L’investitore che agisce in giudizio per ottenere la risoluzione di un ordine di acquisto ha l’onere di indicare sia quanti sono i titoli per i quali deve essere dichiarata la risoluzione dell’ordine sia a quanto ammonta l’importo che la Banca deve essere condanna a restituire.
Questo il principio espresso dalla Corte d’Appello di Bologna, Pres. Giudotti – Rel. Caruso n.84 del 10/01/2018.
Nella fattispecie processuale esaminata degli investitori, deducendo di essere stati indotti all’acquisto di obbligazioni argentine dalla Banca della quale erano da tempo clienti, e di non essere stati debitamente informati della natura e dei rischi connessi all’acquisto di dette obbligazioni, proponevano appello avverso la sentenza del Tribunale di Ferrara con cui era stata rigettata la domanda di risoluzione di uno degli ordini di negoziazione realizzato e la conseguente restituzione degli importi investiti.
In particolare i clienti si dolevano del fatto che il Tribunale avesse respinto la domanda proposta solo perché nel giugno 2001 gli stessi avevano venduto parte dei titoli acquistati con l’ordine contestato, omettendo di considerare che nel portafoglio titoli residuava ancora un numero consistente di obbligazioni corrispondente al valore nominale indicato in citazione.
Si costituivano in giudizio la Banca, instando per il totale rigetto del gravame, ed il dipendente dell’istituto di credito convenuto nel giudizio di primo grado rappresentando di non essere stato il funzionario che aveva consigliato l’acquisto, bensì l’impiegato che aveva semplicemente inserito l’ordine nel sistema, rilevando altresì che tale circostanza non era stata contestata in primo grado e che quindi sul punto si era ormai formato il giudicato.
In merito alle doglianze dei clienti, il Collegio ha rilevato che in nessuno degli atti prodotti nel giudizio di primo grado era indicata la quantità dei titoli venduta, ma solo l’importo che dalla vendita venne ricavato, e che pertanto il Tribunale non poteva esimersi dal rigetto della domanda restitutoria spiegata dagli appellanti, ciò in quanto la quantità di titoli venduta non poteva essere desunta dall’importo complessivo ricavato dalla vendita, poiché nessuna ulteriore indicazione veniva fornita in atti, né del numero degli stessi, né del controvalore unitario.
Ciò posto, i Giudicanti hanno chiarito che tale mancanza aveva correttamente determinato il rigetto della domanda di prime cure, in quanto gli attori avrebbero dovuto compiutamente specificare quanti erano i titoli per i quali chiedevano la risoluzione dell’ordine di acquisto e l’esatto ammontare dell’importo che la Banca avrebbe dovuto essere condanna a restituire.
Sulla scorta di tali rilievi, la Corte ha rigettato integralmente l’appello proposto, condannando gli investitori alla rifusione delle spese di lite in favore degli appellati.
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