L’azione risarcitoria promossa nei confronti di una banca per danni derivanti dal pagamento di un assegno con firma di traenza palesemente difforme da quella depositata dal correntista resta regolata dai principi generali in tema di prova, gravando sull’attore l’onere di dimostrare la falsità della firma di traenza (qualora tale falsità sia contestata), e sulla banca, per converso, quello di provare l’efficacia liberatoria del pagamento per non essere la falsità rilevabile con l’ordinaria diligenza richiesta nell’esercizio dell’attività bancaria.
L’onere della prova della falsificazione della firma apposta sugli assegni bancari è a carico del cliente correntista e non rileva la mancata produzione dell’originale degli assegni bancari, oggetto dell’ordine ex art. 210 c.p.c. impartito alla banca e dalla stessa disatteso, che ha impedito l’espletamento di una ctu grafologica sui titoli contestati.
Questo sono i principi espressi dal Tribunale di Parma, Giudice Ioffredi Antonella con la sentenza pubblicata il 20/10/2017.
Nella fattispecie processuale esaminata, una società ha agito in danno di una banca chiedendo il risarcimento dei danni per responsabilità precontrattuale e contrattuale, per avere pagato, quale trattaria, n. 186 assegni bancari, per un importo totale di euro 192.410,58, recanti firma di traenza e/o di quietanza falsa, ictu oculi difforme dallo specimen di firma dell’amministratore della predetta società, depositato presso la banca stessa.
Invero, prima dell’inizio del giudizio, emergeva che il dipendente che seguiva da anni la contabilità della correntista, senza alcun potere di rappresentanza della stessa né contitolarità di firma o delega per operare nei rapporti bancari, aveva, negli anni, compilato numerosi assegni per conto della società, tratti sulla Banca convenuta, falsificando la firma di traenza e/o di quietanza per l’incasso e trattenendo gli importi incassati, il tutto per un importo complessivo pari ad Euro 192.410,58.
Si costituiva in giudizio l’Istituto di credito convenuto, esponendo che l’asserito dipendente infedele aveva operato per ben otto anni con il consenso della correntista e nel contempo chiamava in causa lo stesso al fine di essere manlevato.
Autorizzata la chiamata in causa, si costituiva in giudizio il dipendente che contestando le avverse allegazioni, rappresentava che non era credibile che i legali rappresentanti non fossero a conoscenza dell’elevato consumo di moduli di assegno che gli stessi ritiravano in banca, nonché di aver sempre incassato assegni regolarmente firmati dall’ amministratore, provvedendo poi al deposito delle relative somme incassate in una cassetta detenuta nei locali della società, su esplicita richiesta dell’amministratore stesso.
Il Tribunale, al fine di espletare CTU grafologica, ordinava alla Banca ex art 210 c.p.c. la produzione in giudizio degli originali degli assegni, la quale, però, non ottemperava a tale ordine.
Sul punto il Giudice ha ritenuto che tale condotta processuale non fosse di per sè sufficiente a far ritenere provata la falsificazione e tanto in considerazione della condotta processuale di parte attrice, nonché dell’apparente corrispondenza tra lo specimen di firma prodotto dalla convenuta e le firme apposte sugli assegni prodotti in fotocopia, tutti elementi che inducevano ad escludere la contraffazione.
Il Tribunale emiliano ha poi evidenziato che anche qualora la dedotta falsità fosse stata provata, la domanda attorea avrebbe dovuto essere ugualmente rigettata atteso che l’entità della somma complessiva asseritamente sottratta alle casse della società, il numero di assegni bancari complessivamente negoziati, il considerevole lasso di tempo in cui la condotta criminosa si sarebbe protratta, unitamente alla descritta lacunosità delle allegazioni di parte attrice, erano tutti elementi comprovanti la circostanza che l’incasso degli assegni da parte della dipendente non potesse essere avvenuto nell’assoluta ignoranza degli amministratori della società, con la conseguenza di doversi escludere che il danno fosse riconducibile a condotte negligenti dei dipendenti della banca convenuta.
Sulla base di tali rilievi, il Tribunale ha dunque rigettato integralmente la domanda di parte attrice, condannandola, altresì, al pagamento delle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista
ASSEGNI CONTRAFFATTI: LA MANCATA PRODUZIONE DELL’ORIGINALE NON COSTITUISCE ARGOMENTO DI PROVA
Irrilevante ove le alterazioni del titolo già emergevano ictu oculi dalla produzione della fotocopia
Sentenza | Cass. civ. sez I, Pres. Ambrosio – Rel. Dolmetta | 11.05.2017 | n.11553
ASSEGNI: L’IRREGOLARITÀ DEVE ESSERE RILEVABILE CON LA NORMALE DILIGENZA
La sola fotocopia del titolo di credito non consente la verifica delle possibili alterazioni
Sentenza | Tribunale di Napoli, Dott. Diego Ragozini | 06.04.2017 | n.4386
PROTESTO ASSEGNI: NON DOVUTO ALCUN PREAVVISO AL TRAENTE IN CASO DI PIGNORAMENTO NOTIFICATO DA TERZI
È onere del cliente assicurare la permanenza della provvista in vista dell’incasso
Ordinanza | Tribunale di Cassino, Dott. Gabriele Sordi | 15.02.2017 |
ASSEGNO BANCARIO: NON È RESPONSABILE LA BANCA CHE PAGA AL BENEFICIARIO APPARENTE, IDONEAMENTE IDENTIFICATO
L’art. 43 L. ass. non esige né obblighi investigativi né accertamenti tecnici sui documenti esibiti dal portatore
Sentenza | Corte d’Appello di Bologna, Pres. Guidotti – Rel. Caruso | 10.02.2017 | n.362
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