Procedimento patrocinato dallo Studio Legale Filesi
LA MASSIMA
Connotato indefettibile del contratto di mantenimento è l’aleatorietà (ove l’alea è doppia, giacchè l’incertezza riguarda sia la vita del beneficiario, sia l’entità delle prestazioni a favore dello stesso, non predeterminabili), in assenza della quale il contratto è nullo per mancanza di causa.
Sussistenti i presupposti di cui all’art. 2901 e ss c.c. in relazione al contratto di mantenimento può quindi essere invocata la declaratoria di simulazione e/o inefficacia, nei confronti del creditore.
Questi i principi espressi dalla sentenza del Tribunale di Roma, Giudice Maria Luparelli con la sentenza n. 6713 del 30.03.2018.
IL CASO
Con ricorso promosso nella forma di cui all’art. 702 bis c.p.c., la Banca conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma la propria debitrice e un terzo soggetto, per sentire accogliere la domanda di simulazione o, in subordine, di inefficacia ex art. 2901 c.c., di un contratto di mantenimento concluso per atto notarile, con il quale la debitrice della banca, disperdendo le garanzie patrimoniali, trasferiva al terzo – convenuto nello stesso giudizio – la proprietà di un immobile sito nel comune di Roma, riservandosi il diritto di abitazione.
La banca deduceva di essere creditrice della convenuta principale, in forza di una già pronunciata sentenza del Tribunale di Roma, con la quale quest’ultima veniva condannata al pagamento, nella qualità di garante, dei crediti vantati dalla banca nei confronti di una società obbligata principale; detta sentenza, impugnata dalla soccombente veniva sospesa nella sua efficacia esecutiva dalla Corte di Appello, solo nella parte in cui la condannava a pagare una somma superiore a tot. migliaia di euro.
Si costituivano i convenuti, contestando entrambi, oltre al merito della pretesa attorea, l’inammissibilità del ricorso per difetto di valida procura in capo al rappresentante e difensore della banca, nonché per difetto di legittimazione attiva.
Disposto il mutamento del rito e concessi i termini di cui all’art. 183, comma VI c.p.c., la causa veniva successivamente trattenuta in decisione, con la concessione dei termini di legge per il deposito conclusionali e repliche, ai sensi dell’art. 190 c.p.c.
Orbene, con la sentenza oggi in commento, il Tribunale di Roma ha in primis rigettato le eccezioni preliminari sollevate dai convenuti.
Con riferimento alla prima eccezione e quindi alla validità della procura rilasciata al difensore, i convenuti sostenevano la mancanza in atti della prova della rappresentanza sostanziale in capo al rappresentante legale dell’attrice, il quale avrebbe conferito la procura ad lites, non già in qualità di consigliere di amministrazione delegato, ma in attuazione di una delibera del Comitato esecutivo, che disponeva il conferimento di “nuova procura generale alle liti” al difensore costituito per conto della banca, ma senza conferire al medesimo Consigliere di amministrazione, i necessari poteri sostanziali riferiti all’oggetto per cui era causa.
Tale doglianza è stata ritenuta del tutto infondata, risultando ex actis che la persona fisica, proprio in qualità di consigliere delegato e legale rappresentante p.t. della società attrice, aveva conferito la procura generale ad lites “per conto e nell’interesse della società, ed in esecuzione della deliberazione del Comitato esecutivo della società stessa”, risultando così avere anche la rappresentanza sostanziale, ex art. 2266 c.c.
Inoltre, trattandosi di procura generale non avevano rilievo le discrepanze nell’elencazione dei poteri tra la procura alle liti e il verbale del comitato esecutivo, avendo tali elenchi carattere meramente esemplificativo.
Quanto alla seconda eccezione, i resistenti rilevavano che l’attrice non avesse fornito prova della propria qualità di creditrice, non avendo documentato la vicenda che l’aveva resa tale, ovvero la cessione dello specifico credito oggetto di causa, tra quelli che erano pervenuti in blocco ad altro intermediario finanziario, dalla stessa poi incorporata.
