Per verificare la possibile esistenza di interessi usurai non sono utilizzabili criteri non conformi alle Istruzioni della Banca d’Italia, con particolare riferimento all’inclusione degli interessi di mora nel calcolo del TEG, in quanto espressamente esclusi dalle rilevazioni trimestrali.
La verifica va condotta ponendo a confronto dati tra loro omogenei, in quanto se il raffronto non viene effettuato adoperando la medesima metodologia di calcolo, il dato che se ne ricava non può che essere in principio viziato.
Ove si voglia comunque valutare l’usurarietà dei tassi di mora originariamente pattuiti o effettivamente applicati, il parametro di riferimento non può che essere quello rilevato, sia pure a fini statistici, dalla Banca d’Italia, ovvero il TEGM rilevato con riferimento ai soli interessi corrispettivi aumentato della maggiorazioni iniziale di 2,1 punti percentuali.
Tribunale di Torino, Dott. Tommaso Marvasi, sentenza n. 22082 del 24.11.2017
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista:
USURA: CRITERI DI COERENZA LOGICA IMPONGONO DI SEGUIRE FORMULA DI CALCOLO DELLE ISTRUZIONI BANKITALIA
L’USO DI UN CRITERIO DI VERIFICA DIVERSO È INIQUO E SCIENTIFICAMENTE INATTENDIBILE PER DISOMOGENEITÀ DEI DATI DI RIFERIMENTO
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Sentenza | Il Tribunale di Ferrara, Dott.ssa Marianna Cocca | 23.05.2017 | n.496
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INTERESSI MORATORI = TEGM CORRISPETTIVI + 2,1%+MAGGIORAZIONE
Sentenza | Tribunale di Palmi, dott. Luca Coppola | 05.04.2017 | n.292
http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/usura-necessita-di-confronto-di-dati-omogenei
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA
SEZ. NONA
In persona del Giudice Dr. Tommaso Marvasi ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. omissis del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2015 vertente
TRA
SOCIETA’ CORRENTISTA E FIDEIUSSORI
attori
BANCA
convenuta
CONCLUSIONI: All’udienza di precisazione delle conclusioni le parti costituite concludevano come in atti.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 18 marzo 2015 la SOCIETA’ CORRENTISTA e i signori FIDEIUSSORI hanno convocato in giudizio la BANCA, con la quale la SOCIETA’ CORRENTISTA per le Imprese aveva acceso presso la filiale di Torino agenzia omissis il rapporto di conto corrente n. omissis e aveva ottenuto un mutuo ipotecario per €150.000,00, con gli altri costituiti quali fideiussori, deducendo che la Banca aveva applicato tassi usurai e comunque condizioni e costi indebiti. Per cui hanno chiesto l’accertamento del loro minor debito nei confronti della Banca, riservandosi di chiedere in seguito la restituzione delle somme ingiustamente corrisposte.
Si è costituita in giudizio la BANCA, resistendo alle domande attrici e chiedendone il rigetto.
Acquisite le memorie ex art.183 cpc., il Giudice con ordinanza del 27.6.2016 ha rigettato la richiesta di consulenza tecnica contabile di ufficio svolta da parte attrice perché puramente indagativa, non avendo la parte indicato con precisione i fatti specifici costitutivi del diritto ed non essendo utile la consulenza di parte prodotta dagli attori in quanto fondata su criteri di calcolo non corretti e non condivisibili, quali la previsione di sommare gli interessi corrispettivi con quelli di mora, l’utilizzo di criteri astratti di calcolo non in linea con quelli contenuti nelle istruzioni della Banca d’Italia e non specificando le modalità di elaborazione dei calcoli.
La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 7 marzo 2017 sulle conclusioni delle parti rassegnate come in atti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Gli attori deducono che la BANCA ha applicato, al rapporto di conto corrente n. omissis interessi passivi e altre voci di costo indebiti, in questo modo determinando un ingiusto debito a carico della correntista.
