Nel caso di contratto di conto corrente ancora in essere, è inammissibile qualsiasi domanda di condanna al pagamento, in via restitutoria, di somme, di cui si assuma l’indebito addebito sul conto corrente. Peraltro, anche in presenza di un conto corrente ancora aperto, può sussistere la possibilità di agire in giudizio per accertare l’eventuale nullità delle singole pattuizioni presenti nel contratto e la consistenza dei rapporti di dare/avere fra le parti ad una certa data.
Tribunale di Roma 3 sez., Giudice Francesco Remo Scerrato sentenza n. 14914 del 21.07.2017
Per ulteriori approfondimenti in materia, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista:
RIPETIZIONE INDEBITO: INAMMISSIBILE OVE IL CONTO SIA ANCORA APERTO
NON SI CONFIGURA ALCUN PAGAMENTO IN COSTANZA DI RAPPORTO IN QUANTO NON È POSSIBILE DISTINGUERE LE RIMESSE SOLUTORIE
Sentenza | Corte di Appello di Potenza, Pres. Nesti – Rel Iodice | 10.03.2017 | n.130
RIPETIZIONE INDEBITO: INAMMISSIBILE SE IL CONTO È APERTO E SE NON SONO INDICATE LE RIMESSE SOLUTORIE
LA MERA ANNOTAZIONE IN CONTO PASSIVO DEGLI INTERESSI NON SI RISOLVE IN UN PAGAMENTO
Ordinanza | Tribunale di Civitavecchia, Dott.ssa Rossella Pegorari | 05.01.2017 |
INDEBITO BANCARIO: INAMMISSIBILE L’AZIONE RESTITUTORIA OVE IL CONTO SIA ANCORA APERTO AL MOMENTO DELLA NOTIFICA DELLA CITAZIONE
ANCHE LA RICHIESTA DI RIDETERMINAZIONE DEL SALDO È INAMMISSIBILE IN QUANTO NON È UNA DOMANDA AUTONOMA
Sentenza | Tribunale di Monza, Dott.ssa Gabriella Mariconda | 25.01.2016 | n.171
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Roma – Terza Sezione Civile, in persona del dott. Francesco Remo Scerrato, in funzione di giudice unico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado, iscritta al n° omissis, Ruolo Generale dell’anno 2014, e trattenuta in decisione all’udienza del 16 gennaio 2017, vertente
TRA
SOCIETÀ SNC
SOCIO FIDEIUSSORE
SOCIO FIDEIUSSORE
ATTORI
E
BANCA
CONVENUTA
OGGETTO: accertamento in materia bancaria.
CONCLUSIONI:
per la parte opponente (verbale dell’udienza di p.c.): l’avv.to preliminarmente chiede l’integrazione della ctu, con i motivi già specificati dal proprio Ctp; quanto al resto, conclude come da foglio di p.c. già depositato telematicamente e che deposita anche in formato cartaceo, come copia di cortesia; … “;
per la opposta (comparsa di risposta): “ … l’avv.to Nissi si riporta alle conclusioni di cui alla comparsa di risposta. . …”.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, ritualmente notificato alla convenuta BANCA, gli attori SOCI FIDEIUSSORI e la SOCIETÀ SNC (debitrice principale) e in proprio I FIDEIUSSORI (fideiussori fino alla concorrenza di 100.000,00 euro), premesso che la società era titolare del rapporto di conto corrente n° OMISSIS, sul quale erano stati regolati vari affidamenti, allegavano che, alla luce di una perizia contabile commissionata a società specializzata in elaborazioni dati, erano emerse una serie di violazioni di legge, con conseguente interesse all’accertamento dell’invalidità nella determinazione ed applicazione, da parte della banca, degli interessi debitori ultralegali, di quelli anatocistici, di quelli usurari, della commissione di massimo scoperto, dei costi, competenze e remunerazioni a qualsiasi titolo pretese, il tutto come meglio indicato in citazione; che la banca andava condannata alla restituzione, in favore di essa attrice, della somma di 38.753,10 euro o, in subordine, della minor somma di 31.257,46 euro, oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria, ed al risarcimento dei danni da quantificare in corso di causa o da liquidare in via equitativa, oltre al pagamento delle spese di perizia pari a 2.850,00 euro oltre IVA. Tanto premesso, parte attrice concludeva conferentemente.
Si costituiva in giudizio la convenuta BANCA, la quale instava per l’accoglimento delle seguenti conclusioni, come riportate nella comparsa di risposta: “Voglia l’On.le Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, deduzione, eccezione in via principale: a) rigettare tutte le domande formulate dagli attori con l’atto di citazione notificato il 26/11/2014, in quanto inammissibili, illegittime e infondate; b) in via subordinata, nella denegata ipotesi di accoglimento in tutto o in parte delle domande proposte dalla SOCIETÀ SNC, disporre la compensazione, anche parziale, delle somme che dovessero essere liquidate in favore di quest’ultima a titolo di restituzione o di risarcimento danni o di spese di lite con il credito vantato dalla BANCA nei confronti di essa attrice. Il tutto con vittoria di spese di lite, non escluse le spese generali ex art. 2 D.M. 10.3.2014, n. 55”.
Nel corso del giudizio si costituiva nuovo procuratore per gli attori.
La causa era istruita documentalmente e con ammissione di ctu contabile.
All’udienza del 16/1/2017 le parti precisavano le conclusioni come da verbale di udienza; in particolare l’attrice, richiamando le conclusioni già precisate con la memoria ex art. 183/6 n° 1 c.p.c., depositava, tanto in via telematica quanto in formato cartaceo di cortesia, foglio di precisazione delle conclusioni, del seguente contenuto “… In via principale di merito:
Accertare, in relazione al conto corrente in esame intestato a SOCIETÀ SNC, l’invalidità nella determinazione ed applicazione degli interessi debitori ultralegali e/o di quelli anatocistici con capitalizzazione trimestrale, delle commissioni di massimo scoperto, dei costi, competenze e remunerazioni a qualsiasi titolo pretese e conseguentemente, previa declaratoria di nullità della clausola relativa alla pattuizione di interessi usurari nel contratto de quo e riconoscere che sullo stesso sono stati rinvenuti interessi non dovuti in quanto usurari, con conseguente quantificazione delle relative somme, anche a seguito di consulenza tecnica d’ufficio.
