In applicazione del generale principio di cui all’art. 1419 c.c., affinché la nullità di una clausola comporti nullità dell’intero contratto, occorre dimostrare che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità. Ragion per cui, quando appare che i contratti di fideiussione sarebbero stati stipulati in ogni caso e le clausole delle quali si richiede la nullità non siano state decisive a tal fine, questi non possono dirsi interamente nulli.
La nullità parziale, come affermata dalla Cassazione con la sentenza n. 29810 del 12.12.2017, riguarda le sole clausole indicate come contrarie alla normativa antitrust, pertanto non pregiudicherebbe il restante contenuto dei contratti. Secondo il principio dettato dalla Suprema Corte, infatti, non tutte le norme imperative comportano nullità del contratto in caso di loro violazione. La violazione di norme imperative poste a tutela di interessi generali, comporta nullità virtuale ex art. 1418, comma 1 c.c., solo laddove si tratti di norme di validità, ovvero di norme che attengono alla struttura, al contenuto intrinseco del contratto o che impongano determinate condizioni di liceità della stipulazione, quali particolari autorizzazioni amministrative, ovvero l’iscrizione di uno o entrambi i contraenti in appositi albi o registri.
Questi i principi espressi, in materia di fideiussione omnibus, dal Tribunale di Ancona, Giudice Andrea Ausili, con la sentenza n. 1993 del 17.12.2018, che si riporta di seguito
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI ANCONA
in composizione monocratica in persona del Giudice Andrea Ausili ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. omissis del Ruolo generale degli affari contenziosi civili dell’anno 2015 e promossa da
CORRENTISTI
attori opponenti
contro
BANCA
convenuta opposta
CONCLUSIONI:
PER LE PARTI ATTRICI, come da comparsa conclusionale: “Voglia l’Ill.mo Tribunale di Ancona, contrariis rejectis:
In via pregiudiziale:
– si insiste affinché la presente causa venga rimessa in istruttoria per l’espletamento della CTU già richiesta in seconda memoria ex art. 183 6° comma c.p.c., da intendersi quivi per integralmente trascritta;
nel merito:
– in via principale, accertata la carenza di prova scritta del credito, in presenza di estratti conto incompleti e di certificazioni di credito ex art. 50 T.U.B. parimenti illegittime, tanto con riferimento al contratto di conto corrente, quanto con riferimento al mutuo chirografario; accertate le illegittimità su denunciate, ed in particolare l’indebita applicazione di interessi anatocistici ed ultralegali, ed altre poste non dovute con riferimento al contratto di conto corrente, e ancora di interessi usurari con riferimento al contratto di mutuo; accertata e rilevata la nullità delle fideiussioni per cui vi è lite, in quanto frutto di intese restrittive della libertà di concorrenza, vietate dall’art. 2 1. 10 ottobre 1990 n. 287 essendo le stesse conformi agli schemi contrattuali predisposti dall’A.B.I., in forza di quanto sopra esposto; accertato pertanto che nulla è dovuto alla Banca per le ragioni sopra esposte, Voglia l’adita Giustizia accogliere la spiegata opposizione e per l’effetto dichiarare nullo, invalido e/o inefficace nei confronti degli opponenti il decreto ingiuntivo telematico n. omissis/2015 del 16/03/2015, depositato in Cancelleria in data 17/03/15, R.G. n. omissis/2015, emesso dal Giudice Monocratico del Tribunale di Ancona – Dott.ssa Mantovani;
– sempre in via principale, voglia l’adita Giustizia respingere con qualsivoglia statuizione tutte le domande avanzate da controparte, ivi comprese quelle azionate rispettivamente in via preliminare ed in via subordinata, in quanto infondate in fatto ed in diritto per le ragioni su esposte;
– con vittoria di competenze e spese di causa.”.
PER PARTE CONVENUTA, come da foglio di precisazione delle conclusioni:
“Voglia l’On.le Tribunale di Ancona, contrariis rejectis, respinta la richiesta di sospensione della concessa provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto,
– in via preliminare: dichiarare la nullità dell’atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo n. omissis/2015 del Tribunale di Ancona ai sensi dell’art. 164 comma 4 c.p.c. in quanto è incerto il requisito di cui al n. 3 dell’art. 163 c.p.c. e manca l’esposizione dei fatti di cui al n. 4 dello stesso articolo;
– nel merito, in ogni caso: respingere siccome infondate in fatto ed in diritto le domande tutte proposte da Correntisti nei confronti di Banca con atto di citazione notificato in data 3-5/06/2015, e per l’effetto confermare il decreto ingiuntivo opposto n. omissis/2015;
– in via subordinata e salvo gravame, nella denegata ipotesi in cui il Giudice dovesse ritenere fondati alcuni dei profili di opposizione e per l’effetto ritenere sussistente un credito delle opponenti nei confronti della opposta, portare il detto non creduto minor credito delle opponenti in compensazione con il maggior debito delle stesse nei confronti di Banca e dichiarare tenuti e per l’effetto condannare Correntisti, a pagare a Banca, in solido tra loro, il maggior credito vantato dalla stessa che risulterà accertato, con gli interessi e le spese così come indicati nel decreto opposto.
