La decorrenza della prescrizione dalla data del pagamento è condizionata al carattere solutorio, e non meramente ripristinatorio, dei versamenti, essa sussiste sempre in mancanza di un’apertura di credito: onde, eccepita dalla banca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito per decorso del termine decennale dal pagamento, è onere del cliente provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quel pagamento come mero ripristino della disponibilità accordata.
L’esistenza del contratto di apertura di credito deve essere provata con la forma scritta e non può essere fondata su altri elementi come prove indirette, quali gli estratti conto, i riassunti scalari, i report della centrale rischi, la stabilità dell’esposizione, l’entità del saldo debitore, la previsione di una commissione di massimo scoperto, oppure voci quali “spese gestione fido” e “revisione fido”.
Ai fini della individuazione delle rimesse solutorie e/o rispristinatorie – in mancanza di contratto scritto – il limite dell’affidamento non si può individuare nello stesso massimo scoperto consentito di fatto.
Questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione, Pres. De Chiara, Cons.- Rel. Nazzicone, con la sentenza n. 22705 del 30 ottobre 2018.
La pronuncia origina da un giudizio intrapreso da una società correntista in danno di una Banca al fine di far dichiarare la nullità delle clausole sugli interessi a tasso ultralegale e sulla capitalizzazione trimestrale ed ottenere la condanna dell’Istituto di credito a quanto indebitamente percepito a tale titolo.
La Banca, costituitasi, eccepiva la prescrizione dei versamenti effettuati dalla correntista, allegandone la natura solutoria.
Il Tribunale accoglieva la domanda condannando la convenuta alla restituzione della somma accertata a titolo di indebito; tale pronuncia veniva appellata innanzi la Corte d’appello di Brescia la quale respingeva le impugnazioni, principale ed incidentale.
Argomentava che ai fini del decorso della prescrizione dalla chiusura del conto corrente bancario, essendo l’esistenza del contratto di apertura di credito un fatto costitutivo del diritto alla ripetizione vantato, è necessario, ove il cliente alleghi il pagamento dell’indebito, che egli provi la natura non solutoria, ma ripristinatoria delle rimesse effettuate, allegando e dimostrando l’esistenza di un’apertura di credito e del relativo importo; ciò posto rilevava che nella specie il cliente aveva omesso finanche di indicare i contratti azionati, limitandosi al generico riferimento a saldi negativi ed agli addebiti nell’estratto conto per la causale “spese gestione fido” e “revisione fido”, rendendo impossibile per il giudice di verificare la natura dei versamenti, posto che la mera presenza costante di saldi passivi non permette da sola di desumere l’esistenza e l’ammontare di singoli affidamenti.
Avverso questa sentenza proponeva ricorso per cassazione la società lamentando l’erronea valutazione della natura dei versamenti – in virtù del principio secondo cui occorre presumere la natura normalmente ripristinatoria delle rimesse – e dei documenti probatori dalla stessa forniti, deducendo di aver sin dall’inizio dedotto l’esistenza di un fido di fatto, nonché di aver, pur in assenza del documento contrattuale, compiutamente fornito la prova dello stesso attraverso altre “prove indirette” quali gli estratti conto, i riassunti scalari, i report della centrale rischi, ed altro.
Resisteva la Banca con controricorso.
La Corte ha quindi preliminarmente ribadito l’ormai granitico principio per il quale l’ordinaria prescrizione decennale decorra dalla data dell’annotazione in conto, qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo (o “scoperto”), cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista e dalla data di chiusura del rapporto quando i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell’affidamento concesso al cliente, consistano in meri atti ripristinatori della provvista, pur sempre nella disponibilità del cliente.
Ciò premesso, i Supremi Giudici hanno definito come l’onere della prova si atteggi nei giudizi di ripetizione dell’indebito, specificando che:
a) il cliente che agisce per la ripetizione ha l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto vantato: quindi, la dazione e la mancanza di una causa che lo giustifichi, ovvero il venir meno di questa;
b) la Banca che eccepisca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito per decorso del termine decennale dalle annotazioni passive in conto, quale fatto estintivo, essa ha l’onere di allegare l’inerzia, il tempo del pagamento ed il tipo di prescrizione invocata, posto che ai fini della valida proposizione dell’eccezione in parola è sufficiente allegare il fatto costitutivo della stessa, ossia l’inerzia del titolare e – per quanto ovvio – manifestare la volontà di avvalersene.
c) se, a questo punto, il tempo decorso dalle annotazioni passive integri il periodo necessario per il decorso della prescrizione, diviene onere del cliente provare il fatto modificativo, consistente nell’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quei versamenti come mero ripristino della disponibilità accordata e, dunque, possa spostare l’inizio del decorso della prescrizione alla chiusura del conto.
Osserva il Collegio, che la presunzione della natura ripristinatoria dei versamenti eseguiti su conto corrente in corso di rapporto deriva dallo schema causale tipico del contratto di apertura di credito ed ha quale presupposto, appunto, l’esistenza di un contratto di affidamento con la conseguenza che la stessa non può operare in mancanza della produzione in giudizio da parte dell’attore del contratto per il quale la forma scritta è richiesta ad substantiam.
Conclude, dunque, la Suprema Corte che perché possa operare la presunzione della natura ripristinatoria dei versamenti occorre che il correntista fornisca la prova dell’esistenza dell’affidamento tramite la necessaria produzione in giudizio del relativo documento contrattuale non potendo la stessa essere fondata su altre “prove indirette”, quali gli estratti conto, i riassunti scalari, i report della centrale rischi, la stabilità dell’esposizione, l’entità del saldo debitore, la previsione di una commissione di massimo scoperto, o altro.
Sulla base di tali rilievi la Corte ha rigettato il ricorso condannando la correntista al pagamento delle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
RIPETIZIONE INDEBITO: ONERE DEL CORRENTISTA DIMOSTRARE LA NATURA RIPRISTINATORIA DEI VERSAMENTI
OCCORRE PROVARE IL CONTRATTO DI APERTURA DI CREDITO E NON UN FIDO DI FATTO
Sentenza | Corte di Cassazione, Pres. De Chiara, Cons.- Rel. Nazzicone | 30.10.2018 | n.27704
INDEBITO – PRESCRIZIONE: IRRILEVANTE FIDO DI FATTO IN QUANTO NULLO EX ART. 117 TULB
SONO NULLI I CONTRATTI PRIVI DELLA FORMA (SCRITTA) RICHIESTA AD SUBSTANTIAM
Sentenza | Corte d’Appello di Torino, Pres. Grimaldi – Rel. Macagno | 09.06.2017 | n.1277
RIPETIZIONE INDEBITO: IRRILEVANTE IL CD. FIDO DI FATTO
IL CONTRATTO DI APERTURA DI CREDITO DEVE ESSERE NECESSARIAMENTE REDATTO E PROVATO PER ISCRITTO
Sentenza | Tribunale di Catania, Giudice Giorgio Marino | 17.05.2018 | n.2167
https://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/ripetizione-indebito-irrilevante-il-cd-fido-di-fatto
RIPETIZIONE INDEBITO: L’ECCEZIONE DI PRESCRIZIONE FORMULATA DALLA BANCA È AMMISSIBILE ANCHE SE GENERICA
L’ISTITUTO DI CREDITO NON HA L’ONERE DI INDICARE LE SINGOLE RIMESSE PRESCRITTE
Ordinanza | Cassazione Civile, sez. sesta, Pres.Ragonesi,- Rel. Bisogni | 30.01.2017 | n.2308
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