Accertare e dichiarare che BANCA ha illegittimamente addebitato l’importo di € 38.753,10 a titolo di interessi usurari, anatocistici, di spese e commissioni di massimo scoperto o messa a disposizione dei fondi non dovuti e, conseguentemente, condannare la BANCA, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento, in via restitutoria, di € 38.753,10 (o in subordine della minor somma di € 31.257,46 così come calcolata in narrativa) o come da risultanze di ctu contabile, nei confronti della SOCIETÀ SNC, più interessi legali sino al saldo e rivalutazione monetaria, oltre al pagamento delle spese di perizia pari ad € 2.850,00 oltre IVA, nonché in via risarcitoria, attesa la nullità dei contratti bancari de quibus, per tutte le argomentazioni esposte in narrativa, condannare, altresì, l’istituto di credito al pagamento dell’ulteriore danno subito nella misura che verrà ritenuta di giustizia.
Accertare e dichiarare che il saldo contabile del conto corrente, alla data del 31.03.2014, risente degli errati addebiti di cui al precedente punto 1) pari ad € 38.753,10 (ovvero € 31.257,46) effettuati dall’Istituto di credito e, conseguentemente, rettificare il saldo epurandolo delle differenze da usura, anatocistiche e di errato addebito di spese e commissioni di massimo scoperto o messa a disposizione dei fondi.
Verificare, in ogni caso, come l’istituto avverso abbia agito in dispregio della L. 108/96, perpetrando il reato di usura trasmettendo, se del caso, gli atti del presente giudizio alla Procura della Repubblica competente. In via istruttoria: Si chiede venga richiamato il nominato Ctu al fine di disporre integrazione peritale, ammettendo i quesiti relativi alla verifica dell’usurarietà del rapporto mediante l’utilizzo della formula ‘all inclusive’, come previsto dall’art. 644 c.p., e dei quesiti posti con memoria ex art 183 n. 2. In ogni caso con vittoria di spese e competenze professionali di lite, comprensive di rimborso forfettario e rivalse previdenziali e fiscali, con distrazione in favore del difensore. In via subordinata, nella sola e denegatissima ipotesi di non accoglimento delle domande attoree, si chiede al Giudice di adito di disporre la compensazione delle spese di lite per i motivi di cui in narrativa”.
All’esito, la causa era trattenuta in decisione con assegnazione dei termini di legge per il deposito di comparse conclusionali (60 giorni) e di repliche (ulteriori 20 giorni): i termini ex artt. 281 quinquies e 190 c.p.c. sono scaduti il 6/4/2017.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda di parte attrice in parte è inammissibile ed in parte infondata.
Preliminarmente, in tema di riparto dell’onere allegatorio e probatorio, si rammenta che nel caso di domanda di accertamento negativo e di ripetizione di indebito, l’onere allegatorio e probatorio grava esclusivamente sul correntista attore in relazione all’intero periodo dedotto in giudizio (cfr. Cass. 20693/2016, in tema di ripetizione di indebito in caso di pattuizioni in ipotesi invalide).
La parte attrice, nel richiamare note tematiche in tema di contratti bancari, ha eccepito la violazione della disciplina legale in tema di anatocismo, di usura, di tassi di interesse ultralegale, di c.m.s. e di altre commissioni variamente denominate (‘commissioni disponibilità fondi’ e ‘commissione utilizzi oltre disponibilità fondi’), di ius variandi e di giorni valuta ed ha allegato che le differenze da ricalcolo ammontavano, alla data del 31/3/2014, a 31.257,46 euro, di cui 18.718,12 euro a titolo di usura oggettiva, 11.228,40 euro a titolo di usura soggettiva e 1.310,94 euro a titolo di solo anatocismo, differenza che asseritamente aumentava a 38.753,10 euro, considerando l’incidenza dell’anatocismo (11.956,00 euro), calcolato in tutti i trimestri, con la conseguenza che il saldo del conto corrente al 31/3/2014 andava rettificato, dovendo essere epurato delle differenze date dall’usura e dall’anatocismo.
Inoltre era richiesta la condanna della banca alla restituzione delle somme versate in eccedenza sulla base di illegittime clausole
Preliminarmente, per precisare l’ambito della decisione, va ribadito che, nel caso di contratto di conto corrente ancora in essere, è inammissibile qualsiasi domanda di condanna al pagamento, in via restitutoria, di somme, di cui si assuma l’indebito addebito sul conto corrente.
Peraltro, anche in presenza di un conto corrente ancora aperto, non va esclusa la possibilità di agire in giudizio con un’azione di accertamento dell’eventuale nullità delle clausole applicate e di accertamento della consistenza dei rapporti di dare/avere fra le parti ad una certa data.
