Ove le polizze sulla vita non prevedano la garanzia della conservazione del capitale alla scadenza, il prodotto oggetto dell’intermediazione costituisce un vero e proprio investimento finanziario da parte di coloro che figurano come assicurati.
Infatti, mentre nella polizza assicurativa sulla vita il rischio avente ad oggetto un evento dell’esistenza dell’assicurato è assunto dall’assicuratore, nell’investimento in uno strumento finanziario il rischio di “performance” è per intero addossato all’assicurato.
La normativa TUF e i regolamenti CONSOB trovano applicazione anche nel caso in cui gli investitori si avvalgano di una società, infatti, l’intermediario deve fornire al cliente, per il tramite della fiduciaria, informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni delle operazioni o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte d’investimento o disinvestimento, risultando irrilevante che la società fiduciaria rientri nella categoria degli operatori qualificati, dovendosi avere riguardo per la disciplina applicabile alla persona dell’investitore.
In materia di intermediazione finanziaria, qualora si assuma che l’investitore non è la società fiduciaria ma la persona fisica fiduciante, l’adempimento degli obblighi dell’intermediario finanziario devono essere valutati nei confronti di quest’ultimo, e non nei confronti della società fiduciaria, avuto riguardo alla precipua funzione di rimozione delle asimmetrie informative della disciplina del rapporto fra investitore e intermediario finanziario. Di talché non assume alcun rilievo la circostanza che la società fiduciaria rientri nella categoria degli operatori qualificati, dovendosi avere riguardo per la disciplina applicabile alla persona dell’investitore.
Questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione, Pres. Vivaldi – Rel. Scoditti con l’ordinanza n. 10333 del 30.04.2018.
Nella fattispecie processuale esaminata una SOCIETÀ FIDUCIARIA – contraente una polizza – e l’ASSICURATO agivano in giudizio contro la SOCIETÀ ASSICURATRICE chiedendo in via gradata la nullità della polizza sottoscritta fra le parti, l’annullamento e la risoluzione per inadempimento, con la restituzione dell’importo corrisposto anche a titolo di commissioni versate.
Il Tribunale adito rigettava la domanda che veniva riproposta in sede d’appello.
Il Giudice di secondo grado dichiarava la risoluzione del contratto per inadempimento, condannando la SOCIETÀ ASSICURATRICE alla restituzione dell’importo corrisposto.
La pronuncia assumeva particolare rilevanza, in quanto la Corte territoriale affermava che, mancando la garanzia della conservazione del capitale alla scadenza e dunque la natura assicurativa della polizza, il prodotto oggetto dell’intermediazione doveva essere considerato un vero e proprio investimento finanziario da parte di coloro che figuravano come assicurati, trovando applicazione il T.U.F. e i regolamenti CONSOB.
Peraltro, dalla documentazione raccolta emergeva che gli ASSICURATI sottoscrivevano solo una proposta e la polizza emessa, pur dichiarando testualmente la conformità alla prima, non ne rispecchiava affatto il contenuto, né vi era prova documentale di accettazione delle pattuizioni relative all’impiego del capitale versato, circostanze queste da cui si evinceva l’inadempimento dell’intermediario finanziario.
Inoltre, l’investimento così come effettuato non appariva neppure adeguato al profilo di rischio basso indicato dal contraente nella proposta (si trattava di prodotto derivato, collegato ad indici di borsa, e quindi per sua natura volatile) e che, ove pure si ritenesse che fossero state acquisite le informazioni dal contraente sul suo profilo di investitore (informazioni peraltro non risultavano acquisite), un tale investimento avrebbe dovuto essere specificatamente autorizzato per iscritto a seguito di un chiaro avvertimento da parte dell’intermediario sull’inopportunità di concentrazione del rischio (art. 29 T.U.F.), stante il totale impiego del capitale versato per un importo rilevantissimo, da cui la conclusione in termini di inadempimento dell’INTERMEDIARIO FINANZIARIO sia nella fase di formazione che in quella di esecuzione dell’accordo.
La SOCIETA ASSICURATRICE proponeva ricorso per Cassazione sulla base di sei motivi.
Con il PRIMO MOTIVO il ricorrente sosteneva che le parti del contratto erano l’IMPRESA ASSICURATRICE che emetteva la polizza e la SOCIETÀ FIDUCIARIA che contraeva la polizza, mentre gli ASSICURATI erano solo i soggetti titolari del rischio dedotto in contratto, pertanto l’adempimento delle regole dell’intermediario finanziario doveva essere valutato solo con riguardo alla SOCIETÀ FIDUCIARIA che quale operatore qualificato escludeva l’operatività del reg. CONSOB.
Con il SECONDO MOTIVO la ricorrente osservava che gli obblighi previsti dall’art. 29 del regolamento CONSOB erano stati puntualmente assolti nei confronti della SOCIETA FIDUCIARIA con la compilazione e sottoscrizione del questionario da cui risultava la specifica indicazione di rischio basso.
Il Giudice di legittimità ha affermato che in primo luogo occorre decodificare la natura giuridica del contratto controverso a prescindere dal nomen iuris attribuito dalle parti, vale a dire verificare se si identifichi come polizza assicurativa sulla vita, il cui rischio è traslato dall’assicurato all’assicuratore oppure come investimento di uno strumento finanziario, in cui il rischio è per intero a carico dell’assicurato.
Il Giudice di merito accertava che gli investitori erano le persone fisiche e non la SOCIETA FIDUCIARIA, pertanto il rispetto della normativa sugli obblighi informativi dell’intermediario finanziario doveva essere vagliato con riguardo agli ASSICURATI, in quanto contraenti deboli la cui asimmetria informativa e diversa forza contrattuale doveva essere riequilibrata con la normativa protezionistica.
Sul punto, il Giudice di merito accertava il mancato assolvimento degli obblighi informati e di comportamento rispetto all’operazione finanziaria non adeguata con riferimento alla persona fisica dell’investitore (e non alla SOCIETÀ FIDUCIARIA).
Tale conclusione trovava conferma con quanto evidenziato dalla CONSOB secondo cui l’interposizione delle società fiduciarie è consentita in quanto resti sempre e comunque preservata la diretta riferibilità al cliente-fiduciante della volontà contrattuale e delle connesse tutele.
In altri termini, l’intermediario deve fornire al cliente, per il tramite della fiduciaria, informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni delle operazioni o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte d’investimento o disinvestimento.
Pertanto, la segnalazione dell’eventuale inadeguatezza dell’operazione deve essere indirizzata alla persona dell’investitore divenendo irrilevante la qualifica di operatore qualifico della società fiduciaria.
I successivi motivi di censura si concretavano in critiche alla valutazione del fatto da parte del Giudice di merito che in sede di legittimità non erano consentite, inoltre, le censure restavano prive di decisività rispetto la ratio decidendi della sentenza impugnata, vale a dire l’esecuzione infedele del programma contrattuale e la violazione da parte dell’intermediario finanziario della regola di condotta relativa all’operazione non adeguata (art. 29 del regolamento CONSOB) con riferimento alla persona fisica dell’investitore.
Rispetto all’ultimo motivo la Corte ha rilevato che poiché la SOCIETA ASSICURATRICE non svolgeva alcuna attività di gestione, nonostante venisse remunerata, il relativo spostamento patrimoniale risultava privo di giustificazione causale, pertanto doveva essere restituito.
Alla luce delle suesposte considerazioni, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso condannando alle spese.
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