In particolare deduce essere illegittima la capitalizzazione trimestrale degli interessi, sebbene espressamente concordata contrattualmente tra le parti, per la forte disparità esistente tra il tasso di interesse passivo a favore della Banca e quello attivo a favore della correntista, tale da violare in concreto la situazione di parità che tale previsione normativa persegue. Tuttavia la validità della capitalizzazione periodica degli interessi dei conti bancari è espressamente prevista per legge dall’art.120 TUB e dalla successiva e attuativa delibera del CICR del 9.2.2000, con la sola condizione che sia praticata a condizioni di reciprocità, come è nel caso.
La validità della norma è confermata da pacifica giurisprudenza, né le ragioni addotte dagli attori sono idonee a far ritenere invalide le norme ovvero errata la pacifica giurisprudenza ultradecennale. Né alcuna norma di legge prevede che la disparità tra i due tassi di interesse comporti alcuna invalidità.
Nelle domande contenute nell’atto di citazione, gli attori operano espresso riferimento alla consulenza di parte da loro prodotta, indicando di avere ivi meglio specificato in cosa consistano le loro contestazioni riguardanti la ritenuta applicazione di interessi e altre voci di costo usurai o comunque indebiti e per indicare quali somme ritengano ingiustamente loro richieste dalla Banca. In proposito si nota che la consulenza di parte conferita in atti indica preliminarmente che al consulente “non è stato esibito il contratto di apertura del conto corrente oggetto di analisi ed i conti aperti nel citato periodo, di regola, salvo verifica, NON giustificano la rivendicazione sia degli interessi anatocistici, sia degli interessi eccedenti quelli ex art.117 TUB” (punto 2, pag.2 della ct di parte).
L’affermazione del perito di parte di avere redatto lo studio senza avere avuto visione del contratto di apertura del conto corrente è chiara e non si presta a interpretazioni. Non vale certo a smentirla la circostanza che parte attrice fosse invece nella disponibilità del contratto di conto corrente, che ha conferito nella sua produzione documentale. Deve quindi ritenersi che il ct di parte, in accordo con quanto espressamente afferma, abbia redatto l’elaborato in assenza di informazioni certe e necessarie, quali il contratto regolatore del rapporto di conto corrente. Circostanza confermata dalle ulteriori precisazioni del ct di parte di avere svolto il lavoro sulla base di presunzioni assunte “a puro titolo dimostrativo“, partendo dall’ipotesi che eventuali voci di costo nel contratto “non siano espresse in maniera determinata o determinabile o non siano state sottoscritte correttamente” (pagine 2 e 3 della ctp). Quindi il perito di parte, operando su dati insufficienti, parte dell’ipotesi che non ci sia una valida pattuizione contrattuale per la capitalizzazione degli interessi, per l’applicazione di interessi ultralegali, per l’applicazione della commissione di massimo scoperto e per l’addebito di spese per la gestione del conto corrente. Di conseguenza storna dal rapporto tutti i relativi costi, ritenuti indebiti.
Al contrario, tutti questi aspetti sono stati espressamente previsti e regolati nel contratto scritto prodotto dagli attori e le presunzioni assunte dal ctp sono del tutto avulse dal rapporto concreto, quindi non utili.
Nell’esame di ogni aspetto del rapporto il ct di parte ribadisce di non avere avuto copia del contratto di c/c e di avere quindi operato in base a presunzioni. Ad esempio al punto 3), dedicato all’anatocismo, il ct nuovamente specifica che egli, “non avendo visionato il contratto di apertura, lo stesso potrebbe non prevedere la stessa capitalizzazione per gli interessi attivi o passivi oppure potrebbe non essere sottoscritto correttamente” (pag.4 della ctp). Per cui il ctp conclude sul punto che, “sulla base delle ipotesi esposte“, ovvero che manchi una valida pattuizione sulla capitalizzazione degli interessi, procede allo storno degli interessi passivi anatocistici non validamente concordati. Ipotesi priva di utilità, dato che, al contrario, il contratto c’è, è stato validamente sottoscritto tra le parti e prevede la capitalizzazione periodica degli interessi sia passivi che attivi.