Orbene, con ordinanza pronunciata all’udienza del 6/10/2015 è stata ammessa ctu contabile sulla base del seguente quesito: “1. Verifichi il Ctu, esaminati gli atti di causa ed acquisita nel contraddittorio fra le parti la documentazione ritenuta necessaria, l’effettivo tasso di interesse debitore applicato dalla banca nel corso del rapporto per cui è causa dall’inizio del rapporto fino alla attualità, indicando analiticamente le variazioni intervenute periodo per periodo e la corrispondenza del predetto tasso (e sue eventuali variazioni) a quanto contrattualmente stabilito per iscritto dalle parti; 2. Verifichi il Ctu se il tasso, così determinato, rispetti o meno i tassi soglia ex L. 108/96 vigenti tempo per tempo, valutando e determinando analiticamente, in caso di superamento, l’esistenza di maggiori oneri finanziari a carico del correntista, il tutto con riferimento alla specifica categoria di operazione bancaria applicabile nel caso concreto; 3. Verifichi analiticamente anno per anno il Ctu l’incidenza della commissione di massimo scoperto e delle spese nella determinazione dell’importo esatto dalla banca, scorporandole dal saldo, ove non pattuite in forma scritta; 4. Trattandosi di rapporto sorto dopo la delibera CICR del 9/2/00 (art. 25 del D.Lgs. 342/99) provveda il Ctu a determinare il saldo contabile relativo al rapporto per cui è causa, applicando la capitalizzazione degli interessi passivi con la frequenza contrattualmente prevista, utilizzando nei singoli conteggi: a) l’interesse passivo di fatto applicato dalla banca, b) l’interesse contrattualmente convenuto e c) l’interesse determinato come per legge, calcolato ex art. 117, 7° comma, lett. a), D.Lgs. 385/93 TUB. Il Ctu terrà altresì conto del testo dell’art. 120, 2° comma, lett. b, TUB, come introdotto dalla L. 147/13, art. 1, comma 629; 5. Verifichi il Ctu se tutte operazioni effettuate sono state correttamente e tempestivamente riportate negli estratti conto redatti dalla banca, anche tenuto conto dei giorni effettivi e dei giorni valuta; 6. Determini il Ctu analiticamente i rapporti di dare/avere alla chiusura conto, se nel frattempo intervenuta, o comunque il saldo contabile alla indicata data del 31/3/14 (cfr. memoria ex art. 183/6 n° 1 c.p.c.), in relazione alle risultanze accertate alla luce dei precedenti quesiti e delle differenti ipotesi ”, quesito integrato alla successiva udienza del 20/10/2015 nel senso che “ … al punto 2) deve essere sviluppata una ipotesi di calcolo alternativa, che contempli l’esclusione nel calcolo del TEG della commissione massimo scoperto fino a tutto il 30/7/09…” (cfr. verbale di udienza).
Prima di procedere all’individuazione dei corretti rapporti di dare/avere fra le parti, appare opportuno delineare, sia pure schematicamente, il quadro di riferimento in relazione alle specifiche contestazioni sollevate dalla parte attrice.
In relazione alla contestazione di ‘illegittima applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori’, è sufficiente rilevare, evitando di ripercorrere tutta l’evoluzione giurisprudenziale in tema di anatocismo, in quanto assolutamente inutile attesa la data di stipula del contratto, -da un lato- che il contratto è stato stipulato in data 1/4/2004, successivamente quindi all’entrata in vigore della delibera CICR del 9/2/2000, che ha consentito agli istituti di credito, con il rispetto di determinare condizioni, la capitalizzazione infrannuale degli interessi, e -dall’altro- che, come risulta dalle condizioni economiche del contratto, risulta pattuita la reciprocità di liquidazione trimestrale delle competenze attive e passive; quindi l’anatocismo era consentito e quindi legittimo, quanto meno, fino al 31/12/2013.
E’, a quest’ultimo riguardo, rilevante la modifica dell’art. 120 TUB in tema di nuova regolamentazione dell’anatocismo, in quanto la modifica apportata dalla L. 147/2013, con tutto ciò che ne è conseguito in termini di ritenuta immediata efficacia precettiva del nuovo secondo comma dell’art. 120 TUB, è entrata in vigore in data 1/1/2014, quando il rapporto che qui ci occupa era ancora in essere.
Per quanto riguarda la tematica delle commissioni di massimo scoperto e delle commissioni similari, va ricordato che la questione sull’astratta validità di dette clausole, su cui peraltro già si era espressa la giurisprudenza di legittimità nel qualificare la ‘commissione di massimo scoperto’ come la “ … remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma …” (cfr. Cass. 870/2006, in motivazione), può ritenersi definitivamente superata per effetto del D.L. 185/2008 del 28/11/2008, convertito con modificazioni dalla L. 2/2009 del 28/1/2009, che costituisce la prima regolamentazione organica della materia, oggetto di successivi interventi legislativi, che hanno integrato e sostituito l’originaria normativa, poi invero abrogata nel 2012 dall’art. 27, 4° comma, del D.L. 1/2012 del 24/1/2012, convertito con modificazioni dalla L. 27/2012 del 24/3/2012.
L’art. 2 bis dell’originaria disciplina prevedeva, al primo comma, che “sono nulle le clausole contrattuali aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto se il saldo del cliente risulti a debito per un periodo continuativo inferiore a trenta giorni ovvero a fronte di utilizzi in assenza di fido. Sono altresì nulle le clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del cliente titolare di conto corrente indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma, ovvero che prevedono una remunerazione accordata alla banca indipendentemente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, salvo che il corrispettivo per il servizio di messa a disposizione delle somme sia predeterminato, unitamente al tasso debitore per le somme effettivamente utilizzate, con patto scritto non rinnovabile tacitamente, in misura onnicomprensiva e proporzionale all’importo e alla durata dell’affidamento richiesto dal cliente e sia specificatamente evidenziato e rendicontato al cliente con cadenza massima annuale con l’indicazione dell’effettivo utilizzo avvenuto nello stesso periodo, fatta salva comunque la facoltà di recesso del cliente in ogni momento”; inoltre, mentre il secondo comma conteneva un’importante disposizione in tema di usura, di cui poi si dirà, il terzo comma stabiliva la disciplina di adattamento dei contratti in corso, prevedendo che “i contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono adeguati alle disposizioni del presente articolo entro centocinquanta giorni dalla medesima data. Tale obbligo di adeguamento costituisce giustificato motivo agli effetti dell’articolo 118, comma 1, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni”.
Era stato pertanto previsto un termine di 150 giorni per l’adeguamento dei contratti in corso, termine decorrente dall’entrata in vigore della legge di conversione; quindi, entrata in vigore la L. 2/2009 in data 29/1/2009, il termine scadeva il 28/6/2009.
