Provvedimento segnalato dall’ Avv. Andrea Fioretti del foro di Roma
Integra la fattispecie di lite temeraria la proposizione di un giudizio basato su allegazioni astratte, ipotetiche, dubitative e generiche, prive di concreti e specifici agganci con una realtà fattuale non adeguatamente rappresentata e dimostrata.
La reticenza nel fornire la documentazione in possesso (contratti ed estratti conto) ed il generico e strumentale disconoscimento dei documenti contrattuali che la controparte produce in giudizio; l’uso di una perizia dichiaratamente difforme dai corretti criteri di calcolo econometrico, l’invocazione di argomenti giuridici già ripetutamente disattesi dalla giurisprudenza con motivazioni chiare ed argomentate, ivi compresa l’interpretazione distorta della giurisprudenza di legittimità, integrano ipotesi di lite temeraria.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Roma, Giudice Francesco Crisafulli con la sentenza n.6463 del 28.03.2018.
Un cliente e i suoi fideiussori personali agivano contro la Banca con la quale il primo stipulava, in un primo momento, un contratto di conto corrente e poi un contratto di mutuo, per accertare il saldo del rapporto bancario risultante dalla verifica dell’illegittimità delle clausole pattuite.
In particolare, la parte attrice chiedeva il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale cagionato dalla condotta illecita della Banca in conseguenza dell’asserita applicazione di interessi usurari, ultra legali ed anatocistici, nonché – deducendo la nullità del rapporto obbligatorio principale – l’invalidità della fideiussione personale per il nesso di accessorietà di cui all’art. 1939 c.c.
Si costituiva la Banca, che eccepiva il difetto di legittimazione attiva e di interesse ad agire dei fideiussori personali in quanto estranei ai rapporti bancari stipulati dal cliente.
In via preliminare, il Tribunale richiamava la disciplina della nullità dell’atto introduttivo secondo cui l’attore che agisce in giudizio deve enunciare e successivamente dimostrare i fatti specifici a fondamento della propria pretesa, infatti, quando l’enunciazione dei fatti costitutivi il diritto azionato sia manchevole o incerta si impedisce, o quantomeno si rende difficoltoso, l’esercizio del diritto di difesa del convenuto.
Più nello specifico, al di fuori delle ipotesi di nullità dell’atto di citazione, l’impossibilità di provare fatti troppo genericamente descritti, determina il rigetto nel merito della domanda.
Infatti, laddove l’attore enunci in termini astratti ed ipotetici una pluralità di fatti, anche fra loro alternativi, descritti come “eventuali” o “possibili”, in una prospettiva dubitativa ed in maniera generica, non definisce i limiti della domanda violando il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ed i suoi corollari che trovano fondamento normativo negli articoli 99, 100, 112 e 115 cod. proc. civ. ed ulteriore specificazione negli articoli 163, 164, 167 e 183 dello stesso codice, oltre che nelle disposizioni relative all’istruzione probatoria.
Nel caso di specie il principio enunciato trovava immediato riscontro nella lacuna istruttoria di parte attrice conducendo il Giudice a pronunciarsi per il rigetto delle domande, ravvisando altresì un’ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c..
Sul punto, il Tribunale osservava che gli attori avevano promosso con manifesta imprudenza, se non mala fede, una lite temeraria.
Più nello specifico, il Magistrato evidenziava che i garanti personali risultavano estranei al rapporto dedotto in giudizio e nonostante ciò insistevano nel lamentare imprecisate condotte illecite dell’istituto di credito chiedendo solo in via residuale l’estromissione.
Nel merito il Giudicante ha chiarito che la proposizione di un giudizio sulla base di allegazioni astratte, ipotetiche e generiche non pare finalizzata ad ottenere un effetto utile, piuttosto crea disturbo al corretto esercizio dell’attività creditizia – rendendo difficoltoso l’accesso al credito – ed alla tutela giurisdizionale rallentandone l’attività.
Nel caso di specie, il Tribunale rilevava che la domanda di parte attrice integrava un’ipotesi di lite temeraria, in quanto utilizzava il processo come strumento per recare pregiudizio alla controparte e alla collettività, ciò in quanto la pendenza di un processo comporta per le parti ansia, frustrazione, incertezza, spreco di risorse materiali e psichiche, che sono tollerabili nei limiti in cui la durata sia ragionevole.
Il superamento di tale limite temporale comporta l’intollerabilità del pregiudizio non patrimoniale subito e la liquidazione del relativo indennizzo.
Nondimeno, laddove la lite sia temeraria sin dall’inizio, risulta superflua la prova del danno, in quanto la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata assolve una funzione sanzionatoria.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, il Tribunale dichiarava inammissibili, per difetto d’interesse, le domande in quanto proposte dai garanti e rigettava le domande proposte dal cliente, condannando ambo le parti, in solido, al pagamento delle spese processuali e di una somma equitativamente determinata per lite temeraria ammontante ad euro 10.000,00.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista:
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