Con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa”.
OGGETTO: CONTRATTI BANCARI OPPOSIZIONE A DECRETO INGIUNTIVO
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con atto di citazione ritualmente notificato Correntisti proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. omissis/2015 con il quale il Tribunale di Ancona, in data 16.03.2015, ingiungeva loro, in qualità di garanti della Società omissis, di pagare immediatamente, in solido ed in favore della Banca, la somma di €. 58.887,96, oltre ad interessi come da domanda, alle spese di procedura liquidate in complessivi €. 2.541,50, Iva e Cpa come per legge.
La Banca allegava e documentava che la società, dichiarata fallita dal Tribunale di Ancona con sentenza n. omissis/2014 in data 16.06.2014, aveva un’esposizione nei confronti della Banca di € 34.218,92 a seguito di mancato pagamento delle rate del prestito chirografario n. omissis e di € 14.590,66 per saldo dare del conto corrente n. omissis (a cui in precedenza era stato assegnato il numero omissis).
La richiesta di tale importo da parte della Banca, nei confronti di Correntisti trovava titolo nei contratti di fideiussione stipulati in data 7.10.2002 da Correntisti, con i quali essi si costituivano garanti della società omissis fino alla concorrenza della somma di € 85.000,00.
Nell’atto di opposizione gli attori deducevano l’insussistenza dei presupposti di cui agli artt. 633 c.p.c. e ss. per la valida emissione del decreto ingiuntivo in quanto fondato su estratti conto incompleti e su certificazioni di credito ex art. 50 T.U.B. illegittime.
Quanto al contratto di conto corrente, gli opponenti eccepivano la sussistenza di voci illegittime, corrisposte dall’obbligata principale, nella vigenza del rapporto, a titolo di interessi anatocistici. Ancora lamentavano che la Banca non si fosse adeguata alle disposizioni della delibera CICR del 09.02.2000, in quanto non sarebbe mai stata stipulata alcuna valida convenzione in ordine alla medesima periodicità della capitalizzazione degli interessi debitori e creditori.
Con riferimento al contratto di mutuo chirografario, invece, ritenevano che la Banca avesse applicato interessi superiori al tasso limite indicato dalla L. 7 marzo 1996 n. 108.
Costituitasi in giudizio, parte convenuta Banca, deduceva l’impossibilità per il garante di opporre al creditore le eccezioni relative al rapporto tra il creditore ed il garantito, in quanto i contratti stipulati da Correntisti sarebbero da qualificare come contratti autonomi di garanzia.
La convenuta, inoltre, negava l’incompletezza degli estratti conto allegati, deduceva la genericità delle contestazioni circa l’usurarietà dei tassi di interesse e l’applicazione di interessi anatocistici.
Con ordinanza del 01.05.2017, il Giudice rigettava la richiesta sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto.
All’udienza del 23.01.2018, il Giudice dichiarava inammissibile la CTU richiesta dalle parti opponenti e, ritenuta la causa matura per la decisione, fissava l’udienza per la precisazione delle conclusioni.
All’udienza del 11.09.2018 le parti precisavano le conclusioni, venivano assegnati i termini di cui all’art. 190 c.p.c., la causa veniva trattenuta in decisione.
Le parti opponenti, in sede di comparsa conclusionale deducevano, quale eccezione rilevabile d’ufficio, la nullità delle fideiussioni omnibus – rilasciate secondo schemi contrattuali predisposti dall’A.B.I. – in quanto frutto di intese restrittive della libertà di concorrenza vietate dall’art. 2, comma 2 L. 10 ottobre 1990 n. 287.
***
L’opposizione è infondata e va, pertanto, rigettata.
Occorre affrontare la preliminare questione, sollevata in sede di comparsa conclusionale, circa la nullità delle fideiussioni omnibus sottoscritte in data 07.10.02 rispettivamente da Correntisti.
