Commento a cura del Dott. Carlo Alberto Mario Corazzini di Roma
Il D.lgs. n. 159/2011 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione) si inserisce all’interno del quadro delle misure finalizzate al contrasto degli illeciti di stampo mafioso ed eversivi dell’ordine costituzionale. Le disposizioni contenute nel provvedimento citato hanno la diretta finalità di prevedere nuove forme di contrasto ([1]) all’utilizzazione dei proventi economici connessi a tali illeciti; le misure inserite all’interno del citato decreto si sostanziano nell’irrogazione di alcune misure ablative nei confronti dei soggetti indicati all’interno dell’art. 16 (cc.dd. “Proposti”).
L’irrogazione dei provvedimenti indicati nel Codice delle leggi antimafia (di seguito anche solo “Codice”) determinerà la fuoriuscita del bene oggetto della misura dalla sfera patrimoniale del proposto; il bene sarà poi gestito da un amministratore giudiziario, il quale dovrà provvedere all’amministrazione dello stesso conformemente alle direttive impartitegli dal giudice delegato. La gestione dei beni oggetto delle misure preventive indicate nel Codice potrà essere affidata anche all’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC).
È opportuno fin da ora evidenziare che il Codice effettua un bilanciamento tra la posizione dei terzi, tutelata attraverso il disposto dell’art. 52, e le finalità sottostanti alle misure preventive contenute nel Codice. Secondo l’articolo da ultimo citato, le misure ablative non pregiudicheranno i “diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro, nonché’ i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro”. Di qui la necessità, sia all’interno delle procedure preventive che concorsuali, di verificare accuratamente la posizione di tali soggetti.
Individuata la ratio sottesa alla disciplina in commento, il tema del presente memo è quello di verificare le conseguenze derivanti dalla sottoposizione a sequestro preventivo di tutti i cespiti patrimoniali attivi di una società di gestione immobiliare.
In via preliminare, è necessario sottolineare che, in merito ai rapporti tra procedura fallimentare e procedure preventive, la Suprema Corte di Cassazione chiarisce che “è principio costantemente affermato quello secondo cui sulla procedura fallimentare deve prevalere la procedura preventiva, sia quando il fallimento sia stato dichiarato prima del sequestro preventivo, sia – a fortiori – quando sia stato dichiarato successivamente all’apposizione del vincolo reale”. Tale elemento sarebbe un diretto corollario del privilegio accordato all’interesse pubblico rispetto alla par condicio creditorum (Cass. del 22.03.2011, n. 16797).
I rapporti tra le procedure vengono espressamente disciplinati agli artt. 63 e 64 del D.lgs. 159/2011, le quali si inseriscono all’interno delle disposizioni del titolo IV, Capo III (“Tutela dei terzi e rapporti con le procedure concorsuali”).
L’art. 63, rubricato “Dichiarazione di fallimento successiva al sequestro”, chiarisce che “Salva l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento assunta dal debitore o da uno o più creditori, il pubblico ministero, anche su segnalazione dell’amministratore giudiziario che ne rilevi i presupposti, chiede al tribunale competente che venga dichiarato il fallimento dell’imprenditore i cui beni aziendali siano sottoposti a sequestro o a confisca”.
La citata disposizione introduce così un ulteriore titolo legittimante la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore; ossia la sottoposizione dei beni dello stesso a sequestro ([2]) o a confisca ai sensi degli artt. 20 e 24 del Codice.
La norma prosegue al comma II affermando che “Nel caso in cui l’imprenditore di cui al comma 1 sia soggetto alla procedura di liquidazione coatta amministrativa con esclusione del fallimento, il pubblico ministero chiede al tribunale competente l’emissione del provvedimento di cui all’articolo 195 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e successive modificazioni”. La disposizione in esame prevede la possibilità, per il Pubblico Ministero, di procedere all’accertamento giudiziario dello stato d’insolvenza anteriore alla liquidazione coatta amministrativa, il quale, è volto a costituire uno dei titoli legittimanti la dichiarazione di fallimento ai sensi dell’art. 5 L.fall. e preclude la possibilità di proseguire con la procedura concorsuale precedentemente disposta (art. 196 L.fall.)