Il mancato esame del contratto di conto corrente inevitabilmente condiziona tutti gli accertamenti compiuti dal ct di parte. E’ lo stesso consulente che, correttamente, per ogni voce esaminate deduce come, non avendo esaminato il contratto di c/c, parte dal presupposto che il contratto non ci sia o non preveda una valida pattuizione di interessi ultralegali, della commissione di massimo scoperto, di costi per la gestione del rapporto bancario: per cui, in assenza di alcuna valida pattuizione, è legittimo lo storno sia degli interessi extralegali, sia della cms, sia dei costi non pattuiti.
Così, esaminando gli interessi passivi, il ctp precisa che “sulla base dei presunti elementi di indeterminatezza contrattuale è stato calcolato… il ristorno della componente c.d. delta interessi” (pag.4 della ctp, ns. evidenziazione), procedendo quindi alla decurtazione delle somme dovute per l’applicazione di interessi ultralegali.
Ugualmente, in mancanza del contratto, deduce la inapplicabilità della cms in quanto applicata in modo “indeterminato” e ipotizzando che l’eventuale contratto non la preveda o sia comunque invalido (pag.9 della ctp). E’ corretta l’affermazione che la cms debba essere espressamente prevista nel contratto di c/c, ma il perito di parte ha svolto l’esame senza vedere il contratto, quindi parlando di pure ipotesi astratte.
Anche per le spese di gestione del conto il perito conclude che, “in difetto di chiara determinazione contrattuale, debbano essere ristornate le spese” (pag.10 della ctp, ns. evidenziazione).
A fronte della contestazione della Banca convenuta che la consulenza tecnica di parte sia stata redatta senza avere esaminato il contratto di conto corrente, gli attori hanno risposto, nella memoria di replica, che l’assunto della Banca sia erroneo dato che hanno invece prodotto il contratto di conto corrente tra gli atti allegati. Ciò non toglie che il perito di parte abbia dichiaratamente svolto l’elaborato senza esaminare il contratto, quindi basandosi su ipotesi (quali: l’invalidità della capitalizzazione degli interessi passivi, la non applicabilità di interessi ultralegali, la non valida pattuizione della cms, la mancata previsione di spese di gestione del c/c) in realtà contraddette dal contratto.
Non può avere valore una consulenza fondata su pure ipotesi astratte, che applichi al rapporto di c/c condizioni diverse da quelle concretamente pattuiti dalle parti. Per ciò solo, la consulenza di parte non può ritenersi fornire ipotesi che sia utile esaminare.
Le osservazioni di parte attrice circa i criteri da utilizzare per il calcolo del tasso di interesse usuraio costituiscono, in assenza di una loro valida applicazione concreta, mere ipotesi, che non indicano se nel caso possano sussistere, o meno, violazione delle norme antiusura ovvero di altre previsioni di legge.
Anche gli interessi ultralegali applicati al rapporto sono compresi nel limite previsto dal contratto di conto corrente prodotto in atti, che ha anche previsto la commissione di massimo scoperto, le spese di gestione del conto e gli altri costi contestati da parte attrice.
Non sono accoglibili i criteri indicati da parte attrice per l’esatta determinazione degli interessi passivi applicati protempore, anche in quanto non conformi con le “Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi” indicate dalla Banca d’Italia. In particolare la Banca d’Italia, con riferimento al calcolo del TEG, espressamente esclude che vi siano compresi “gli interessi di mora e gli oneri assimilabili contrattualmente previsti per il calcolo di inadempimento di un obbligo“.
Infatti per lungo tempo il Tasso di interesse medio, sulla base del quale è calcolato il c.d. tasso soglia antiusura, era determinato facendo la media, appunto, degli interessi passivi praticati dagli istituti bancari; in questo dato non erano inclusi gli interessi di mora praticati dalle banche in caso di inadempimento dei correntisti; né era determinato altro tasso medio relativo agli interessi di mora. Per cui l’interesse di mora praticato all’epoca non può essere confrontato con il tasso medio e il tasso soglia antiusura, ottenuti senza comprenderci il tasso di mora. L’indicazione della Banca d’Italia trovava piena conferma nelle modalità di determinazione del tasso soglia antiusura, che non vi comprendeva gli interessi di mora.