Dunque in base al citato 1° comma dell’art. 2 bis venivano ad essere disciplinate due distinte ipotesi di commissioni: la prima sulle somme utilizzate (cd. commissione sulle somme utilizzate), sia pure nella sola ipotesi di conti affidati e per utilizzi del fido per un tempo superiore a trenta giorni, e la seconda sulla messa a disposizione dei fondi (c.d. commissione per messa a disposizione dei fondi o CMDF), dovuta a prescindere dall’effettivo utilizzo e dalla durata dell’utilizzo, ma a precise condizioni: 1) predeterminazione del corrispettivo per il servizio di messa a disposizione delle somme, unitamente al tasso debitore per le somme effettivamente utilizzate; 2) pattuizione con atto scritto, non rinnovabile tacitamente; 3) determinazione del corrispettivo in misura onnicomprensiva e proporzionale all’importo ed alla durata dell’affidamento richiesto dal cliente; 4) rendicontazione al cliente con cadenza massima annuale, in cui si doveva dare indicazione dell’effettivo utilizzo avvenuto nello stesso periodo, il tutto fatta salva comunque la facoltà di recesso del cliente in ogni momento.
Si è pertanto in presenza di un primo intervento organico che, nel disciplinare la materia delle CMS, da considerare pienamente valide ed efficaci se conformi ai dettami di legge, ha consentito implicitamente di riconoscere la piena legittimità delle CMS, anche per il passato, quanto alla sussistenza di una valida causa negoziale, già peraltro – come detto- affermata da giurisprudenza di legittimità e di merito.
Come già evidenziato in passato, va ribadito che detta commissione deve essere prevista in apposita clausola del contratto scritto fra banca e cliente, anche al fine di rispondere all’esigenza di determinatezza dell’oggetto del contratto.
Immediatamente dopo l’entrata a regime della predetta disciplina e scaduto il termine per l’adeguamento dei contratti in corso (giugno 2009), vi è stata un’integrazione, con l’aggiunta di un’ulteriore condizione per la validità delle citate CMDF, di cui alla seconda parte del 1° comma del su richiamato art. 2 bis; infatti con l’art. 2, 2° comma, del D.L. 78/2009 dell’1/7/2009, convertito con modificazioni dall’art. 1, 1° comma, L. 102/2009, è stato al riguardo previsto che “ … allo scopo di accelerare e rendere effettivi i benefici derivanti dal divieto della commissione di massimo scoperto, all’articolo 2 bis, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, articolo 1, convertito dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, alla fine del comma 1 è aggiunto il seguente periodo: “L’ammontare del corrispettivo onnicomprensivo di cui al periodo precedente non può comunque superare lo 0,5 per cento, per trimestre, dell’importo dell’affidamento, a pena di nullità del patto di remunerazione. Il Ministro dell’economia e delle finanze assicura, con propri provvedimenti, la vigilanza sull’osservanza delle prescrizioni del presente articolo” …”.
In conclusione era possibile per la banca prevedere e conteggiare contemporaneamente gli interessi passivi, la CMS (prima parte del citato art. 2 bis) e la CMDF (seconda parte del citato art. 2 bis), il tutto peraltro nel rispetto delle previsioni di legge su citate e dei tassi soglia in tema di usura.
La disciplina legale è stata modificata a cavallo del 2011 – 2012 con l’abrogazione del citato D.L. 185/2008, convertito dalla L. 2/2009; in particolare con il D.L. 201/2011 del 6/12/2011, convertito con modificazioni dalla L. 214/2011 del 22/12/2011, è stato introdotto, con l’art. 6 bis, il nuovo art. 117 bis del D.Lgs 385/1993 TUB; dopo poco più di un mese, con il D.L. 1/2012 del 24/1/2012, convertito con modificazioni dalla L. 27/2012 del 24/3/2012, è stato previsto, all’art. 27 bis, che “sono nulle tutte le clausole comunque denominate che prevedano commissioni a favore delle banche a fronte della concessione di linee di credito, della loro messa a disposizione, del loro mantenimento in essere, del loro utilizzo anche nel caso di sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido”, mentre -come detto- con l’art. 27 era stata disposta l’abrogazione dei “ … commi 1 e 3 dell’articolo 2-bis del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, …”; nella stessa giornata del 24/3/2012 vi è stata peraltro una nuova decretazione d’urgenza con il D.L. 29/2012 del 24/3/2012, convertito con modificazioni dalla L. 62/2012 del 18/5/2012, con cui si è proceduto alla modifica tanto dell’art. 27 bis del citato D.L. 1/2012, con l’aggiunta al 1° comma, alla fine, delle seguenti parole “ … stipulate in violazione delle disposizioni applicative dell’articolo 117-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, adottate dal Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio al fine di rendere i costi trasparenti e immediatamente comparabili” e con l’aggiunta di due nuovi commi (1 bis e 1 ter), quanto dell’art. 117 bis del citato D.Lgs 385/1993 TUB, il cui nuovo testo è divenuto il seguente: “i contratti di apertura di credito possono prevedere, quali unici oneri a carico del cliente, una commissione onnicomprensiva, calcolata in maniera proporzionale rispetto alla somma messa a disposizione del cliente e alla durata dell’affidamento, e un tasso di interesse debitore sulle somme prelevate. L’ammontare della commissione determinata in coerenza con la delibera del CICR anche in relazione alle specifiche tipologie di apertura di credito e con particolare riguardo per i conti correnti, non può superare lo 0,5 per cento, per trimestre, della somma messa a disposizione del cliente” (1° comma); “a fronte di sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido, i contratti di conto corrente e di apertura di credito possono prevedere, quali unici oneri a carico del cliente, una commissione di istruttoria veloce determinata in misura fissa, espressa in valore assoluto, commisurata ai costi e un tasso di interesse debitore sull’ammontare dello sconfinamento” (2° comma); “le clausole che prevedono oneri diversi o non conformi rispetto a quanto stabilito nei commi 1 e 2 sono nulle. La nullità della clausola non comporta la nullità del contratto” (3° comma); “il CICR adotta disposizioni applicative del presente articolo, ivi comprese quelle in materia di trasparenza e comparabilità, e può prevedere che esso si applichi ad altri contratti per i quali si pongano analoghe esigenze di tutela del cliente; il CICR prevede i casi in cui, in relazione all’entità e alla durata dello sconfinamento, non sia dovuta la commissione di istruttoria veloce di cui al comma 2” (4° comma).