Ai nostri fini sono fondamentali le previsioni contenute nei commi IV e VI, le quali andranno lette congiuntamente.
La prima dispone che “Quando viene dichiarato il fallimento, i beni assoggettati a sequestro o confisca sono esclusi dalla massa attiva fallimentare”. Pertanto, la procedura concorsuale acquisirà gli eventuali altri beni dell’imprenditore e potrà porre in essere azioni recuperatorie o risarcitorie (ad esempio nei confronti di terzi – azioni di risarcimento danni, di abuso della posizione dominante – o dello stesso proposto – azione di responsabilità quale amministratore della società) volte ad acquisire danaro che costituirà la massa attiva del fallimento. ([3])
Invece la seconda prevede che “Se nella massa attiva del fallimento sono ricompresi esclusivamente beni già sottoposti a sequestro, il tribunale, sentito il curatore ed il comitato dei creditori, dichiara chiuso il fallimento con decreto ai sensi dell’articolo 119 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. Si applicano in tal caso le disposizioni degli articoli 52 e seguenti del presente decreto”.
L’ultima disposizione è stata oggetto di un recente intervento della Sezione I Civile della Corte di Cassazione, la quale, richiamando i principi enucleati in Cass. n. 1739/2014, ha confermato che è ammissibile la dichiarazione di fallimento della società il cui patrimonio sia stato integralmente sottoposto a sequestro preventivo antimafia (Cass. del 12.01.2017 n. 608).([4])
Tale principio sarebbe applicabile al caso prospettato. Infatti, qualora la massa attiva della Società di gestione fosse costituita solo da immobili sottoposti a sequestro (o confisca), il tribunale potrà dichiarare chiuso il fallimento, verificando comunque se non vi siano eventuali terzi di buona fede che meritano di essere tutelati ai sensi dell’art. 52 del Codice.[5]
Nello stesso ordine di idee si pone anche la disposizione di cui all’art. 64 del Codice, la quale è rubricata “Sequestro successivo alla dichiarazione di fallimento”. La disposizione, sulla linea di quanto detto sopra, prevede che nel caso in cui alcuni cespiti patrimoniali soggetti al fallimento venissero attinti da un provvedimento di sequestro, il giudice delegato disporrà con decreto la separazione di detti cespiti dalla massa attiva della procedura fallimentare e la consegna all’amministratore giudiziario. Anche qui sono fatti salvi i diritti dei terzi.
Anche in questo caso, il comma VII stabilisce che “Se il sequestro o la confisca di prevenzione hanno per oggetto l’intera massa attiva fallimentare ovvero, nel caso di società di persone, l’intero patrimonio personale dei soci illimitatamente responsabili, il tribunale, sentito il curatore ed il comitato dei creditori, dichiara la chiusura del fallimento con decreto ai sensi dell’articolo 119 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e si applicano le disposizioni degli articoli 52 e seguenti del presente decreto”.
Note
[1] Nuove rispetto al D.lgs n. 575/1965
[2] Il sequestro è eseguito con le modalità previste dall’articolo 104 disp. att. c.p.p.. L’ufficiale giudiziario, eseguite le formalità ivi previste, procede all’apprensione materiale dei beni e all’immissione dell’amministratore giudiziario nel possesso degli stessi, anche se gravati da diritti reali o personali di godimento, con l’assistenza obbligatoria della Polizia Giudiziaria.
[3]http://ilfallimentarista.it/articoli/focus/i-rapporti-tra-le-misure-di-prevenzione-patrimoniali-e-la-procedura-fallimentare
[4] Il cui principio di diritto può essere così riassunto: “La misura di prevenzione consistente nel sequestro preventivo antimafia del patrimonio sociale non osta alla dichiarazione di fallimento della società, ammissibile anche in mancanza di un attivo aggredibile da parte dei creditori sociali”
[5] I quali verrebbero comunque tutelati nel caso in cui, dopo la chiusura del fallimento, venisse revocato il sequestro o la confisca. In tal caso l’art. art. 63, co. VII, del Codice prevede che il tribunale provvederà a disporre la riapertura del fallimento ai sensi dell’art. 121 L.fall.
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