Tale eccezione, proposta dagli opponenti e rilevabile d’ufficio essendo questione di nullità ex art. 1418 c.c., si basa sul fatto che le clausole contraddistinte dalla lettera B), lettera D) secondo comma, lettera F) e lettera G) terzo comma delle suddette fideiussioni, riproducono le clausole standard predisposte dall’ABI relative alla “rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 cod. civ.”, alle “clausole di sopravvivenza della fideiussione” ed alla “clausola cd. di reviviscenza” che la Banca d’Italia nel provvedimento n. 55 del 22.05.2005 dichiarava essere in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, e quindi nulle in quanto intese anticoncorrenziali.
Le parti opponenti deducevano, a loro favore, il recente orientamento della Corte di Cassazione (Cass. n. 29810 del 12.12.2017), secondo cui le fideiussioni rilasciate secondo schemi contrattuali predisposti dall’A.B.I. sono nulle, in quanto frutto di intese restrittive della libertà di concorrenza vietate dall’art. 2 della Legge 10 ottobre 1990 n. 287.
In particolare, la Suprema Corte, nella citata sentenza, si determinava nel senso della nullità dei contratti a valle delle intese anticoncorrenziali sulla base di una nozione ampia di “intesa”: “questa Suprema Corte regolatrice (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 827 del 1999) ha precisato che l’art. 2 della legge n. 287 del 1990 (la legge “antitrust”), «allorché dispone che siano nulle ad ogni effetto le “intese” fra imprese che abbiano ad oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in modo consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, non ha inteso riferirsi solo alle “intese” in quanto contratti in senso tecnico ovvero negozi giuridici consistenti in manifestazioni di volontà’ tendenti a realizzare una funzione specifica attraverso un particolare “voluto”. Il legislatore – infatti – con la suddetta disposizione normativa ha inteso – in realtà ed in senso più ampio – proibire il fatto della distorsione della concorrenza, in quanto si renda conseguenza di un perseguito obiettivo di coordinare, verso un comune interesse, le attività economiche; il che può essere il frutto anche di comportamenti “non contrattuali” o “non negoziali”. Si rendono – così – rilevanti qualsiasi condotta di mercato (anche realizzantesi in forme che escludono una caratterizzazione negoziale) purché con la consapevole partecipazione di almeno due imprese, nonché anche le fattispecie in cui il meccanismo di “intesa” rappresenti il risultato del ricorso a schemi giuridici meramente “unilaterali”. Da ciò consegue che, allorché l’articolo in questione stabilisce la nullità delle “intese”, non abbia inteso dar rilevanza esclusivamente all’eventuale negozio giuridico originario postosi all’origine della successiva sequenza comportamentale, ma a tutta la più complessiva situazione – anche successiva al negozio originario – la quale – in quanto tale – realizzi un ostacolo al gioco della concorrenza” (Cass. n. 29810 del 12.12.2017).
Non si ritiene, tuttavia, condivisibile la conclusione prospettata dalle opponenti.
Invero, la Cassazione nella pronuncia sopra citata, non indicava espressamente come si atteggi tale tipo di nullità (affermata in un obieter dictum rispetto all’errore di diritto imputato alla corte territoriale): se si tratti di una nullità derivata o di nullità come vizio autonomo del contratto di fideiussione. Non indicava neppure se si debba configurare come nullità tradizionale o come nullità di protezione, se sia una nullità parziale o totale.
Pertanto, a seguito della pronuncia, tra i giudici di merito si sono prospettate diverse oscillazioni di cui è bene dare brevemente conto.
Come ricordato da parte opposta, tuttora vi è chi nega con plurime argomentazioni la possibilità di utilizzare le tradizionali categorie della nullità con riferimento ai contratti stipulati a valle di un’intesa anticoncorrenziale (v. anche Tribunale di Treviso, sentenza n. 1632/2018).