Il Tribunale di Roma rileva che anche questa doglianza sia del tutto infondata, infatti, la parte attrice aveva prodotto tutta la documentazione relativa, da un lato, alla successione a titolo particolare nei crediti originariamente vantati dall’originario creditore da parte della prima cessionaria e, dall’altro, alla fusione di quest’ultima nella Banca parte attrice in giudizio.
Nel merito, il Tribunale di Roma afferma che le domande di parte attrice, volte alla dichiarazione del carattere simulato del contratto di mantenimento concluso tra le parti convenute, meritavano accoglimento.
IL COMMENTO
Orbene, nella parte motiva della decisione, il Magistrato ha intanto esposto che il contratto di mantenimento consiste in un accordo aleatorio, con cui una parte si obbliga, quale corrispettivo del trasferimento di un bene mobile o immobile o della cessione di un capitale, a fornire alla parte cedente prestazioni alimentari o assistenziali, vita natural durante. Connotato indefettibile è dunque l’aleatorietà, in assenza della quale il contratto è nullo per mancanza di causa. Si tratta di un’alea doppia, poiché l’incertezza riguarda sia la vita del beneficiario, sia l’entità delle prestazioni a favore dello stesso, non predeterminabili al momento della stipula del contratto, poiché dipendenti dal susseguirsi dei bisogni del beneficiario. In tal senso, l’alea presuppone una situazione di obiettiva incertezza sui vantaggi e i sacrifici reciprocamente derivanti alle parti dalle prestazioni assunte sicché, in un giudizio volto a verificare l’effettiva ricorrenza di tale negozio, l’eventuale sproporzione fra il valore acquisito dal vitaliziante (il trasferimento della proprietà dell’immobile) rispetto all’importo delle prestazioni da corrispondere per la probabile durata della vita del vitaliziato, deve indurre il giudice di merito ad escludere l’aleatorietà del contratto (ex multis Cassazione civile, sez. II, 31.01.2017, n. 2522).
Nel contratto di mantenimento versato in atti (avente forma di atto pubblico con la presenza di due testimoni), dopo una compiuta esposizione del regolamento contrattuale, informato expressis verbis al suo carattere aleatorio e all’esatta enunciazione delle obbligazioni di assistenza e mantenimento a favore della beneficiaria, il giudice ha colto la dichiarazione della vitaliziante, con la quale era sua volontà ritenere l’effetto traslativo dell’atto comunque in capo al cessionario, indipendentemente dalla proporzione o meno della prestazione di dare, rispetto alla controprestazione di ricevere, in relazione alle aspettative di vita e del bisogno; di più riconoscendo allo stesso atto la volontà di mantenere detto effetto traslativo in favore del cessionario- in ogni caso- a titolo di donazione, secondo la comune volontà di essi contraenti.
Detta disposizione, è stata ritenuta illuminante, imponendosi una doverosa rilettura dell’intero assetto negoziale, come appariva prima facie; ciò nell’ottica di ricercare l’intento pratico realmente perseguito dalle parti, id est la causa in concreto del negozio.
Il giudice ha quindi ricordato in primis che in tema di interpretazione del contratto, l’art. 1362 c.c. impone di ricostruire in primo luogo la volontà delle parti a partire dal testo contrattuale verificando se questo sia coerente con la causa del contratto, in quanto il giudice deve svolgere una duplice indagine, vale a dire coniugare la chiarezza del significato letterale del contratto con il corpo del testo contrattuale.
Dal punto di vista logico, l’interpretazione del contratto è un percorso circolare, che impone all’interprete, dopo aver compiuto l’esegesi del testo, di ricostruire l’intenzione delle parti e verificare se sia coerente con le restanti disposizioni del contratto e con la condotta delle parti medesime (cfr. Cass., 3 n. 9380/2016 Cass. n. 25840 del 2014).
