Provvedimento segnalato dall’ avv. Donato Giovenzana –Legale d’impresa
In materia di misura di prevenzione patrimoniale è configurabile la buona fede del terzo creditore che vanta sul bene un diritto di garanzia reale sorto antecedentemente al provvedimento di confisca soltanto nel caso in cui, avendo riguardo alla particolare attività svolta dal medesimo, risulti dimostrata: a) l’estraneità a qualsiasi collusione o compartecipazione all’attività criminosa; b) l’inconsapevolezza credibile in ordine alle attività svolte dal prevenuto; c) un errore scusabile sulla situazione apparente del prevenuto.
Non può farsi carico all’Istituto di Credito, che non dispone delle banche dati proprie della autorità giudiziaria e della P.G., di effettuare penetranti indagini quanto alle pendenze penali a carico del soggetto potenziale beneficiario del finanziamento, non potendo il semplice dato di una condanna penale per un qualunque reato ovvero della assai risalente applicazione di una misura di prevenzione essere, di per sé, ostativo alla concessione del credito, venendo altrimenti minata la funzione economico-sociale delle banche, essendo la ratio della normativa esclusivamente quella di evitare un uso distorto del credito bancario, piegato ai fini elusivi della criminalità.
Questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione penale, sezione II, Pres. Cammino – Rel. Di Pisa con la sentenza n. 15706 del 09.04.2018.
Una Banca presentava ricorso ex art. 59 comma 6 D.lgs. n. 159/2011 per essere ammessa al passivo del procedimento a carico di un prevenuto, in confisca definitiva, rispetto al quale vantava un credito.
Il Tribunale rigettava il ricorso con ordinanza avverso la quale la Banca proponeva ricorso per Cassazione.
L’Istituto di Credito deduceva la violazione dell’art. 52 D.Lgs. n. 159/2011 (di seguito TU Antimafia), in quanto il Giudice aveva erroneamente escluso l’ignoranza incolpevole della Banca, non considerando che la normativa (precedente all’ultima riforma del 2017 applicabile ratione temporis) non prevedeva a carico dell’Istituto di Credito l’onere di acquisire il certificato penale del potenziale cliente, nonché non applicava correttamente i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui deve ritenersi decisiva la buona fede del terzo derivante da errore scusabile e come tale immune da colpa.
Peraltro, dalla documentazione prodotta emergeva che la Banca aveva controllato la situazione economica e finanziaria del prevenuto e – secondo quanto sosteneva parte attrice – la mera presenza di precedenti penali risalenti nel tempo non poteva precludere la concessione del credito, in quanto diversamente opinando il creditore sarebbe stato sempre considerato in mala fede.
Ad ulteriore sostegno della propria buona fede la Banca rilevava come decisiva la condotta degli amministratori giudiziari che insediatisi proseguivano l’attività commerciale della ditta del prevenuto.
La Corte, in via preliminare, ha richiamato la disciplina del TU Antimafia in ordine ai diritti dei terzi che all’art. 52, co.1 TU cit. esprime il principio secondo cui i terzi creditori non sono pregiudicati dalla misura di prevenzione reale quando il diritto di credito di cui sono titolari risulta da atto avente data certa anteriore al sequestro e ove ricorrano le condizioni predeterminate dal legislatore al comma 1 lett b) art. 52 cit.
Più nel dettaglio, il credito vantato non deve essere strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, salvo che il creditore dimostri di avere ignorato in buona fede il nesso di strumentalità.
Il legislatore al terzo comma ha individuato le linee guida che consentono al Giudice di valutare la buona fede del terzo creditore, vale a dire le condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale nonché, in caso di enti, alle dimensioni degli stessi.
In ordine alla previsione di tali parametri la giurisprudenza civile e quella penale hanno affermato che se è vero che sono obbligatori non sono né esclusivi, né vincolanti, in altri termini, il Giudice dopo aver valutato la presenza di tali condizioni può valutarne di ulteriori non previste dal legislatore o disattendere quelle tipizzate con adeguata motivazione.
Inoltre, il terzo creditore che chiede l’ammissione al passivo assume la veste sostanziale di attore, pertanto deve fornire la prova delle condizioni che lo ammettono alla liquidazione del suo credito.
Il bilanciamento degli interessi in sede di giudizio di prevenzione investe la necessità di neutralizzare la pericolosità della res che si è trasmessa per un processo di osmosi dal prevenuto e la tutela dei diritti dei terzi che prevalgono solo in caso di buona fede.
Se in sede civilistica la buona fede soggettiva si presume, in ambito penale tale principio non trova accoglimento, in quanto prevale l’esigenza pubblicistica sottesa alla misura di prevenzione, pertanto deve essere il terzo a provare il suo diritto.
Sul punto, la giurisprudenza ha ravvisato la buona fede del terzo quando è assente qualsiasi contributo o partecipazione al fatto costituente reato rispetto al quale il terzo non deve avere ricavato vantaggi o utilità e rispetto al quale non deve potersi effettuare nessun addebito di negligenza, salvo errore scusabile che lo rende immune da colpa.
Dopo aver fornito le coordinate ermeneutiche, la Corte ha affermato che il provvedimento del Tribunale che aveva escluso la buona fede si basava su una motivazione carente ed illogica limitandosi a considerazioni generiche ed incongrue tanto da denunciare una violazione delle norme e prassi bancarie in tema di auto riciclaggio senza chiarire i profili specifici delle censure.
In ogni caso, secondo quanto ha affermato il Collegio, non può chiedersi all’Istituto di Credito di effettuare penetranti indagini quanto alle pendenze penali a carico del potenziale cliente, in primis in quanto le banche non dispongono dei dati dell’autorità giudiziaria, in secundis in quanto si creerebbe un effetto distorsivo ove una condanna penale per qualunque reato o la risalente applicazione di una misura di prevenzione fossero ostative alla concessione del credito. Se così fosse, ha affermato la Corte, si produrrebbe l’effetto di paralizzare la funzione economico sociale delle banche, nonostante la normativa antimafia sia prevista esclusivamente al fine di evitare che le linee di prestito bancario vengano strumentalizzate per fini criminali.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, la Corte ha annullato l’ordinanza impugnata per vizio di motivazione con rinvio al Tribunale affinché proceda ad un nuovo esame sulla buona fede della Banca nell’osservanza dei principi indicati.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista:
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