Sintetizzando, tale orientamento ritiene che si debba escludere:
- a) la nullità derivata del contratto a valle (fideiussione omnibus) dell’intesa anticoncorrenziale (clausole ABI). Invero, non sempre sarebbe identificabile un collegamento negoziale in senso tecnico tra intesa anticoncorrenziale e contratti di fideiussione. In particolare, nella fattispecie, non sarebbe possibile ravvisare automaticamente l’elemento soggettivo che deve connotare il collegamento negoziale, costituito “dal comune intento pratico delle parti di volere, non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale” (v. ex multis III, Sen. n. 11974 del 17.05.2010). Il principio per cui per aversi collegamento negoziale occorre anche l’elemento soggettivo, peraltro, trova pacifica applicazione anche nel caso di collegamento tra atti eterogenei, come sarebbe nel caso di specie ove si verserebbe in un collegamento tra un’intesa e un contratto (v. Cass. Sez. I, ordinanza n. 22216 del 12.09.2018). Invero, quando difetta l’identità dei soggetti stipulanti due contratti – come appunto nel caso dell’intesa anticoncorrenziale, stipulata tra imprese, e contratti a valle stipulati tra impresa e cliente – l’intento delle parti di consentire a un tale collegamento richiede una prova rigorosa perché in questi casi è probabile che l’unitarietà del risultato perseguito da uno soltanto dei contraenti non determini un’interdipendenza funzionale; per le fideiussioni oggi in oggetto, non viene reso alcun elemento circa l’esistenza di uno scopo che trascenda le autonome cause degli atti che si vorrebbero dichiarare collegati ai fini della nullità;
- b) la nullità del contratto di fideiussione per illiceità della causa. A ben vedere, nel caso di stipulazione del contratto a valle di un’intesa lesiva della concorrenza, la causa concreta del contratto – l’intento pratico che vogliono realizzare le parti – non può identificarsi con l’illecito obiettivo di trarre un extra-profitto tramite la violazione della normativa sulla concorrenza. Questo eventuale scopo illecito, infatti, sarebbe tale unicamente per l’impresa e, pertanto, costituirebbe un motivo illecito che, poiché non comune alle parti, rimarrebbe irrilevante ai fini dell’invalidazione del contratto;
- c) la nullità virtuale per violazione di norme imperative (id est 2 L. 287/ 90). Tale soluzione è da escludere, in quanto altererebbe la consolidata distinzione tra norme di validità e norme di comportamento, così come delineata dalla nota sentenza della Cassazione (Sezioni Unite, n. 26724, del 19.12.2007), in materia di violazione degli obblighi informativi da parte dell’intermediario finanziario.
Secondo il principio dettato dalla Suprema Corte, infatti, non tutte le norme imperative comportano nullità del contratto in caso di loro violazione. La violazione di norme imperative poste a tutela di interessi generali, comporta nullità virtuale ex art. 1418, comma 1 c.c., solo laddove si tratti di norme di validità, ovvero di norme che attengono alla struttura, al contenuto intrinseco del contratto o che impongano determinate condizioni di liceità della stipulazione, quali particolari autorizzazioni amministrative, ovvero l’iscrizione di uno o entrambi i contraenti in appositi albi o registri. Differentemente, le norme che vietano determinati comportamenti – come quelle che proibiscono condotte anticoncorrenziali – seppure siano volte alla tutela di interessi generali superiori, non sono norme di validità, ma norme di responsabilità. La violazione di queste ultime, in assenza di un’esplicita previsione normativa, non può comportare nullità del contratto, ma consente la possibilità di avvalersi di diversi rimedi quali quello risarcitorio.
Al di là della suesposta – e degna di nota – tesi che nega ancora l’utilizzo della categoria della nullità per i contratti che riproducono le clausole ABI, l’eccezione in trattazione andrebbe comunque rigettata atteso che, anche ove fosse corretto fare ricorso alla categoria della nullità, la stessa non potrebbe che considerarsi parziale e, quindi, riguardare le sole clausole indicate come contrarie alla normativa antitrust.
In applicazione del generale principio di cui all’art. 1419 c.c., infatti, affinché la nullità di una clausola comporti nullità dell’intero contratto, occorre dimostrare che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità.
Nel caso di specie, i contratti di fideiussione stipulati dagli odierni opponenti non possono dirsi interamente nulli, in quanto, da una parte, la banca avrebbe in ogni caso concluso il contratto, posto che per essa l’alternativa sarebbe stata quella dell’assenza completa di fideiussioni, con minor garanzia dei propri crediti; dall’altra, gli opponenti, che prestavano fideiussione, non allegavano alcuna ragione per cui l’assenza di tali clausole li avrebbero indotti a non stipulare le fideiussioni; circostanza peraltro da escludere trattandosi di clausole poste nell’interesse della Banca.
Pertanto, anche optando per la tesi della nullità, come affermata dalla Cassazione, tale nullità (parziale) non avrebbe alcuna rilevanza nel caso di specie, in quanto non pregiudicherebbe il restante contenuto dei contratti, che rimangono titolo valido ai fini della pretesa creditoria vantata dall’opposta.
Né la nullità delle clausole sopra indicate assumerebbe rilevanza – in concreto – nel rapporto oggetto di causa; sul punto – peraltro – nulla gli opponenti hanno allegato.
Alla luce delle superiori considerazioni l’eccezione di nullità delle fideiussioni va rigettata.
