Ferma restando l’erroneità della sommatoria degli interessi corrispettivi con i moratori, atteso che questi ultimi, in caso di inadempimento, si sostituiscono e non si aggiungono agli interessi corrispettivi, ad oggi una verifica in termini oggettivi del carattere usurario dei moratori risulta preclusa per la mancanza di un termine di raffronto, ovvero di un tasso che sia coerente con i valori che si vogliono raffrontare; sicchè appare altrettanto errata, la pretesa di configurare un Tasso Effettivo di Mora (chiamato T.E.MO), derivante dalla sommatoria tra spese, oneri ed interessi moratori, in analogia con quanto avviene con il concetto di Tasso Annuo Effettivo Globale (TAEG) non è condivisibile.
In relazione al cd. T.E.MO non è condivisibile la tesi secondo cui una sommatoria tra il tasso di interesse corrispettivo e quello moratorio sarebbe prevista nel contratto di mutuo, là dove si dispone che gli interessi moratori, in caso di ritardato pagamento, vadano calcolati sull’intera rata. Tali pattuizioni, infatti, non prevedono una sommatoria a livello di tassi tra l’interesse moratorio e quello corrispettivo ricompreso nella rata ma semplicemente disciplinano l’applicabilità degli interessi moratori in conformità a quanto consentito dall’art. 3 della Delibera C.I.C.R. del 9.2.2000, la quale, infatti, nel prospettare un fenomeno anatocistico legittimo per l’ipotesi di applicazione degli interessi moratori (calcolati sull’intera rata e quindi anche sulla quota di essa imputata a interessi corrispettivi, salvo escludere che gli interessi moratori cosi calcolati possano a loro volta produrre nuovamente frutti), pretende che tale modalità di conteggio degli interessi debba essere espressamente concordata dalle parti.
Sussistono i presupposti per la condanna ex art. 96 c.p.c. qualora la domanda avanzata in giudizio sia manifestatamente infondata, anche alla luce della estrema genericità delle allegazioni attoree, posto che la norma mira ad evitare l’instaurazione di liti dilatorie, defatiganti o esplorative, con conseguente uso spregiudicato e distorto della giustizia.
Tribunale di Milano, Dott.ssa Ada Favarolo, sentenza n. 10882 del 26.10.2017.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista:
USURA: IRRILEVANTI GLI INTERESSI MORATORI PER LA MANCANZA DI UN VALIDO TERMINE DI RAFFRONTO
LA PRETESA DI CONFIGURARE UN TASSO EFFETTIVO DI MORA (CHIAMATO T.E.MO) NON È CONDIVISIBILE
Sentenza | Tribunale di Milano, Dott. Francesco Ferrari | 16.02.2017 | n.16873
USURA: NON CUMULABILI TASSO DI MORA E TASSO CORRISPETTIVO
IL CLIENTE DEVE DEDURRE IN MODO SPECIFICO L’AVVENUTO SUPERAMENTO DELLO SPECIFICO TASSO SOGLIA
Sentenza | Tribunale di Roma, dott. Vittorio Carlomagno | 10.11.2016 | n.21199
USURA: INDEBITA L’OPERAZIONE DI SOMMATORIA DEI TASSI CORRISPETTIVI E MORATORI
PER GLI INTERESSI DI MORA LA SOGLIA VA CALCOLATA CON LA MAGGIORAZIONE DI 2,1 PUNTI PERCENTUALI DEI T.E.G.M.
Sentenza | Tribunale di Cagliari, Dott. Andrea Bernardino | 19.10.2016 |
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO
DODICESIMA CIVILE
Il Tribunale di Milano in composizione monocratica, XII sezione civile, in persona della Dott.ssa Ada Favarolo, ha emesso ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. OMISSIS del Ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2014, e vertente
TRA
MUTUATARIO / SOCIETÀ ALFA SRL
attori
e
BANCA S.P.A.
convenuta
OGGETTO: Mutuo fondiario
CONCLUSIONI
le parti hanno concluso come da verbale in data odierna.
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
1. La presente sentenza viene redatta tenendo conto del disposto di cui al n. 4) dell’art. 132, 2° comma c.p.c. (è stato soppresso il riferimento allo “svolgimento del processo” stabilendosi che la sentenza deve contenere solo “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”), come sostituito ex art. 45, 17° comma L. 18 giugno 2009, n. 69, in vigore dal 4 luglio 2009.
