprietario.
Si tratta dunque di un metodo finalizzato ad esercitare pressione sul debitore, per indurlo all’adempimento del suo debito.
La disposizione in esame mira a compensare i creditori che in qualche misura hanno apportato determinati miglioramenti al bene, incrementandone per di più il valore, allo scopo di evitare che altri creditori si avvantaggino di tali utilità.
E’ altresì noto che nei casi in cui la pretesa creditoria venga esercitata dal terzo nei confronti di un soggetto giuridico che ha semplicemente concesso in locazione finanziaria il bene, dette pretese di pagamento siano del tutto illegittime ed infondate, giacché evidente la totale estraneità di una società di leasing ai rapporti di custodia, deposito o più in generale ai contratti d’opera, da parte del lessee utilizzatore del bene, con la conseguenza che i rapporti intrattenuti dal medesimo utilizzatore con detti soggetti terzi dichiarati creditori, sono inter alios ed inopponibili al concedente.
In buona sostanza, riservando la legge al preteso creditore solo il diritto di ritenzione sul bene, esercitabile anche e fino alla richiesta di vendita con incanto dello stesso, nel rispetto delle formalità disposte dal comma 2 dell’art. 2797 c.c., ma non riservandogli alcuna azione diretta nei confronti del proprietario effettivo del bene, per il pagamento del proprio credito, giusta i motivi sopra illustrati. Sempre per prassi operativa (e fatte salve ovviamente al lessor, le azioni dirette nei confronti del lessee al fine di vedersi manlevare dalle pretese del terzo creditore, come pure le azioni in opposizione alla vendita coattiva, sull’argomento della mala fede del terzo), riservandosi al lessor la scelta in merito al pressoché abbandono del bene, ma senza nulla dovere al preteso creditore.(in merito alla opposizione alla vendita coattiva, opportunamente ricordando che può essere fatta soltanto per questioni attinenti alla regolarità dell’intimazione e al diritto di procedere alla vendita, oppure al fine di limitare la vendita ad alcune delle cose pignorate, così come la mancata opposizione alla speciale procedura ex art. 2797 cit. non comporta preclusione all’accertamento del titolo del venditore a mezzo di giudizio ordinario di cognizione. Cassazione civile, sez. III, 01/09/1987, n. 7179).
Sempre nella esperienza pratica del leasing, conosciamo il contenuto delle obbligazioni a carico dell’utilizzatore del bene, pressoché standard:
- l’obbligo di mantenere il bene esente da pegni, privilegi, azioni esecutive, con onere di avvertire proprietario e anche chi agisca esecutivamente o in via cautelare;
- l’assunzione di ogni rischio (compresi quelli da caso fortuito o forza maggiore) relativo all’uso, alla manutenzione, alla circolazione del bene, con obbligo di tenere indenne il proprietario da ogni pretesa o diritto di terzi.
Gioverà inoltre ricordare, il carattere eccezionale del diritto di ritenzione, come tale non suscettibile di applicazione analogica (cfr. Cass., 19 agosto 2002, n. 12232, in Mass. Giust. civ., 2002, 1539), secondo la quale il diritto di ritenzione previsto dall’art. 1152 c.c., è una forma di autotutela in deroga alla regola per cui nessuno può farsi giustizia da sé.
Fatte le debite premesse, si ravvisano due distinte soluzioni, a seconda del caso in cui il soggetto giuridico che reclama il diritto di ritenzione anche nei confronti dell’effettivo proprietario del bene, abbia ricevuto la cosa da un soggetto giuridico parte utilizzatrice, il lessee, in bonis, rispetto al secondo caso in cui la pretesa ritentiva sia esercitata in pendenza della apertura di una procedura concorsuale, nei confronti dello stesso utilizzatore originario del bene.
Nel primo caso, infatti, il modello standard difensivo adottato dalle società di leasing, consisterà senz’altro, laddove ricevuta nella qualità di proprietaria del bene, la intimazione come prevista dall’art. 2797 c.c. ad oggetto la richiesta di pagamento del debito e degli accessori, nella formulazione della opposizione alla vendita, facendo valere le obbligazioni come già sopra sinteticamente descritte ai punti 1 e 2, e quindi, provvedendo alla contestuale chiamata in causa dell’utilizzatore, al fine di farsi manlevare dalle pretese creditorie come esercitate anche nei propri confronti; ciò in quanto totalmente estranea dal rapporto negoziale, dal quale sarebbero derivate le obbligazioni pecuniarie inadempiute.
Diverso, invece ed a parere di chi scrive, il modus operandi adottabile dalle società di locazione finanziaria, laddove dichiarato e nel frattempo il fallimento del lessee.
Un caso pratico, può senz’altro esser portato da una recente pronuncia del Giudice delegato del Tribunale di Termini Imerese, in data 2 febbraio 2017.