Ebbene, nel caso in esame, il Magistrato non ha rinvenuto nel negozio concluso tra le parti, l’aleatorietà tipica del contratto di mantenimento: da un lato, la clausola inserita nel contratto, subspecie di “interpretazione autentica” tra le parti, infirmava chiaramente la causa del vitalizio assistenziale; dall’altro, la condizione personale delle parti al tempo della conclusione del negozio, nonché lo squilibrio tra il valore del cespite rispetto a quello delle prestazioni, fanno presumere che la comune intenzione delle parti, era di concludere una donazione.
In primo luogo, all’epoca della stipula del contratto, mancava la condizione della obiettiva incertezza della durata della vita e delle esigenze assistenziali del vitaliziato, considerata la potenziale durata della vita della disponente, per giunta invalida totale. Proprio quest’ultima circostanza, se da un lato rendeva più gravose le esigenze assistenziali della beneficiaria, dall’altro non valeva a giustificare la sproporzione derivante dal trasferimento di un immobile del valore piuttosto elevato, considerando ancora che la convenuta –debitrice della Banca, percepiva già da tempo regolare trattamento pensionistico mensile, di importo adeguato . Inoltre, se era vero che le condizioni personali dell’obbligato, quasi coetaneo della beneficiaria e residente a notevole distanza da quest’ultima, non ostavano all’adempimento delle sue obbligazioni per il tramite di terzi, certamente, nel quadro complessivo della vicenda, rendevano meno convincente la sussistenza del contratto di mantenimento, ritenuto per di più dalle parti, un contratto oneroso in adempimento di un debito scaduto, di cui però non risultava prova, specie nel contratto, ove, di contro, si faceva riferimento all’animus donandi.
Consequentialiter, atteso che la segnalata sproporzione del contenuto economico delle prestazioni gravanti sul vitaliziante rispetto al valore del bene alienato, non era sufficiente ad imprimere al negozio carattere di onerosità, anche alla luce del tenore letterale del contratto contenente espressa enunciazione della voluntas donandi della cedente, il Giudice ha ritenuto che il negozio contestato, disattendesse la causa che ostentava, prevalendo lo spirito di liberalità, che meglio esprimeva lo scopo pratico perseguito dalle parti; con la conseguenza che nel caso di specie, le parti avevano voluto stipulare una donazione, al più modale, da considerare valida perché conclusa dinanzi a un notaio ed alla presenza di testimoni, quindi, secondo la forma prescritta per le donazioni.
Tanto detto in ordine alla natura del contratto, anche l’actio pauliana come esercitata dalla Banca, è risultata utilmente esperita.
Ciò sul presupposto che la banca aveva dato prova dell’esistenza del credito, presupposto dell’azione ex art. 2901 c.c., dell’atto di disposizione, nonché dell’eventus damni richiesto dalla norma. Il credito e l’esistenza dell’atto dispositivo, risultavano provati documentalmente; il credito, inoltre, preesisteva rispetto all’atto oggetto di causa, essendo l’esposizione della garante, risalente a molti anni addietro.
A tale proposito, il Giudice rievoca il principio consolidato secondo cui l’art. 2901 c.c. ha accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, sicché anche il credito eventuale, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare – sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio, sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito – l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria, avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore (ex multis Cassazione civile, sez. III, 07.03.2017 n. 5618).
Quanto all’eventus damni, è pacifico in giurisprudenza che ai fini dell’integrazione del fatto costitutivo (oggettivo) dell’azione revocatoria, non è necessario che l’atto abbia reso impossibile la soddisfazione del credito, essendo sufficiente che abbia causato maggiore difficoltà od incertezza nel recupero coattivo, secondo una valutazione operata ex ante, con riferimento alla data dell’atto dispositivo, avuto riguardo anche alla modificazione qualitativa della composizione del patrimonio. Pertanto, laddove intervenga un atto di disposizione immobiliare, la variazione qualitativa del patrimonio integra la sussistenza del presupposto oggettivo dell’azione proposta (Cass. Civ., sez. I, 1 agosto 2007, n. 16986).