2. MUTUATARIO, in proprio e quale rappresentante della SOCIETÀ ALFA s.r.l. ha convenuto in giudizio la società BANCA SPA rilevando che la SOCIETÀ ALFA ha stipulato con la convenuta, già BANCA BETA s.p.a., in data 20.07.2006 un contratto di mutuo fondiario – rep. n. OMISSIS racc. n. OMISSIS per atto di notaio OMISSIS– per l’importo di euro 5.000.000,00, con concessione di ipoteca per euro 7.500.000,00 sugli immobili meglio descritti in atti e chiedendo, in via principale, di accertare l’applicazione di interessi usurari per effetto della sommatoria tra interessi corrispettivi e interessi di mora.
Gli attori hanno poi rilevato la violazione degli artt.1284 e 1346 c.c. in considerazione della divergenza tra tasso nominale ed ISC (Indicatore Sintetico di Costo) nonché la violazione delle disposizioni dell’art. 1283 c.c. per effetto dell’applicazione di un piano di ammortamento alla francese. L’attrice ha pertanto chiesto di accertare la nullità delle clausole contrattuali ai sensi della previsione di cui all’art. 1815 c.c., con conseguente gratuità del contratto e, per l’effetto, di rideterminare i rapporti di dare e avere tra le parti, anche tramite compensazione e di condannare la convenuta alla restituzione di tutte le somme corrisposte in eccesso. Ha infine evidenziato che tali contestazioni possono essere proposte anche dal fideiussore che può sempre sollevare sia l’exceptio doli sia l’exceptio nullitatis.
Si è costituita in giudizio la società BANCA SPA, resistendo alle pretese avversarie, evidenziando che il contratto in questione ha avuto regolare esecuzione sino alla sua estinzione in via anticipata avvenuta in data 5.01.2014 per volontà della SOCIETÀ ALFA SRL e che quindi alcun interesse di mora è mai maturato. Ha poi contestato la legittimazione di Giacobbe Francesco non essendo stata prodotta alcuna fideiussione ed emergendo dalla lettura del contratto di mutuo che lo stesso era intervenuto unicamente quale rappresentante della SOCIETÀ ALFA SRL. Nel merito, ha chiesto il rigetto delle domande proposte nonché la condanna degli attori ex art. 96 c.p.c. alla luce della palese infondatezza delle domande.
Concessi i termini di cui all’art. 183 comma 6 c.p.c., la causa è stata ritenuta matura per la decisione ed è stata fissata l’udienza odierna per la precisazione delle conclusioni e contestuale lettura della sentenza ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c..
3.Tanto premesso, le domande proposte dalla SOCIETÀ ALFA SRL sono infondate.
L’attrice ha dedotto il carattere usurario degli interessi pattuiti, con conseguente nullità delle relative pattuizioni, evidenziando che l’usurarietà deriverebbe dalla somma tra tasso contrattuale fissato al 4,15% e tasso di mora pattuito nella misura del 6,20% rispetto ad un tasso soglia pari al 6,63%.
La contestazione relativa al carattere usurario degli interessi è infondata potendosi rilevare che è pacifico, alla luce della stessa prospettazione di parte attrice, che i tassi relativi agli interessi corrispettivi e agli interessi di mora, singolarmente considerati, al momento della stipula del contratto erano inferiori al tasso soglia.
In questa prospettiva la doglianza di parte attrice è incentrata esclusivamente sulla cd. sommatoria dei tassi (di interesse corrispettivo e di interesse moratorio).
Ebbene, questo giudice ritiene che non sia corretto procedere alla riferita sommatoria dei tassi, ai fini della valutazione del carattere usurario dei tassi di interesse. Tale impostazione muove infatti da un’errata interpretazione della nota sentenza della Cassazione, 9 gennaio 2013, n. 350 secondo cui, al fine della verifica del rispetto del tasso soglia, andrebbero cumulati il tasso di interesse corrispettivo ed il tasso di interesse moratorio, laddove tale sentenza, lungi dall’aver affermato tale principio, ha evidenziato che “si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi o convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori”, limitandosi quindi a ribadire che anche l’interesse di mora deve rispettare il limite del tasso soglia.