Dunque, al primo comma del citato nuovo art. 117 bis TUB, il legislatore ha richiamato le CMDF, finalizzate a remunerare le banche per le somme messe a disposizione del cliente con i contratti di apertura di credito, mentre al secondo comma ha introdotto la commissione di istruttoria veloce (CIV), liquidata in misura fissa, in valori assoluti, e commisurata ai costi sostenuti dalla banca, e da applicare in caso di sconfinamenti oltre il limite del fido ovvero di sconfinamenti in assenza di fido, in aggiunta al tasso di interesse debitore.
Da ultimo, a completamento e definizione del quadro normativo, è intervenuto il D.M. 644 del 30/6/2012 del CICR – Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio, che, entrato in vigore in data 1/7/2012, ha invero fornito una disciplina di dettaglio, anche per quanto riguarda il regime transitorio e i requisiti di forma.
In particolare all’art. 5 è stato previsto che “i contratti in corso al 1° luglio 2012 sono adeguati entro il 1° ottobre 2012 con l’introduzione di clausole conformi all’art. 117 bis del TUB e al presente decreto, ai sensi dell’articolo 118 del TUB. L’adeguamento dei contratti a quanto previsto ai sensi dell’articolo 117 bis del TUB e del presente decreto costituisce giustificato motivo ai sensi dell’articolo 118 del TUB. Per i contratti che non prevedono l’applicazione dell’articolo 118 del TUB, gli intermediari propongono al cliente l’adeguamento del contratto entro il 1° ottobre 2012”.
In stretta connessione è l’ulteriore contestazione in tema di mancata pattuizione in forma scritta dei tassi di interesse in misura ultralegale.
Sul punto l’art. 117 TUB, oltre a prevedere la forma scritta dei contratti a pena di nullità (1° e 3° comma), stabilisce che “i contratti indicano il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora” (4° comma) e che “sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonché quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati” (6° comma), con la previsione dell’applicazione ex lege di tassi sostitutivi, dettagliatamente previsti a seconda del tipo di operazione, “in caso di inosservanza del comma 4 e nelle ipotesi di nullità indicate nel comma 6” (7° comma).
Per quanto riguarda l’efficacia delle modifiche, l’art. 118 D.Lgs 385/1993 TUB prevede appunto che “nei contratti a tempo indeterminato può essere convenuta, con clausola approvata specificamente dal cliente, la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussista un giustificato motivo. …” (1° comma, prima parte).
Al riguardo all’art. 12 del contratto di conto corrente n. (omissis), stipulato in data 1/4/2004, è stata convenuta la facoltà del ius variandi, in conformità con il disposto dell’art. 118 D.Lgs. 385/1993.
Le variazioni dei tassi e delle condizioni contrattuali sono state regolarmente comunicate alla società correntista con la trasmissione degli estratti conto, né risulta che la parte attrice, che ha prodotto cospicua documentazione relativa al rapporto, abbia mai lamentato, nel corso del rapporto, la mancata trasmissione degli estratti conto.
Per quanto riguarda la tematica dei cd giorni valuta, va ricordato che dalla disciplina legislativa, contenuta nel D.L. 78/2009, convertito con modificazioni dalla L. 102/2009 e poi nell’art. 120 T.U.B., come modificato dal D.Lgs. 141/2010 e poi dal D.Lgs. 218/2010, risulta che in ogni caso non è prevista in alcun modo una generalizzata ed automatica coincidenza della valuta con la data di esecuzione dell’operazione.
Orbene con riferimento a queste problematiche il Ctu “ … ha constatato che nella copia dei contratti in atti la misura del tasso di interesse debitore e creditore, della commissione di massimo scoperto e delle altre condizioni economiche applicate risulta determinata per iscritto e che le variazioni delle condizioni economiche sono state indicate e comunicate nei documenti bancari periodici. Nei contratti, in particolare, risulta specificamente approvata, ai sensi dell’art. 6 della delibera CICR 9/2/2000, la clausola relativa alla periodicità di capitalizzazione trimestrale degli interessi nonché, ai sensi dell’art. 117 comma 5 del D.Lgs 385/1993, quella relativa alla facoltà di variazione del tasso di interesse e delle altre condizioni economiche in senso sfavorevole al Cliente. Il tasso di interesse debitore applicato dalla banca nel corso del rapporto e l’importo delle commissioni di massimo scoperto e delle spese addebitate trimestralmente dalla banca corrisponde a quanto contrattualmente stabilito per iscritto dalle parti e alle successive variazioni riportate sui documenti bancari in atti. Le operazioni effettuate risultano correttamente riportate negli estratti conto redatti dalla Banca. …” (cfr. ctu in atti).
Dunque appare non fondata la doglianza in tema di anatocismo, cms e giorni valuta, anche in considerazione dell’assoluta genericità, in quest’ultimo caso, della doglianza dell’attrice.
Per quanto riguarda -si passa all’ulteriore contestazione- la violazione della disciplina prevista dalla Legge 108/1996, parte attrice ha lamentato il mancato rispetto dei limiti fissati dai DM in tema di usura, con conseguente applicabilità dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815 c.c..
