E’ applicabile la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per tre mesi, nei confronti dell’avvocato che, dopo la conclusione dell’assunzione di un testimone in un procedimento civile, integri il verbale con una frase non dettata dal giudice.
Nei procedimenti disciplinari a carico di avvocati, la concreta individuazione delle condotte costituenti illecito disciplinare definite dalla legge mediante una clausola generale (abusi o mancanze nell’esercizio della professione o comunque fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale) è rimessa all’Ordine professionale, ed il controllo di legittimità sull’applicazione di tali norme non consente alla Corte di cassazione di sostituirsi al Consiglio nazionale forense nell’enunciazione di ipotesi di illecito, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, che attiene non alla congruità della motivazione, ma all’individuazione del precetto e rileva, quindi, ex art. 360 c.p.c., n. 3.
Questi i principi espressi dalla Cassazione civile, sez. unite, Pres. Rordorf – Rel. Petitti, con la sentenza n. 6967 del 17.03.2017.
Nella fattispecie in questione, un avvocato proponeva ricorso per Cassazione avverso il provvedimento di rigetto del ricorso proposto innanzi al Consiglio nazionale forense, avente ad oggetto la conferma della sanzione della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale, irrogatagli, per avere, dopo la conclusione dell’assunzione di un testimone in un procedimento civile, integrato il verbale con una frase non dettata dal giudice.
Con il PRIMO MOTIVO, il ricorrente deduceva la violazione dell’art. 14 del codice deontologico forense e degli artt. 3, 4, 24 e 111 Cost., sul giusto processo ed eccesso di potere, sostenendo che il CNF avrebbe errato nel non ammettere le prove testimoniali che egli aveva richiesto, del tutto pertinenti rispetto all’oggetto dell’accertamento e all’ammissione delle quali egli aveva diritto.
Con il SECONDO MOTIVO, il ricorrente deduceva la violazione e falsa applicazione della L. n. 247 del 2012, art. 65, che prevede l’applicazione retroattiva delle norme del codice deontologico più favorevoli di quelle applicabili ratione temporis.
Con il TERZO MOTIVO, il ricorrente denunciava violazione dell’art. 21, comma 3, in relazione all’art. 22, del nuovo codice deontologico forense in relazione alla L. n. 247 del 2012, art. 53, dolendosi del fatto che il CNF non aveva motivato in ordine alle ragioni per le quali non ha applicato la censura, tenendo conto della sua storia professionale, della non gravità del fatto e della insussistenza di un pregiudizio accertato.
Con il QUARTO MOTIVO, il ricorrente lamentava il fatto che il CNF non aveva in alcun modo considerato il motivo di impugnazione con il quale aveva richiesto che venisse considerata la sola violazione dell’art. 6 C.D., con conseguente applicazione di una sanzione inferiore, chiedendo la sospensione della esecutorietà della sentenza impugnata, ritenendo sussistenti sia il fumus boni iuris che il periculum in mora.
Il Collegio, in ordine alla richiesta di sospensiva, riteneva non condivisibile il principio recentemente affermato dalla Suprema Corte, a mente del quale “in tema di sospensione della efficacia esecutiva della sentenza d’appello resa dai giudici speciali, impugnata con ricorso alle sezioni Unite della Corte di Cassazione, deve ritenersi applicabile, salvo che sia diversamente disposto da specifiche disposizioni, la disciplina di cui all’art. 373 c.p.c., poichè nulla prevede al riguardo l’art. 111 Cost., sul ricorso per cassazione avverso le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, con la conseguenza che e inammissibile un’istanza “cautelare” contenuta nel ricorso per Cassazione“.
Invero, la L. n. 247 del 2012, art. 36, comma 6, stabilisce che il ricorso per cassazione non ha effetto sospensivo delle decisioni del Consiglio nazionale forense; tuttavia, “l’esecuzione può essere sospesa dalle sezioni unite della Corte di cassazione in camera di consiglio su istanza del ricorrente“.
In merito alla censura dell’apprezzamento della gravità del fatto contestato e della condotta addebitata al ricorrente, la Suprema Corte, richiamata la disposizione contenuta nell’art. 22 del Codice Deontologico forense, alla cui stregua la sospensione dall’esercizio della professione si applica “per infrazioni consistenti in comportamenti e in responsabilità gravi o quando non sussistono le condizioni per irrogare la sola sanzione della censura“, osservava che, nel caso di specie, la sanzione della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale, ben poteva essere applicata dagli organismi disciplinari all’attore, perché la reiezione del motivo di ricorso da parte del CNF era stata accompagnata da una specifica valutazione in ordine alla gravità del fatto ed all’adeguatezza della sanzione della sospensione alla gravità stessa.
Del resto, proseguivano gli ermellini, nei procedimenti disciplinari a carico di avvocati, la concreta individuazione delle condotte costituenti illecito disciplinare definite dalla legge mediante una clausola generale è rimessa all’Ordine professionale, ed il controllo di legittimità sull’applicazione di tali norme non consente alla Corte di Cassazione di sostituirsi al Consiglio nazionale forense nell’enunciazione di ipotesi di illecito, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, che attiene non alla congruità della motivazione, ma all’individuazione del precetto e rileva, quindi, ex art. 360 c.p.c., n. 3.
Sulla base di quanto suesposto, la Cassazione, esclusa la sussistenza del fumus boni iuris in ordine alla prevedibile fondatezza delle censure proposte, respingeva l’istanza di sospensione della esecutorietà della sentenza impugnata.
Per ulteriori approfondimenti in materia, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
È SUFFICIENTE CHE L’INCOLPATO SIA POSTO NELLA CONDIZIONE DI PREDISPORRE LE PROPRIE DIFESE
Sentenza | Cassazione Civile, Sezioni Unite, Pres. Santacroce – Rel. Giusti | 28.10.2015 | n.21948
DISCIPLINARE AVVOCATI: APPLICABILI LE NORME IN MATERIA DI SOSPENSIONE E RIASSUNZIONE
È ONERE DEL PROFESSIONISTA PROVARE LA DECADENZA PER TARDIVA RIASSUNZIONE
Cassazione Civile, Sezioni Unite, Primo Pres. Santacroce – Rel. Rordorf | 28.04.2015 | n.8572
AVVOCATI: SANZIONE DISCIPLINARE IN CASO DI PUBBLICITÀ INFORMATIVA OCCULTA
L’ABROGAZIONE DEL DIVIETO DI PUBBLICITÀ NON PRECLUDE DI SANZIONARE MESSAGGI LESIVI DELLA DIGNITÀ E DEL DECORO DELLA PROFESSIONE
Sentenza | Cassazione civile, sezioni unite | 03.05.2013 | n.1030
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