Un cliente che vuol far valere un proprio credito nei confronti di una Banca in liquidazione coatta amministrativa ceduta ad una Banca cessionaria non può che insinuarsi nello stato passivo della Banca cedente posto che ai sensi dell’art. 90 comma 2 TUB il cessionario risponde delle sole passività risultanti dallo stato passivo della liquidazione.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. Giancola, – Rel. Dolmetta con l’ordinanza n.5116 del 05.03.2018.
Nella fattispecie processuale esaminata TIZIO, erede di un CLIENTE CORRENTISTA agiva in giudizio contro una BANCA CESSIONARIA di una azienda posta in liquidazione coatta amministrativa, per far valere un proprio credito che gli era stato riconosciuto in primo grado.
Avverso tale pronuncia, la BANCA cessionaria proponeva vittorioso appello per cui la Corte territoriale riformulò la sentenza di primo grado dichiarando che il cessionario di azienda risponderebbe solo per le passività iscritte a bilancio conformemente a quanto previsto dall’art. 90 TUB.
Contro tale decisione TIZIO proponeva ricorso per Cassazione sostenendo che la soluzione del Giudice di seconde cure doveva ritenersi erronea nella parte in cui si limitava a definire l’ambito di responsabilità previsto ex lege del cessionario per i debiti del cedente, senza considerare l’ambito convenzionale.
La pretesta attorea si basava sull’atto pubblico di cessione, intercorso tra l’Istituto in liquidazione e la BANCA, che prevedeva per effetto della cessione il trasferimento alla cessionaria anche dei giudizi attivi e passivi in corso, pertanto l’oggetto della cessione doveva risultare più ampio di quello legale ricomprendendo tutte le posizioni sostanziali e processuali attive e passive.
La Corte ha affermato che l’art. 90, co.2 TUB fornisce un percorso vincolato di accertamento del diritto dei pretesi creditori della BANCA CESSIONARIA dell’azienda, i quali non potevano che insinuarsi nello stato passivo della BANCA CEDENTE per far valere la propria pretesa creditoria.
Peraltro, nel motivo sviluppato dal ricorrente non risultava che il contratto di cessione stipulato tra l’azienda in liquidazione e la BANCA CESSIONARIA presentasse deroghe alle modalità di accertamento contemplate dalla norma dell’art. 90 comma 2 TUB, ove si voglia ammettere la derogabilità delle medesime, pertanto il giudizio di secondo grado non poteva che essere confermato.
Alla luce delle suesposte considerazioni, il Collegio ha rigettato il ricorso del ricorrente condannando al pagamento delle spese.
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