Preliminarmente, ricordata la distinzione fra usura genetica o contrattuale (è tale quella esistente, in epoca successiva alla L. 108/1996, al momento della conclusione del contratto o delle sue eventuali variazioni) ed usura sopravvenuta (è tale quella che si caratterizza per pattuizioni, che, pur se valide al momento della contrattazione, successivamente vengano a trovarsi disallineate rispetto ai valori numerici rilevati periodicamente ed espressi dai tassi soglia) e ritenuta applicabile la sanzione ‘civile’ di cui all’art. 1815, 2° comma, c.c. solo all’usura genetica (o contrattuale), si osserva che, in base al secondo comma dell’art. 2 bis, del citato D.L. 185/2008, convertito con modificazioni dalla L. 2/2009, era all’epoca previsto che “gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’articolo 1815 del codice civile, dell’articolo 644 del codice penale e degli articoli 2 e 3 della legge 7 marzo 1996, n. 108.
Il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Banca d’Italia, emana disposizioni transitorie in relazione all’applicazione dell’articolo 2 della legge 7 marzo 1996, n. 108, per stabilire che il limite previsto dal terzo comma dell’articolo 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono usurari, resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni”.
Dunque si ha conferma che, quanto meno fino al termine del periodo transitorio (31/12/2009) di cui alla disciplina introdotta dal citato D.L. 185/2008, convertito con modificazioni dalla L. 2/2009, non doveva essere presa in considerazione la CMS applicata dalla banca ai fini della determinazione del tasso effettivo globale e quindi della verifica del superamento del tasso soglia usurario (cfr. Cass. 12965/2016; Cass. 22270/2016); non è pertanto condivisibile l’orientamento secondo il quale la CMS debba essere ricompresa nel calcolo del TEG non soltanto dall’1/1/2010 (data della prima rilevazione fatta in base alle Istruzioni della Banca d’Italia dell’agosto 2009), ma anche per il periodo anteriore, con riferimento all’entrata in vigore della L. 108/1996.
Ribadisce poi il Giudice, dando continuità all’orientamento anche dell’Ufficio, che va utilizzata la formula elaborata dalla Banca d’Italia, che seppure non vincolante, costituisce un valido elemento di valutazione.
Al riguardo va ricordato che all’art. 3, 2° comma, del Decreto Ministero del Tesoro 22/3/1997 è previsto che “Le banche e gli intermediari finanziari al fine di verificare il rispetto del limite di cui all’art. 2, comma 4, della legge 7 marzo 1996 n. 108, si attengono ai criteri di calcolo delle istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura emanate dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio italiano dei cambi”; che tutti i decreti ministeriali nel tempo emanati per la rilevazione trimestrale dei tassi effettivi globali medi ai fini della legge sull’usura prevedono esplicitamente l’adozione dei criteri di calcolo stabiliti dalle istruzioni della Banca d’Italia al fine di verificare il rispetto del limite di cui all’art. 2, comma 4, della legge 7 marzo 1996 n. 108; che il Decreto Ministero del Tesoro 24 settembre 1998 (G.U. n. 228 del 30/9/1998), oltre al consueto richiamo ai criteri di calcolo della Banca d’Italia di cui al comma 2 dell’art. 3, reca all’allegato 1 le “Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura” della Banca d’Italia (le “Istruzioni”) e che la formula di calcolo del TEG indicata nelle Istruzioni tempo per tempo vigenti è sempre rimasta invariata, fatto salvo il nuovo criterio di inclusione delle CMS negli oneri adottato dalla Banca d’Italia nel 2009.
Ulteriore profilo da esaminare è la questione delle conseguenze nel caso di superamento del tasso soglia.
Ritiene il Giudice, come da propria giurisprudenza, che, nel caso di usura sopravvenuta, non possa trovare applicazione l’art. 1815, 2° comma, c.c., la cui sanzione è prevista per la differente ipotesi dell’usura genetica o contrattuale, e che si debba procedere alla sostituzione automatica del tasso, risultato usurario, con i tassi soglia previsti nei singoli periodi di superamento; quindi detta sostituzione deve essere disposta esclusivamente per i trimestri di accertato superamento dei tassi soglia e con riferimento appunto a detti tassi, che si sostituiscono ex lege a quelli risultati eccedenti (cfr. Cass. 602/2013).
Va pertanto esclusa la soluzione dell’applicazione, in sostituzione di quelli applicati dalla banca nei trimestri di ‘sforamento’, dei tassi legali ex art. 117 TUB e, come ulteriore effetto sanzionatorio, per tutta la durata del rapporto, così come va esclusa, nel caso appunto di usura sopravvenuta, la totale esclusione di interessi come effetto sanzionatorio ex art. 1815, 2° comma, c.c. (cfr. Cass. 9405/2017, in tema di mutuo, ma il principio è di generale applicazione).
Nella motivazione della citata sentenza, nel richiamare i principi del più recente orientamento che si è andato a formare (cfr. Cass. 17150/2016), la Cassazione ha precisato che “ … la norma d’interpretazione autentica contenuta nel citato art. l del d.l. n. 394 del 2000 convertito nella 1. n. 241 del 2001, secondo la quale la valutazione dell’usurarietà del tasso d’interesse deve essere svolta sulla base di quello pattuito originariamente, non elimina l’efficacia del rilievo dell’illiceità dovuta al sopravvenuto superamento del tasso soglia, ma esclude che possano essere applicate le sanzioni civili e penali (come specificamente indicato da Corte Cost. n. 29 del 2002) stabilite all’art. 644 cod.pen e 1815 cod. civ. Questa costituisce l’unica opzione ermeneutica compatibile con la natura inderogabile ed imperativa della determinazione normativa periodica dei tassi soglia per ciascuna tipologia contrattuale ivi prevista. Pertanto ove, come nella specie, il rilievo dell’usurarietà sopravvenuta sia stato tempestivamente eccepito, il giudice del merito è tenuto ad accertarlo per la frazione temporale nella quale il superamento del tasso soglia sia effettivamente intervenuto ed applicare per quel segmento del rapporto contrattuale il tasso soglia previsto in via normativa secondo la rilevazione trimestrale eseguita ex art. 2 1. n. 108 del 1996. …” (cfr. citata Cass. 9405/2017 in motivazione).