Quanto alla scientia damni del debitore, si tratta di un atto a titolo gratuito posteriore al sorgere del credito, dovendosi ritenere sufficiente la semplice conoscenza nel debitore del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore.
La convenuta principale conosceva la propria esposizione creditoria nei confronti della banca attrice, stante al tempo della conclusione dell’atto, l‘emissione di una ordinanza ingiunzione di pagamento ex art. 186 ter e 641 c.p.c., emessa dal Tribunale di Roma per somme ingenti, poi confermata con la sentenza di merito.
Il Tribunale di Roma ha quindi dichiarato la simulazione del contratto di mantenimento con atto a rogito notarile, dissimulante una donazione e dichiarato l’inefficacia ex art. 2901 c.c. nei confronti della Banca attrice dello stesso contratto. Con l’ordine al Conservatore dei Registri immobiliari di Roma, di annotare la sentenza a margine della trascrizione dell’atto indicato; condannati altresì i convenuti in solido, al pagamento delle spese e dei compensi della lite.
In estrema sintesi e pertanto, a parere di chi scrive, il Tribunale di Roma ha fondato la sentenza sui seguenti principi:1) il contratto atipico di mantenimento (o vitalizio alimentare o assistenziale) è caratterizzato essenzialmente dall’aleatorietà, la cui individuazione postula la comparazione delle prestazioni sulla base di dati omogenei ovvero la capitalizzazione della rendita reale del bene capitale trasferito e la capitalizzazione delle rendite e delle utilità periodiche dovute nel complesso dal vitalizzante, secondo un giudizio di presumibile equivalenza o di palese sproporzione da impostarsi con riferimento al momento di conclusione del contratto ed al grado ed ai limiti di obiettiva incertezza, sussistenti a detta epoca, in ordine alla vita ed alle esigenze assistenziali del vitaliziato. (Cass. civile, sez. II, 23/11/2016, n. 23895; 2) l’alea deve comunque escludersi e il contratto va dichiarato nullo se, al momento della conclusione, il beneficiario stesso, in astratto ed a titolo esemplificativo, fosse affetto da malattia, che per natura e gravità renda estremamente probabile un rapido esito letale e che ne abbia in effetti provocato la morte, dopo breve tempo, o se questi abbia un’età talmente avanzata, da non poter certamente sopravvivere, anche secondo le previsioni più ottimistiche, oltre un arco di tempo determinabile. (Cass. civile, sez. II, 23/11/2016, n. 23895); 3) l’alea del contratto atipico di vitalizio alimentare, comprendendo anche l’aggravamento delle condizioni del vitaliziante, per cui il trasferimento all’onerato di un ulteriore bene, mediante la conclusione di un successivo contratto cd. di mantenimento, quale compenso della maggiore gravosità sopravvenuta dell’assistenza materiale e morale da prestare, sarebbe privo di causa, giacché tale ulteriore attribuzione patrimoniale eliminerebbe il rischio, connaturale al precedente contratto, di sproporzione tra le due prestazioni e, dunque, non essendo giustificata da un diverso corrispettivo, la causa di scambio dissimulerebbe quella di liberalità (Cass.civile, sez. II, 22/04/2016, n. 8209); 4) Il contratto atipico di mantenimento è caratterizzato dall’aleatorietà, addirittura più accentuata rispetto al contratto di rendita vitalizia configurato dall’art. 1372 c.c., in quanto le prestazioni non sono predeterminate nel loro ammontare, ma variano, giorno per giorno, secondo i bisogni (nella specie, ancora la Suprema Corte confermando la decisione dei giudici del merito, che avevano ritenuto nullo il contratto per mancanza di alea, in quanto in considerazione della ragionevole probabilità sulle ridotte possibilità di sopravvivenza dei vitaliziati, dell’entità economica di quanto trasferito dagli stessi in rapporto alle modeste prestazioni che gli stessi avrebbero ricevuto dai vitalizianti, doveva escludersi l’elemento dell’alea). ( cfr. Cass. civile, sez. VI, 05/03/2015, n. 4533)
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