La normativa ha pure escluso che nel tasso passivo potesse essere considerata la commissione di massimo scoperto. Infatti l’art.2 bis comma 2 del D.L. 29.11.2008 n.280, conv. nella legge 2/2009, nel prevedere che anche la cms sia considerata per determinare gli interessi passivi, quindi anche ai fini dell’usura, espressamente rimanda a “disposizioni transitorie” demandate al Ministro dell’Economia e delle Finanze, in attesa che “la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni“. Con implicita conferma che, prima di questa legge, negli interessi passivi medi determinati per fissare la soglia antiusura non fossero inclusi la cms o le altre analoghe voci di costo “che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente“.
In questo senso si è espressa la S.C. confermando che la cms non vada considerata per la determinazione degli interessi fino all’applicazione vigenza della nuova legge (Cass.22.6.2016 n.12965).
Si ritengono quindi non corretti i criteri indicati dagli attori per determinare il tasso passivo applicato e non utilizzabile la consulenza di parte che hanno allegato, che utilizza criteri diversi da quelli’ indicati nelle Istruzioni della Banca d’Italia e che non considera quanto previsto nel contratto di conto corrente stipulato tra le parti.
Parte attrice insiste che i criteri indicati dalla Banca d’Italia non abbiano forza normativa e che non possano validamente escludere dal calcolo del tasso di interesse passivo, costi quali, appunto, la cms o gli interessi di mora. La giusta osservazione non coglie il nocciolo del problema, dato che, come ribadito di recente dalla Cassazione, per verificare la possibile esistenza di interessi usurai occorre porre a confronto dati tra loro omogenei. Il tasso soglia, sulla base del quale è determinata la c.d. usura oggettiva, “viene ricavato mediante l’applicazione di uno spread sul TEGM Posto che il TEGM viene trimestralmente fissato dal Ministero dell’Economia sulla base delle rilevazioni della Banca d’Italia, a loro volta effettuate sulla scorta delle metodologie indicate nelle più volte richiamate Istruzioni, è ragionevole che debba attendersi simmetria tra la metodologia di calcolo del TEGM e quella di calcolo dello specifico TEG contrattuale… Sicché se detto raffronto non viene effettuato adoperando la medesima metodologia di calcolo, il dato che se ne ricava non può che essere in principio viziato” (Cass.22 giugno 2016 n.12965; nello stesso senso Cass. 3 novembre 2016 n.22270).
“D’altro canto, è pacifico e incontestato tra le parti che dette periodiche rilevazioni prendano in considerazione esclusivamente i tassi corrispettivi, e non quelli moratori… dal che consegue che, allo stato della vigente legislazione, non esiste un limite di legge per gli interessi moratori” (Appello Milano, sentenza 6 giugno 2016 n.2232). Per cui, “ove si voglia comunque valutare l’usurarietà dei tassi di mora originariamente pattuiti o effettivamente applicati, il parametro di riferimento non può che essere quello rilevato, sia pure a fini statistici, dalla Banca d’Italia, ovvero il TEGM rilevato con riferimento ai soli interessi corrispettivi aumentato della maggiorazioni iniziale di 2,1 punti percentuali” (Tribunale Roma, sentenza n.22648 del 6.12.2016; idem Tribunale Roma, sentenza n.22027 del 23.11.2016 e sentenza n.22293 del 16.11.2016).
In altre parole il TEGM determinato secondo i criteri indicati dalla Banca d’Italia all’epoca dei fatti, non comprendeva né gli interessi di mora né la cms, né altre voci minori. Per cui, se queste voci non sono comprese nel calcolo del tasso soglia antiusura determinato dalla Banca d’Italia, nemmeno appare possibile comprenderle nel tasso complessivo praticato dalla Banca e confrontato con quello di usura, venendosi altrimenti a confrontare dati non omogenei. Come riportato dalla giurisprudenza ricordata sopra, per applicare tali costi al tasso praticato in concreto, occorre poi attualizzare il tasso soglia antiusura ai criteri utilizzati, per esempio considerando l’aumento di 2,1 punto percentuali per il tasso di mora rispetto al normale interesse passivo.