In conclusione nel caso di superamento del tasso soglia nel corso del rapporto non si applicano le sanzioni civili e penali e si ha sostituzione, nei trimestri di superamento, del tasso applicato con quello rilevato ex art. 2, L. 108/1996.
Nel caso di specie il Ctu, previo richiamo della disciplina in materia e condivisa adesione alle metodologie di calcolo sulla base delle istruzioni della Banca d’Italia, ha proceduto al doppio calcolo, secondo l’alternativa posta nel quesito, pervenendo alla conclusione che in ogni caso non risultavano superati i tassi soglia, periodo per periodo considerati (cfr. ctu in atti: “Il CTU ha constatato che il TEG applicato dalla Banca al rapporto di c/c n. omissis risulta sempre inferiore al tasso soglia del trimestre di riferimento e che, nell’ipotesi di calcolo di cui al Punto 2/B, la misura della CMS media applicata dalla Banca sul conto corrente in esame risulta sempre inferiore alla CMS media indicata in nota alla tabella dei tassi pubblicata trimestralmente sulla Gazzetta Ufficiale”).
In conclusione anche in parte qua la domanda non è fondata.
Risulta così assorbita la deduzione di parte convenuta sul fatto che “ … Le contestazioni degli attori in ordine al presunto superamento del tasso soglia ex artt. 2 e 3 legge 108/1996 sono inammissibili, in quanto essi non hanno assolto il relativo onere della prova, non avendo prodotto in giudizio copia dei decreti ministeriali determinativi del suddetto tasso soglia, in quanto la loro natura di atti amministrativi rende inapplicabile il principio iura novit curia di cui all’art. 113 c.p.c., che va coordinato con l’art. 1 delle disp. prel. al codice civile, il quale non comprende detti atti tra le fonti del diritto (ex multis Cass. 2.7.2014, n. 15065; Cass., Sez. Un., 29.4.2009, n. 9941; Cass. 26.8.2002, n. 124762; Cass. 26.6.2001, n. 8742). …” (cfr. comparsa conclusionale della convenuta).
Miglior sorte non arride alla domanda attorea in tema di usura soggettiva.
Al riguardo nella memoria ex art. 183/6 n° 1 c.p.c. di parte attrice è dato leggere che “ … il primo elemento idoneo a differenziarla dall’ipotesi di usura oggettiva, è quello della difficoltà economica in cui versa il soggetto finanziato. …, ai fini dell’usura soggettiva, non è richiesto -quale condizione indispensabile- un effettivo stato di bisogno: infatti, al fine di integrare la fattispecie di usura soggettiva sono sufficienti difficoltà economiche che non necessariamente devono, in concreto, presentare tale intensità. Infatti, l’elemento centrale nella fattispecie dell’usurarietà soggettiva è quello rappresentato dalla sproporzione, la quale deve essere valutata alla luce delle concrete e soggettive modalità di fatto. …”; che “ … Nell’usura soggettiva, pertanto, sono le circostanze concrete del rapporto, che valgono a considerare illegittimo ciò che sarebbe legittimo, ovvero la pattuizione di un tasso entro la soglia. … . Gli elementi di fatto che devono essere presenti per ritenere sussista l’usura soggettiva, sono rappresentati da particolari condizioni del contratto insolite e gravose, dalla cessione di beni quale garanzia del credito in violazione del divieto di patto commissorio, dalla richiesta pressante per tempistiche e modalità di pagamento ecc. …”; che “ … La situazione economica dei signori Belluz Antonio, Stefano e Gianni, quali soci della società, si caratterizzava, allora come ora, per una rilevante difficoltà legata in particolare all’andamento negativo della propria attività dovuto anche alla congiuntura economica del momento. La difficoltà economica della predetta società in nome collettivo, infatti, non poteva non essere evidente alla odierna convenuta, che non poteva non essere a conoscenza della difficoltà dei finanziamenti richiesti ed ottenuti da altri Istituti di Credito, al fine di ottenere l’aiuto economico necessario per far fronte alle esigenze economiche. …” (cfr. citata memoria attorea ex art. 183/6 n° 1 c.p.c.).
Nel caso di specie, a prescindere da ogni altra considerazione, difetta la prova a sostegno della fattispecie in parola, non essendo all’uopo sufficiente la mera allegazione di una situazione di difficoltà economica o finanziaria che, di per sé considerata, possa consentire di dimostrare lo stato soggettivo di approfittamento; infatti si ribadisce che deve essere fornita la prova, in base a conferente allegazione, oltre che della sproporzione tra le condizioni applicate e le condizioni praticate per operazioni similari, anche appunto della situazione di difficoltà economica o finanziaria del correntista e della conoscenza della stessa da parte della banca.
Nulla risulta al riguardo e pertanto la domanda va rigettata anche in parte qua.
Per quanto riguarda l’ammontare del saldo al 31/3/2014 il Ctu, in sede di replica alle osservazioni dei Ctp, ha precisato che “ … all’esito degli accertamenti di cui al Punto 1 della presente perizia e delle relative conclusioni, è confermato il saldo debitore di Euro 20.587,79 al 31.3.2014 del conto corrente n. omissis, inclusi gli interessi e le altre competenze analiticamente riportate nei documenti bancari in atti ai quali si fa integrale rinvio. …” (cfr. ctu a pag. 35).
Ritiene il Giudice, portando a sintesi le superiori osservazioni in fatto e in diritto, che questa sia la soluzione da adottare, così come risulta dal saldo contabile, a fronte dell’ulteriore calcolo proposto dal Ctu al punto 3/A e prospettato come ipotesi alternativa (cfr. ctu a pag. 35: “ … Il conteggio alternativo di cui al Punto 3/A della presente perizia, che chiude con un saldo debitore di Euro 6.864,08 al 31.3.2014, è stato elaborato sulla base del tasso di interesse nella misura contrattualmente stabilita per iscritto e senza applicazione dello ius variandi, per offrire un risultato alternativo al G.I. in caso di diverso orientamento sull’ “interesse contrattualmente convenuto”. …”).
