Provvedimento segnalato dall’Avv. Donato Giovenzana- Legale d’Impresa
L’eventuale ammissione al passivo di un creditore deve essere valutata considerando il negozio intercorso con la società fallita nella sua totalità, non limitandosi ad un’interpretazione letterale delle singole clausole contrattuali ma raffrontando e coordinando parole e frasi al fine di ricondurle ad armonica unità e concordanza, in particolare laddove si sia in presenza di un collegamento negoziale o di contenuti non riconducibili ad una unica causa negoziale, essendo allora necessario ricostruire la concreta funzione economica dell’intera operazione negoziale.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione Civile, sez. prima, Pres. Dott. Didone – Rel Nazzicone con sentenza n. 20888 del 07.09.2017.
Nella fattispecie in esame una Società di leasing proponeva ricorso avverso un decreto di un Tribunale con cui veniva respinta l’opposizione allo stato passivo del fallimento proposto dalla stessa e volto al riconoscimento di crediti a titolo di canoni di prelocazione finanziaria, fatture pagate a terzi ed interessi, derivanti dal contratto di locazione finanziaria concluso con una società cliente, poi fallita.
In particolare la società di leasing con il primo motivo di ricorso ha sostenuto che il giudice di prime cure si era erroneamente limitato a rilevare che il contratto di locazione finanziaria stipulato tra le parti era sospensivamente condizionato al venire a esistenza e alla consegna dell’immobile, condizione che non risultava essersi verificata.
Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente censurava l’inadeguata valutazione delle clausole contrattuali, secondo cui sin dalla conclusione del negozio la stessa cliente si era obbligata a far edificare l’immobile ed a prenderlo in consegna, nonchè, anche per il caso di risoluzione o scioglimento del mandato, a rimborsare alla controparte tutti i pagamenti eseguiti per l’acquisto e l’edificazione dell’immobile.
Secondo la ricostruzione offerta dalla ricorrente, infatti, le parti conclusero due contratti, l’uno di compravendita del fondo e l’altro di locazione finanziaria, quest’ultimo contenente anche l’incarico alla banca di concludere i contratti di appalto, fornitura, prestazione d’opera intellettuale ed assicurativi, necessari per la costruzione dell’immobile, provvedendo ai relativi pagamenti e sostenendone i costi, sicchè il venire ad esistenza dell’immobile non era condizione sospensiva del contratto di leasing, essendo obbligata la stessa cliente a tale edificazione, con la conseguenza che detto evento condizionava esclusivamente l’efficacia delle clausole relative alla concessione della locazione finanziaria -godimento del bene, obbligo di manutenzione, obbligo di pagamento dei canoni di locazione, diritto di acquisto del bene al termine della locazione -, ma non certo quelle afferenti il rimborso dei costi sostenuti dalla mandataria.
Si costituiva in giudizio il Fallimento che resisteva con controricorso.
La Suprema Corte ha condiviso le prospettazioni della ricorrente, affermando che il Tribunale aveva interpretato superficialmente il contratto, limitandosi al senso letterale della premessa dell’accordo stipulato dalle parti, estrapolando una sola frase dalla premessa del contratto secondo la quale “ il contratto di leasing immobiliare è condizionato al venir ad esistenza dell’immobile“, ed erroneamente fondando su di essa la negazione del diritto della concedente-mandataria al rimborso dei pagamenti a terzi appaltatori, fornitori, prestatori d’opera ed altro, sostenuti per la conclusione dei contratti necessari e posti in essere in esecuzione della complessiva operazione negoziale.
Sul punto gli Ermellini hanno quindi precisato che l’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti impone, in conformità a quanto disposto dall’art. 1363 c.c., che le clausole del contratto debbano interpretarsi complessivamente le une a mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso risultante dall’intero negozio, non potendosi il giudice del merito arrestarsi ad una considerazione “atomistica” delle singole clausole, nemmeno laddove la loro interpretazione letterale non sembri dar luogo ad alcuna incertezza circa il loro significato.
In definitiva, la Corte ha precisato che il giudice deve procedere secondo un iter che, partendo dall’accertamento del senso letterale di ciascuna clausola, provveda poi a verificarlo nel confronto reciproco ed, infine, armonizzi razionalmente nella valutazione unitaria dell’atto.
Nel caso di specie, avendo il giudice di prime cure agito in contrasto con detti principi ed avendo omesso di effettuare un esame della complessiva operazione negoziale, non ha tenuto in debito conto la peculiare articolazione della complessiva operazione negoziale realizzata dalle parti secondo la sua causa concreta, come emergente dal dedotto collegamento tra il contratto di vendita del fondo ed il contratto di leasing, nè, soprattutto, del complesso contenuto di quest’ultimo: non limitato, invero, alla concessione del godimento del bene, ma ricco di numerose clausole, volte a realizzare l’interesse economico perseguito dalle parti e concernenti l’attribuzione di plurimi incarichi alla concedente-mandataria, relativi alla conclusione dei contratti di appalto, di fornitura, di opera, di assicurazione, e così via, al fine di collaborare nella realizzazione della costruzione stessa, compromettendo in definitiva l’accoglimento della pretesa della creditrice.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, la Suprema Corte si è pronunciata per la cassazione con rinvio al Tribunale del decreto impugnato anche per le spese di legittimità, con l’ordine per il giudice di merito di esaminare i contratti inter partes alla luce dei complessivi testi negoziali, della condotta delle parti e del principio di buona fede, e di motivare compiutamente la decisione assunta secondo i principi dettati dalla Corte.
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