Nella fattispecie, la parte concedente il bene in locazione finanziaria (leasing) veniva a conoscenza che il bene strumentale oggetto del rapporto, un autocarro, era parcheggiato presso i locali di altra società, peraltro in comune diverso da quello ove era sorta la apertura del concorso; il predetto soggetto terzo, reclamava una pretesa ritentiva sul bene, sull’assunto che il soggetto poi fallito (l’utilizzatore in leasing), gli aveva commissionato lavori di riparazione e manutenzione, mai però pagati.
Esperita come di prassi la domanda di rivendicazione del bene all’interno della procedura concorsuale da parte del lessor, invocando quindi la riconsegna del mezzo in via principale, la medesima concedente procedeva agli opportuni contatti con la curatela del fallimento, evidenziando all’organo della procedura la opportunità, al fine di svincolarsi dalle pretese ritentive sul bene da parte di un soggetto terzo, di acquisirlo all’attivo del fallimento, per poi ottenerne la riconsegna, nel rispetto del concorso.
La curatela prendeva atto della correttezza della richieste di intervento come ricevuta, provvedendo e quindi alla esecuzione di un accesso presso i locali del terzo detentore del bene; quindi, procedendo alla inventariazione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 87 e 88 L. fall.
All’interno del verbale, la curatela dava atto della circostanza che era stato invitato a presenziare anche l’amministratore della fallita, che però non era presente.
Era invece presente il legale rappresentante della società che gestiva la officina che aveva eseguito i lavori, il quale dichiarava che il veicolo si trovava presso i propri locali, giacché la società poi fallita le aveva commissionato la realizzazione di un’attrezzatura scarrabile.
L’autocarro era l’unico bene che si trovava nel territorio, come da dichiarazione resa ai sensi dell’art. 87 III co. L.F., in sede di verbale di inventario fatto presso la sede della società fallita, dal legale rappresentante di essa ultima.
Le chiavi venivano quindi riconsegnate al curatore ed il titolare della officina veniva nominato custode.
Alla udienza e quindi fissata per l’esame delle domande di rivendicazione, il Giudice delegato prendeva atto delle conclusioni della curatela, la quale informava che il bene oggetto della domanda principale di rivendica era stato rinvenuto presso i locali di altra società ed ivi inventariato, come risultava dal verbale, oltre che affidato in custodia all’amministratore e legale rappresentante p.t., della predetta società, terza rispetto al rapporto di leasing; quindi accoglieva integralmente la domanda di rivendica.
Ancora il curatore, rendendo noto al creditore istante in rivendicazione, la circostanza che detto soggetto terzo era stato avvisato dell’intervenuto fallimento del soggetto giuridico che gli aveva commissionato i lavori, ma ciononostante astenendosi dal deposito di una rituale domanda di ammissione al passivo, per gli importi di cui al credito reclamato.
In concreto, nella fattispecie come esaminata dal Tribunale siciliano, ha trovato applicazione il principio di cui all’art. 51 L.F., giusta il quale non è consentito ai creditori di esercitare qualsiasi azione che si appalesi in contrasto con l’esecuzione generale sul patrimonio del debitore fallito, né tanto meno esercitare l’azione di ritenzione prevista dall’art. 2756 c.c., con la conseguenza che il creditore è obbligato a consegnare alla curatela il bene su cui intende esercitare il privilegio ed ottenere il soddisfacimento del credito, secondo le regole previste per la ripartizione dell’attivo e la graduazione dei crediti concorsuali.
Valido cioè e sostanzialmente applicato al caso in commento, l’art. 53 della legge fallimentare, che se pure riconosce ai creditori privilegiati assistiti dal diritto di ritenzione, la possibilità di procedere, pendente la procedura concorsuale, alla vendita del bene, non la configura come esplicazione di autotutela in senso proprio, come avviene al di fuori del fallimento, giacché richiede l’accertamento del credito nelle forme della insinuazione allo stato passivo e perché assoggetta la vendita del bene gravato dal privilegio, alla autorizzazione ed ai criteri direttivi del giudice delegato, a fronte della concorrente legittimazione del curatore; onde il ricavato dalla vendita, quand’anche il bene gravato sia venduto direttamente dal creditore, non viene immediatamente incassato in via autosatisfattiva del medesimo, ma ripartito attraverso il piano di riparto, nel rispetto dell’ordine delle cause di prelazione (cfr per tutte Cass. civile sez I, 18/12/2006 n. 27044).
Pressoché salvifico nella ipotesi di pretesa ritentiva da un lato e fallimento del lessee dall’altro, può senz’altro essere ritenuto l’intervento preventivo del lessor nei confronti della curatela; inibito al preteso terzo creditore, alcun esercizio di diritto e/o pretesa sul bene, giacchè sottrattosi dal concorso formale.
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