La richiesta di condanna al risarcimento dei danni derivanti da responsabilità aggravata di cui all’art. 96 c.p.c. si concretizza quando il diritto di agire e di resistere in giudizio assume i caratteri dell’abuso in quanto esercitato al di fuori del suo schema tipico o al di là dei limiti determinati dalla sua funzione.
Considerato che un atteggiamento che integra l’ipotesi di cui all’art. 96 c.p.c. ha necessariamente come fondamento un mancato utilizzo della normale diligenza, la condotta temeraria si configura quando la parte possa avvertire agevolmente l’ingiustizia o l’infondatezza della propria domanda, addivenga alla consapevolezza del proprio torto, riveli la coscienza e volontà di servirsi del processo per conseguire scopi estranei ai suoi fini istituzionali o infine renda evidente il difetto della normale diligenza per l’acquisizione della coscienza temeraria.
Questi sono i principi espressi dal Tribunale di Teramo, Giudice Marco Di Biase con la sentenza n. 770 del 07.07.2017.
Nella fattispecie processuale esaminata un correntista conveniva in giudizio una Banca e dolendosi di venti indebiti operazioni di incasso di assegni bancari posti in essere dall’Istituto in assenza di alcuna disposizione del correntista, in quanto riteneva di non averli né compilati né sottoscritti, chiedeva l’accertamento dell’apocrifia delle firme apposte sugli assegni e la condanna della Banca alla restituzione di quanto illegittimamente incassato.
Si costitutiva la Banca eccependo l’infondatezza degli avversi assunti tanto in fatto quanto in diritto e di cui chiedeva il rigetto con condanna del correntista per temerarietà della lite ex art. 96 co. 3 c.p.c.
Il Giudicante, previa escussione tesi e CTU, ha ritenuto prive di fondamento le doglianze attoree circa l’apocrificità delle firme, spiegando che le risultanze della perizie attestano che con certezza che sono autografe e, quindi, riconducibili alla mano del correntista.
Del resto il Giudice escludendo qualsivoglia condotta contra legem da imputare alla Banca ha ritenuto sussistenti i presupposti di condanna per temerarietà della lite, spiegando che la difesa dell’attore, la quale ha contestato e disconosciuto le firme apposte in calce agli assegni, quando, per converso, è emerso che è stato lui stesso ad averle apposte è indice di un atteggiamento defatigatorio, con il quale si fa uso degli strumenti processuali, rilevante agli effetti dell’art. 96 cpc.
Nel merito il Tribunale ha chiarito che la richiesta di condanna al risarcimento dei danni derivanti da responsabilità aggravata di cui all’art. 96 c.p.c. si concretizza quando il diritto di agire e di resistere in giudizio assume i caratteri dell’abuso in quanto esercitato al di fuori del suo schema tipico o al di là dei limiti determinati dalla sua funzione, peraltro, considerato che un atteggiamento che integra l’ipotesi di cui all’art. 96 c.p.c. ha necessariamente come fondamento un mancato utilizzo della normale diligenza, la condotta temeraria si configura quando la parte possa avvertire agevolmente l’ingiustizia o l’infondatezza della propria domanda, addivenga alla consapevolezza del proprio torto, riveli la coscienza e volontà di servirsi del processo per conseguire scopi estranei ai suoi fini istituzionali o infine renda evidente il difetto della normale diligenza per l’acquisizione della coscienza temeraria.
Alla luce delle suesposte argomentazioni il Tribunale ha rigettato le doglianze attoree con condanna ex art. 96, co. 23 c.p.c. nonché al pagamento delle spese di lite in favore della Banca convenuta.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista:
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