Non è sicuramente percorribile, alla luce delle risultanze di causa, la soluzione al punto 3/B (con applicazione del tasso sostitutivo indicato dall’art. 117, 7° comma, lett. a), D.Lgs. 385/93 TUB), in quanto risulta concordato il tasso da applicare.
In conclusione va confermato il saldo debitore di 20.587,79 euro alla data del 31/3/2014 del conto corrente n° omissis
Passando alla domanda risarcitoria, la stessa è da rigettare per assoluto difetto di allegazione in ordine agli elementi che consentano l’individuazione stessa del danno asseritamente subito; infatti la domanda risarcitoria è sfornita di qualsivoglia allegazione, prima ancora che di prova, sulla natura e sull’entità del danno asseritamente subito e da risarcire.
Ai fini della risarcibilità ex art. 1223 c.c., in relazione all’art. 1218 c.c. o agli artt. 2043 e 2056 c.c., il creditore o il preteso danneggiato deve infatti allegare non solo l’altrui inadempimento ovvero allegare e provare l’altrui fatto illecito, ma in entrambi i casi deve pur sempre allegare e provare l’esistenza di una lesione, cioè della riduzione del bene della vita (patrimonio, salute, immagine, ecc.) di cui chiede il ristoro, e la riconducibilità della lesione al fatto del debitore o del danneggiante: in ciò appunto consiste il danno risarcibile, che è un quid pluris rispetto alla condotta asseritamente inadempiente o illecita; in difetto di tale allegazione e prova la domanda risarcitoria mancherebbe di oggetto (cfr. Cass. 5960/2005).
In adesione al principio ermeneutico basato sul concetto di danno-conseguenza in contrapposizione a quello di danno-evento ed escludendo l’ipotizzabilità di un risarcimento automatico e di un danno in re ipsa, così da coincidere con l’evento, appare quindi evidente che la domanda risarcitoria deve essere provata, sia pure ricorrendo a presunzioni, sulla base di conferente allegazione: non si può invero provare ciò che non è stato oggetto di rituale ed adeguata allegazione (cfr. Cass. SU 26972/2008).
Nel caso di specie, a prescindere da ogni altra considerazione, manca tanto la prova della condotta inadempiente o illegittima della convenuta quanto la prova del danno patrimoniale sofferto, oltre che del nesso causale.
Sicuramente inammissibile, a fronte della genericità della domanda risarcitoria in termini allegatori come desumibile sia dall’atto di citazione che dalla memoria ex art. 183/6 n° 1 c.p.c., risulta quanto dedotto da parte attrice con la memoria ex art. 183/6 n° 2 c.p.c. a proposito del fatto che tali danni deriverebbero dalla mancata disponibilità delle somme, che la banca aveva indebitamente trattenuto (cfr. memoria attorea ex art. 183/6 n° 2 c.p.c. al paragrafo n° 19, a pag. 6): si tratta di tardiva precisazione della domanda, avvenuta con la memoria destinata alle richieste istruttorie.
Inoltre si ribadisce che la riscontrata lacuna in ordine all’allegazione e prova di precisi elementi oggettivi, da cui desumere l’esistenza stessa del danno risarcibile, non può essere colmata ricorrendo all’equità, che infatti non può mai equivalere ad arbitrio da parte del Giudice: l’equità soccorre quando è difficile o impossibile l’esatta monetizzazione del danno, ma presuppone pur sempre la prova, in base a conferente allegazione, degli elementi costitutivi del danno stesso, oltre che dell’altrui responsabilità; quindi l’esistenza e la derivazione causale dei danni integrano il fatto costitutivo della pretesa al risarcimento e la loro sussistenza va provata da chi la allega (cfr. Cass. 13288/2007; Cass. 10607/2010; Cass. 27447/2011; Cass. 8213/2013).
Le superiori osservazioni sulla mancanza di profili di responsabilità in capo alla banca convenuta comportano anche il rigetto della demanda di risarcimento danni per il costo della perizia econometrica, indicato in 2.850,00 euro.
Per quanto riguarda la posizione degli attori, che hanno agito in proprio in qualità di garanti, è di tutta evidenza, senza che sia necessario approfondire il discorso sulla presenza di un contratto di fideiussione ovvero di un contratto autonomo di garanzia ed in applicazione del principio sulla ragione più liquida, che le conclusioni cui si è pervenuti con riguardo alla società (debitrice principale) valgono anche nei confronti di costoro.
Le spese di lite, liquidate in dispositivo in base al Decreto Ministero Giustizia n° 55 del 10/3/2014, seguono la soccombenza e vanno poste in solido a carico degli attori.
L’inammissibilità e l’infondatezza di tutte le domande attoree non consentono di accedere alla richiesta di compensazione.
Si è proceduto alla somma degli importi medi indicati nella tabella ‘giudizi di cognizione davanti al tribunale’ e con riferimento al valore ‘26.001 – 52.000’, tenuto conto della natura e del valore della controversia, della qualità e quantità delle questioni trattate e dell’attività complessivamente svolta dal difensore.
Le spese di ctu, liquidate con separato decreto del 5/4/2016, vanno definitivamente e per l’intero poste in solido a carico degli attori.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando:
– dichiara inammissibile la domanda di ripetizione di indebito, essendo ancora in essere il rapporto di conto corrente;
– dichiara che il saldo debitore del conto corrente n° omissis, alla data del 31/3/2014, è pari a 20.587,79 euro;
– rigetta la domanda attorea di risarcimento danni;
– condanna in solido gli attori SOCIETÀ SNC, i FIDEIUSSORI al pagamento delle spese di lite che liquida in complessivi 7.254,00 euro per compensi professionali, oltre rimborso forfettario, Cp ed Iva come per legge;
pone definitivamente e per l’intero a carico degli attori in solido le spese di ctu,
liquidate con separato decreto del 5/4/2016.
Così deciso a Roma, il 14/7/2017
Il Giudice
Dott. Francesco Remo Scerrato
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