La pretesa sommatoria tra la misura percentuale del tasso degli interessi corrispettivi e la misura percentuale prevista per gli interessi moratori, in effetti, è errata sotto il profilo logico e matematico, perché in tal modo si sommerebbero due entità tra loro eterogenee, che si riferiscono a due basi di calcolo differenti (così, Tribunale di Milano, 8 marzo 2016 n. 3021). Ciò in quanto il tasso corrispettivo si applica al debito capitale residuo, al fine di determinare la quota interessi della rata di ammortamento, mentre il tasso di mora si calcola sulla singola rata di ammortamento, nel caso in cui la stessa non sia pagata alla scadenza. Tali modalità rispecchiano la differente natura dei due tassi, giacché l’interesse corrispettivo è espressione della fruttuosità del denaro, mentre quello di mora ha natura risarcitoria per l’inadempimento.
In conclusione sul punto, entrambe le tipologie di interessi potenzialmente potrebbero risultare usurarie, ma ciò dovrà essere valutato singolarmente per ciascuna categoria di interessi, dal momento che, nel caso di inadempimento del debitore e conseguente decorrenza degli interessi moratori, questi si sostituiscono e non si aggiungono agli interessi corrispettivi (così, Trib. Milano, sez. XII, 29 novembre 2016, n. 13179).
Nè appare condivisibile la considerazione, in relazione al cd. T.E.MO, secondo cui una sommatoria tra il tasso di interesse corrispettivo e quello moratorio sarebbe prevista nel contratto di mutuo, là dove si dispone che gli interessi moratori, in caso di ritardato pagamento, vadano calcolati sull’intera rata. Tali pattuizioni, infatti, non prevedono una sommatoria a livello di tassi tra l’interesse moratorio e quello corrispettivo ricompreso nella rata ma semplicemente disciplinano l’applicabilità degli interessi moratori in conformità a quanto consentito dall’art. 3 della Delibera C.I.C.R. del 9.2.2000, la quale, infatti, nel prospettare un fenomeno anatocistico legittimo per l’ipotesi di applicazione degli interessi moratori (calcolati sull’intera rata e quindi anche sulla quota di essa imputata a interessi corrispettivi, salvo escludere che gli interessi moratori cosi calcolati possano a loro volta produrre nuovamente frutti), pretende che tale modalità di conteggio degli interessi debba essere espressamente concordata dalle parti (in questo senso, Trib. Milano, sez. VI, 28 aprile 2016 n. 5279).
Peraltro, è pacifico che nel caso di specie il contratto abbia avuto regolare esecuzione e che non sia mai stata pagata alcuna somma a titolo di interessi moratori, con la conseguenza che è del tutto infondata la domanda di ripetizione dell’indebito proposta dalla società attrice.
Evidente è anche la superfluità della CTU contabile, invocata dalla società attrice nell’atto introduttivo, nella memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c. e reiterata all’udienza odierna. Diversamente, per ciò che concerne l’istanza di esibizione ex 210 c.p.c., pure reiterata all’udienza udienza, ci si riporta integralmente alle motivazioni dell’ordinanza del 6 ottobre 2016.
4.Infondate sono le ulteriori doglianze avanzate dalla società attrice relative alla violazione degli artt. 1283 e 1346 c.c. per indeterminatezza delle clausole relative agli interessi nonché dell’art. 1284 c.c. per effetto dell’applicazione del piano di ammortamento alla francese.
Anzitutto, deve rilevarsi che alla luce delle previsioni contrattuali è da escludere ogni profilo di indeterminatezza delle pattuizioni circa la misura degli interessi, senza considerare che la doglianza andrebbe comunque rigettata per la sua estrema genericità.
Per ciò che concerne l’asserita applicazione di interessi anatocistici in conseguenza dell’adozione di un piano di ammortamento cd. “alla francese”, si osserva che questa tipologia di piano di ammortamento comporta un aggravio di interessi rispetto a quello c.d. “all’italiana”. Tuttavia, tale tipo di calcolo non integra, contrariamente a quanto affermato dall’attrice, alcuna capitalizzazione illecita in quanto gli interessi, nel c.d. piano di ammortamento alla francese, sono ricalcolati sulla sorta decrescente di capitale residuo.
Vero è che questo tipo di piano, per l’utilizzatore, è più oneroso rispetto al calcolo cd. “all’italiana” ma è altresì vero che tale scelta è stata pattuita tra le parti e comunque ciò non integra affatto la prova, che non è stata fornita, che vi sia una forma di anatocismo non consentita. In altre parole, il metodo di rimborso del capitale finanziato secondo il c.d. sistema di ammortamento alla francese (che prevede il rimborso del capitale mutuato secondo rate costanti, costituite da una quota capitale e da una quota interessi, di cui la quota capitale è destinata ad aumentare progressivamente mentre la quota interessi è destinata a diminuire progressivamente), di per sé, non è tale da determinare anatocismo, in quanto gli interessi delle singole rate sono calcolati solo sulla quota residua del capitale, con conseguente esclusione di ogni anatocismo.