Con riguardo alla cms si richiama la nota giurisprudenza che esclude l’invalidità della stessa, in epoca anteriore alla novella del 2009.
2.Con riguardo al contratto di mutuo concluso tra la SOCIETA’ CORRENTISTA e la BANCA, parte attrice contesta che gli interessi di mora e la c.d. “capitalizzazione alla francese” causino l’applicazione di interessi usurai, con conseguente loro invalidità ex art.1815 cod.civ. e diritto a ripetere tutte le somme versate quali interessi.
La tesi è infondata. Infatti, il contratto prevede che qualora il debitore divenga moroso, il tasso di interesse di mora non si aggiunge agli interessi convenzionali, ma si sostituisce agli stessi: gli interessi convenzionali si applicano sul capitale a scadere, costituendo il corrispettivo del diritto del mutuatario di godere la somma capitale in conformità al piano di rimborso graduale (artt.82 I e 1815 cod.civ.), mentre gli interessi di mora si applicano sul capitale residuo, nonché sulla sola parte degli interessi convenzionali facenti parte del debito già scaduto (ovvero, le rate di restituzione del finanziamento scadute e non pagate alla data di applicazione del tasso di mora, art.1224 cod.civ.). L’eventuale caduta in mora del rapporto non comporterebbe comunque una somma dei due tipi di interesse, venendo gli interessi di mora ad applicarsi unicamente al capitale non ancora restituito e alla sola parte degli interessi convenzionali già scaduti e non pagati qualora gli stessi fossero imputati a capitale: quota che sarebbe comunque esigua, rispetto al totale degli interessi convenzionali previsti, come pure rispetto al totale del capitale erogato, anche considerato che il contratto prevede la risoluzione e la decadenza dal beneficio del termine nel caso di mancato pagamento di pochissime rate di restituzione della somma. Per cui non può dirsi che gli interessi di mora teoricamente previsti nel contratto di finanziamento siano di per loro usurai. Né gli attori lamentano esserci stata effettiva morosità.
A parte questo si ripete che, come già visto sopra, in conformità con le indicazioni della Banca d’Italia, gli interessi di mora sono stati sempre esclusi dal calcolo operato dal Ministero dell’Economia e della Finanze per stabilire la media degli interessi convenzionali praticati dalle banche, proprio perché sono interessi che non attengono alla fisiologia del rapporto ma alla sua patologia. “Infatti, essendo gli interessi moratori più alti, per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela” (Banca d’Italia, “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura” del 3 luglio 2013).
Come già ricordato, il tasso antiusura è ottenuto considerando la media dei soli interessi convenzionali e non anche di quelli moratori: è ovvio che se fossero invece inclusi anche i tassi di mora, si avrebbe un innalzamento dei tassi medi applicati, con aumento anche del TEG periodico e dei tassi soglia antiusura. Scelta che è rispettosa sia della natura del rapporto, appunto perché i tassi di mora sono meramente eventuali e patologici, sia delle esigenze dei clienti dato che altrimenti si avrebbe un incremento dei tassi medi di interesse e un corrispondente innalzamento del tasso soglia antiusura. Se, quindi, i tassi convenzionali antiusura non comprendono gli interessi di mora, anche per questa ulteriore ragione non è sostenibile, né logicamente né con fondamento normativo, che nell’esame di un contratto si debba procedere alla somma del tasso convenzionale con quello di mora per confrontare tale risultato con il tasso soglia antiusura (determinato, appunto, senza gli interessi di mora).
Né la giurisprudenza citata da parte attrice ha affermato diversamente. In particolare, la nota sentenza di Cassazione n.350 del 2013 non ha affermato doversi procedere a simile cumulo, ma ha solamente ribadito che anche per gli interessi di mora occorre verificare che non siano eccessivi e usurai, principio già in precedenza affermato dalla Suprema Corte (si vedano, tra le tante, Cass. n.5286 del 2000; Cass. n.5324 del 2003).
