Procedimento patrocinato dallo Studio Legale Filesi
LE MASSIME
La tendenza in dottrina, esclude che la clausola risolutiva espressa possa rientrare nelle ipotesi di cui all’art. 1341 cod. civ.; ciò in ragione della tassatività dell’elenco ivi previsto.
La clausola risolutiva espressa non ha carattere vessatorio, atteso che non è riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dall’art. 1341, co. 2, c.c., neanche in relazione all’eventuale aggravamento delle condizioni di uno dei contraenti derivante dalla limitazione della facoltà di proporre eccezioni, in quanto la possibilità di chiedere la risoluzione è connessa alla stessa posizione di parte del contratto e la clausola risolutiva si limita soltanto a rafforzarla.
Questi i principi espressi dalla Corte d’Appello di Roma, Pres. rel. Battisti, con la sentenza n. 6769 del 25 ottobre 2018.
IL CASO
Nel caso in esame, dei fideiussori proponevano opposizione avverso un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Roma in favore di una società di leasing, con la quale avevano stipulato un contratto di locazione finanziaria di una imbarcazione da diporto usata, al fine di ottenere il recupero dei crediti derivanti da canoni scaduti ed insoluti.
Parte utilizzatrice aveva stipulato un contratto di assicurazione contro il furto del natante, con privilegio in favore del lessor, pertanto, dopo aver corrisposto i primi canoni per un valore complessivo corrispondente a circa il 30% del corrispettivo originariamente pattuito, il lessee sospendeva il pagamento dei canoni mensili.
Successivamente il medesimo contraente presentava formale denuncia dell’avvenuto furto dell’imbarcazione, alla Compagnia assicuratrice; il lessor nel frattempo, attivava la clausola risolutiva espressa, come prevista dalle condizioni generali di contratto, la quale prevedeva la risoluzione di diritto del contratto stesso; successivamente, proponeva esso stesso creditore ricorso per decreto ingiuntivo nei confronti dei coobbligati, al fine di ottenere il pagamento dei canoni scaduti, delle spese accessorie e della penale contrattuale.
Nel proporre opposizione al decreto ingiuntivo, i resistenti deducevano la vessatorietà della clausola risolutiva contenuta nel contratto di leasing ed insistevano per la chiamata in causa della Compagnia assicurativa, alla quale poi rinunciavano.
Con la sentenza di prime cure, il Tribunale di Roma rigettava l’opposizione proposta, sul richiamo e fra l’altro al principio di non contestazione del credito e dunque sulla impossibilità di considerare come vessatoria, una clausola che riproduceva il dettato dell’art. 1456 c.c.
In merito alla richiesta di manleva nei confronti della Compagnia, lo stesso Giudice rilevava che stante la mancata chiamata in causa della stessa e l’assenza di sufficiente materiale probatorio relativo alla denuncia dell’evento – furto, nel caso di specie trovava applicazione il dettato contrattuale di riferimento, secondo cui “l’utilizzatore assumeva a proprio carico i rischi di perdita, perimento, deterioramento e di qualsiasi altra avaria anche se verificatasi per cause ad esso utilizzatore non imputabili“.
COMMENTO
Orbene, con la sentenza oggi in commento, la Corte distrettuale ha affrontato i motivi di appello dei soccombenti in primo grado.
Essi chiedevano alla Corte la riapertura dell’istruttoria, per acquisire determinati documenti contabili (“fatture e quietanze“) dai quali sarebbe emersa la sopravvenuta estinzione delle ragioni creditorie del lessor, sulla asserita avvenuta transazione stragiudiziale tra la società locatrice e la Compagnia di assicurazioni.
La richiesta era già stata avanzata in primo grado, ma era stata dichiarata inammissibile dal Tribunale, perché formulata solo nella comparsa conclusionale, tardivamente.
Il rigetto dell’istanza avrebbe violato, a parere degli appellanti, quanto disposto dall’art. 184 bis c.p.c, nella forma ratione temporis vigente all’epoca del giudizio; con il secondo motivo di appello, contestavano la legittimità dell’attivazione della clausola risolutiva e a tale proposito affermavano che non sussisteva il “grave inadempimento” richiesto per la risoluzione, poiché le rate scadute ammontavano ad un importo modesto, a fronte di un avvenuto parziale adempimento pari a circa il 30% del valore del natante.
Inoltre, la circostanza che il lessor avesse atteso per circa sei mesi dal primo inadempimento, prima di attivare la suddetta clausola, avrebbe costituito oltre che la prova della scarsa serietà dell’inadempimento, anche una manifestazione di acquiescenza da parte del lessor stesso, a fronte del comportamento dell’utilizzatore.
Con il terzo motivo, gli appellanti insistevano sul carattere vessatorio della clausola risolutiva, che a loro dire avrebbe dovuto essere specificamente approvata per iscritto ai sensi dell’art. 1341 c.c.
Con il quarto motivo di appello, sostenendo il sopravvenuto venir meno delle ragioni creditorie azionate ex latu actoris.
Parte appellata si è, quindi, costituita in giudizio, contestando quanto dedotto, articolato e richiesto dall’appellante, in quanto palesemente infondato in fatto e in diritto.
In risposta al primo motivo di appello, la società appellata eccepiva la tardività e genericità della richiesta, la quale si limitava all’indicazione di “fatture e quietanze“, senza specificare il contenuto del materiale probatorio del quale si chiedeva l’integrazione, né fornendo un elenco dei documenti eventualmente da ammettersi. In ogni caso, la società negando di aver concluso alcun accordo con la Compagnia di assicurazioni.