Le considerazioni sin qui svolte sono tali da assorbire ogni ulteriore contestazione, rilevandosi che i profili non espressamente esaminati sono stati ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
5.Con particolare riguardo alle domande proposte dal signor MUTUATARIO in proprio, può comunque osservarsi che l’eccezione sollevata dalla convenuta appare fondata, sebbene la stessa vada, in realtà, riqualificata quale eccezione di difetto di titolarità del rapporto sostanziale dedotto in giudizio. Il signor MUTUATARIO ha infatti dichiarato di agire anche quale fideiussore della SOCIETÀ ALFA s.r.l. ma non è stata prodotta in giudizio la fideiussione o altro atto che dimostri la prestazione della garanzia da parte dell’attore MUTUATARIO in favore della SOCIETÀ ALFA s.r.l.
La questione sollevata dalla convenuta riguarda un’ipotesi non di difetto di legittimazione bensì di difetto di titolarità del rapporto controverso, la quale integra una questione attinente al merito della controversia, cioè alla fondatezza della domanda. L’istituto processuale della legittimazione attiva o passiva si ricollega, in effetti, al principio dettato dall’art. 81 c.p.c. e deve intendersi quale diritto potestativo di ottenere una pronunzia sul merito della domanda giudiziale. Esso integra una condizione dell’azione e, pertanto, la verifica della sua sussistenza deve essere effettuata sulla base dei soli fatti esposti dall’attore nell’atto introduttivo. Il giudice, in altri termini, deve accertare se, secondo la prospettazione fatta nella domanda giudiziale, l’attore e il convenuto possano, in relazione alla disciplina prevista per il rapporto controverso assumere, rispettivamente, la veste di soggetto dotato del potere di chiedere la pronunzia e di quello che deve subirla. Di conseguenza, non attiene alla legitimatio ad causam ma al merito della lite, la questione relativa alla titolarità, attiva e passiva, del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, risolvendosi nell’accertamento di una situazione di fatto favorevole all’accoglimento o al rigetto della pretesa azionata.
Peraltro, secondo il più recente orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (così, Cass., Sez Un., 16 febbraio 2016, n. 2951), la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla.
Ne discende che la titolarità può essere negata dal convenuto con una mera difesa, non trattandosi di eccezione in senso stretto.
Nel caso di specie, non può dubitarsi, sulla base della sola prospettazione contenuta nella domanda, della sussistenza della legittimazione ad agire del signor MUTUATARIO che si è affermato titolare di un diritto di credito nei confronti della convenuta; tuttavia, in assenza di qualsivoglia documentazione che dimostri la prestazione della garanzia deve escludersi che l’attore abbia fornito la prova della titolarità del diritto vantato.
7. Le spese di lite seguono la soccombenza degli attori e si liquidano in dispositivo, secondo il d.m. 55/2014, tenuto conto del valore della causa determinato ai sensi dell’art. 5 del predetto decreto e dell’attività effettivamente svolta (con particolare riguardo all’estrema riduzione della fase istruttoria e di quella decisionale).
Quanto alla domanda ex art. 96 c.p.c. avanzata dalla società convenuta, si ritiene che la manifesta infondatezza delle domande, alla luce anche dalla estrema genericità delle allegazioni attoree, vada censurata con l’accoglimento della domanda ex art.96 c.p.c. avanzata dalla convenuta che può essere equitativamente contenuta nella somma di euro 1.785,00, pari ad un terzo di quanto liquidato a titolo di spese processuali.
P.Q.M.
Il Tribunale, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da SOCIETÀ ALFA SRL e da MUTUATARIO contro BANCA SPA così provvede:
- rigetta le domande proposte dagli attori;
- condanna gli attori, in solido, al pagamento, in favore della convenuta, delle spese processuali che liquida nella somma di euro 5.355,00 per compenso di avvocato, oltre rimborso forfetario per spese generali, nella misura del 15% del compenso, oltre ad IVA e CPA come per legge;
- condanna gli attori, in solido, al pagamento, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., in favore della
convenuta, della somma di euro 1.785,00, oltre interessi legali dalla data odierna e sino al soddisfo.
Così deciso a Milano in data 26 ottobre 2017
Il giudice
Dott.ssa Ada Favarolo
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