Verifica che non va comunque svolta sommando gli interessi di mora a quelli convenzionali, data la differente loro natura e le diverse finalità.
Nemmeno può accogliersi la censura di indeterminatezza e di usurarietà per il piano di ammortamento “alla francese” previsto nel contratto di mutuo. Al contrario tale tipo di piano di rientro non pecca di indeterminatezza, dato che al contratto è allegato il piano di ammortamento, che indica per ogni rata di rimborso la parte del capitale e quella degli interessi che vengono pagati.
Per identiche ragioni va del pari disattesa l’eccezione circa l’applicazione di interessi non previsti e non concordati, dato che -si ripete- le parti hanno pure concordato in modo preciso le modalità di restituzione del finanziamento. In effetti, dato atto che le parti avevano concordemente approvato tutte le modalità di calcolo degli interessi e di restituzione della somma finanziata, è superata l’obiezione che gli interessi effettivamente dovuti fossero diversi e maggiori di quelli concordati. Infatti l’insieme delle previsioni contrattuali e degli allegati è del tutto idoneo a consentire la determinazione sia dell’interesse concordato, sia delle modalità di restituzione delle somme.
Nemmeno è sostenibile che l’ammortamento alla francese abbia effetti anatocistici, in quanto manca la presenza di un interesse scaduto sul quale siano calcolati altri interessi ex art.1283 cod.civ., mentre il calcolo degli interessi avviene sul solo capitale residuo.
3.A parte la non condivisibilità dei criteri indicati dagli attori, per le ragioni tutte esposte, gli stessi nemmeno precisano in modo numerico facilmente comprensibile come sia stata concretamente accertata l’applicazione di interessi usurai e come le singole voci passive vi contribuiscano. E’ stato evidenziato che la loro consulenze di parte non fornisce elementi utili. Ne consegue la non ammissibilità della consulenza tecnica contabile di ufficio chiesta con riguardo a tutti gli interessi previsti dai contratti, risultando puramente esplorativa in mancanza della previa individuazione di precisi elementi di verifica, ovvero comunque fondata su criteri non condivisibili.
Si conferma il rigetto della richiesta di consulenza tecnica contabile di ufficio, perché fondata su criteri non condivisibili, come pure in accordo con la pacifica giurisprudenza per la quale il debitore che eccepisce la nullità degli interessi, necessariamente assume l’onere di dimostrare tanto la loro invalidità come pure se ed in che misura tali interessi indebiti siano stati computati (c.d. onere di contestazione specifica, si veda Cass. Sez. III, 14 maggio 2012, n. 7501). Le ulteriori doglianze svolte da parte attrice circa l’entità scorretta e usuraia degli interessi, oltre a quelle sopra esaminate, sono del tutto generiche e tali da poter configurare un’indagine puramente esplorativa, in questo modo finalizzata a cercare elementi, fatti o circostanze non provati, quindi inammissibile (in questo senso, tra le tante, Cass. 12.2.2008 n.3374; Cass.4.11.2005 n.26083; Cass. 30.11.2002 n.17555).
Si rigettano tutte le domande di parte attrice.
Spese secondo soccombenza, liquidate in dispositivo. In proposito non può accogliersi la prospettazione di parte attrice circa l’esistenza di valide ragioni per operare la compensazione delle spese, dato che le ragioni sostenute dagli attori si sono rivelate infondate e basate su una consulenza di parte dichiaratamente carente nell’esame di elementi fondamentali.
PQM
Il Tribunale definitivamente pronunciando nel procedimento n. omissis, così dispone:
1) rigetta le domande proposte da SOCIETA’ CORRENTISTA e FIDEIUSSORI nei confronti di BANCA;
2) condanna gli attori in solido al pagamento delle spese di lite che liquida in € 300,00 per spese vive ed € 7.000,00 per onorari, oltre spese generali IVA e CPA.
Così deciso in Roma in data 3 ottobre 2017
Il Giudice
Dott. Tommaso Marvasi
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