In merito alla dedotta invalidità della clausola risolutiva del contratto di leasing, la società richiamava il provvedimento impugnato, nella parte in cui si rilevava che onere del creditore che agisca per la risoluzione, è la prova della fonte del suo diritto e l’allegazione della circostanza dell’inadempimento, neppure contestata dal debitore, nel caso concreto. Nessuna rilevanza avrebbe avuto, inoltre, la censura relativa al carattere vessatorio della clausola risolutiva, che non faceva altro che riprodurre il dettato dell’art. 1456 c.c.
I Giudici Romani, hanno affermato che se in linea di principio, la riapertura della fase istruttoria in appello è eventuale e condizionata alla circostanza che la parte appellante dimostri la scusabilità dell’impedimento in cui è incorsa e che ha determinato il mancato tempestivo deposito della documentazione in primo grado, tale dimostrazione non risultava comunque essere stata fornita nel caso in esame, poiché gli appellanti si erano limitati a richiedere l’ammissione di “fatture e quietanze“, presumibilmente emesse in un periodo successivo alla scadenza dei termini ex art. 183 c.p.c., senza fornire nella censura alcuna indicazione temporale, né la rilevanza del contenuto dei documenti, al fine di ottenere la riforma della sentenza impugnata.
La censura era, dunque, generica sia per l’insufficiente specificazione dei documenti dei quali si richiedeva l’ammissione, sia per la mancata dimostrazione della circostanza che ne avrebbe impedito il deposito in primo grado; sia infine per la mancata indicazione delle ragioni a sostegno della rilevanza e della decisività della documentazione in questione.
Con riferimento al secondo e terzo motivo di appello, aventi ad oggetto la legittimità/vessatorietà della clausola risolutiva come contenuta nelle condizioni generali del contratto di leasing, ancora i giudici della Corte distrettuale hanno affermato che correttamente il Giudice di prime cure aveva rilevato la specularità tra la norma contrattuale (secondo cui l’inadempimento da parte dell’utilizzatore di alcune delle clausole espressamente indicate – tra cui quella relativa al pagamento del corrispettivo – potrà dar luogo alla risoluzione di diritto del contratto stesso) e il dettato dell’art. 1456 cod. civ. (“i contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite. In questo caso la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della clausola risolutiva“); circostanza, questa, che ne escludeva l’illegittimità.
Quanto alla natura vessatoria della clausola, osservando che l’orientamento oggi prevalente in dottrina, tende ad escludere che la clausola risolutiva espressa possa rientrare nelle ipotesi di cui all’art. 1341 cod. civ. in ragione della tassatività dell’elenco ivi previsto. Secondo la giurisprudenza della Corte di legittimità, la clausola risolutiva espressa attribuisce infatti al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per un determinato inadempimento della controparte, dispensandola dall’onere di provarne l’importanza.
Essa non ha carattere vessatorio, atteso che non è riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dall’art. 1341, co. 2, c.c., neanche in relazione all’eventuale aggravamento delle condizioni di uno dei contraenti derivante dalla limitazione della facoltà di proporre eccezioni, in quanto la possibilità di chiedere la risoluzione è connessa alla stessa posizione di parte del contratto e la clausola risolutiva si limita soltanto a rafforzarla (Cass. N. 17603/2018).
Dall’esame globale del contratto, ha concluso la Corte, nonché dall’analisi specifica della clausola, emergeva chiaramente che la previsione della clausola in esame non aveva comportato l’aggravamento della posizione del contraente oggi appellante e dunque la stessa neppure necessitava di essere specificamente approvata per iscritto.
In ogni caso la clausola era stata anche specificamente sottoscritta dall’utilizzatore; noto ed infine l’orientamento giurisprudenziale, giusta il quale la clausola risolutiva- nel riconnettere, per volontà delle parti, ad uno specifico inadempimento la efficacia risolutiva del contratto, impedisce il sindacato del giudice sulla sua gravità.
L’appello è stato quindi totalmente rigettato e gli appellanti condannati al pagamento delle spese e dei compensi del grado.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
LEASING: LEGITTIMA LA CLAUSOLA CON PREVISIONE DI RISOLUZIONE PER MANCATO PAGAMENTO DI UN SOLO CANONE
NON SI APPLICANO LE DISPOSIZIONE DEL CODICE DEL CONSUMO
Sentenza | Tribunale di Vicenza, Dott. Francesco Lamagna | 28.03.2017 |
LEASING: LA L. 124/2017 È APPLICABILE ANCHE AI CONTRATTI RISOLTI PRIMA DELLA SUA ENTRATA IN VIGORE
È NECESSARIO CHE GLI EFFETTI DELLA RISOLUZIONE NON SI SIANO ANCORA REALIZZATI
Sentenza | Tribunale di Bergamo, Giudice Cesare Massetti | 12.12.2017 | n.3169
LEASING IMMOBILIARE: L’UTILIZZATORE NON PUÒ ESERCITARE L’AZIONE DI RISOLUZIONE PER SERVITÙ NON DICHIARATA
IN MANCANZA DI CLAUSOLA ESPRESSA È ESCLUSA LA SUA LEGITTIMAZIONE ATTIVA
Sentenza | Tribunale di Napoli, Dott.ssa Rosa Romano Cesareo | 30.06.2017 | n.7625
LEASING NAVALE: L’UTILIZZATORE, QUALE CUSTODE, È OBBLIGATO A MANTENERE IL BENE IDONEO ALL’USO
L’INOSSERVANZA FA VENIR MENO IL DIRITTO ALL’INDENNIZZO, ANCHE LADDOVE IL BENE SIA OGGETTO DI SINISTRO PER FORZA MAGGIORE
Sentenza | Tribunale di Trento, Giudice Serena Alinari | 08.10.2018 | n.918
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