Entrando nel merito della fondatezza dell’opposizione, si rileva che con l’opposizione a decreto ingiuntivo si instaura un ordinario giudizio di cognizione nel quale il Giudice deve verificare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’opposto. In tale giudizio l’opposto assume la posizione sostanziale di attore, mentre, l’opponente assume la posizione sostanziale di convenuto, e dunque ha l’onere di contestare il diritto azionato con il ricorso monitorio, facendo valere l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda o l’esistenza di fatti estintivi o modificativi di tale diritto (v. ex multis, Cass. Sez. 1, n. 2421 del 03.02.2006).
Tale principio deve essere coordinato con quanto affermato dalle Sezioni Unite in ordine all’onere della prova in materia contrattuale: spetta al creditore, odierno opposto, la prova del titolo da cui risulta il credito fatto valere e l’allegazione dell’inadempimento, mentre è onere del debitore dare prova dell’avvenuto adempimento o di fatti estintivi dell’obbligazione (v. Cass. SS.UU. n. 13533 del 30.10.2001).
Ebbene, nel caso di specie, nel corso della fase monitoria la ricorrente Banca fondava la propria domanda sulla base della seguente documentazione (riprodotta nel giudizio di opposizione): atto di accettazione alla proposta della Banca, sottoscritto in data 18.10.2004, dalla società, recante la modifica alle norme che regolavano il c/c n. omissis (doc. 3, comparsa di costituzione e risposta); concessione di finanziamento del 14.11.2017 sottoscritta dalla stessa società (doc. 1, comparsa di costituzione e risposta); certificazione del credito ex art. 50 del d.lgs. 385/93, estratti conto dal 2001 al 2013 (doc. 6, comparsa di costituzione e risposta); contratti di fideiussione sottoscritti, in data 07.10.2002, dagli odierni opponenti Correntisti (docc. 7 e 8, parte opposta).
Pertanto, in sede monitoria, la parte opposta produceva documentazione idonea a dimostrare il proprio credito, sia sotto il profilo dell’an che del quantum debeatur.
In particolare, con riferimento alla prova del credito derivante dal contratto di conto corrente, la Banca depositava gli estratti conto relativi al rapporto contrattuale: dal punto di vista probatorio, gli ordinari estratti conto – che riportano le movimentazioni debitorie e creditorie intervenute ciascuno dall’ultimo saldo, con le condizioni attive e passive praticate dalla banca – sono idonei a fungere da prova anche nella fase dell’opposizione (v. Cass. Sez. I, n. 12233 del 20.08.2003).
A fronte di tali allegazioni della creditrice opposta, le odierne parti opponenti si limitavano a effettuare generiche contestazioni non ancorate a specifici dati concreti. Gli opponenti contestavano in modo generico le pretese creditorie connesse al conto corrente e le risultanze degli estratti relativi al c/c n. omissis, asserendo l’incompletezza di questi ultimi.
Nondimeno, gli estratti conto in atti, a differenza di quanto affermato dalle parti opposte (v. pag. 4, atto di opposizione), risultano muniti dell’indicazione dei tassi di interesse passivi applicati e dei conti scalari.
Ne consegue che, in assenza di un’indicazione precisa delle asserite – ma non riscontrate – lacune, gli estratti conto prodotti mantengono la loro piena efficacia probatoria, potendo gli stessi essere disattesi solo in presenza di circostanziate contestazioni (v. Cass. Sez. I, n. 12169 del 15.09.2000).
Sotto altro punto di vista parte opponente non spiega né prova l’incompletezza degli estratti conto e la ragione per cui il primo saldo dovrebbe essere ricondotto a “zero”.
In merito alla prospettata indebita applicazione di interessi anatocistici, gli opponenti si dolevano del mancato adeguamento alla delibera del CICR del 09.02.2000 pubblicata sulla G.U. del 22.02.2000.
Il CICR, con la suddetta delibera, rimetteva alla volontà delle parti dei contratti di conto corrente, la determinazione della periodicità degli interessi, disponendo, tuttavia, che dovesse esservi la medesima periodicità sia per gli interessi a credito, che per quelli a debito.
Con riferimento alla fase del rapporto contrattuale antecedente al 18.10.2004, la parte non produceva alcun elemento idoneo a poter determinare la presenza di un fenomeno anatocistico, né per poter valutare un adeguamento o meno alla delibera del CICR. Si rende così necessario rigettare la richiesta di rimessione in istruttoria della causa per disporre una CTU su voci di anatocismo non specificamente identificate dalle parti opponenti.
Concentrando, poi, l’esame su quanto prodotto in atti e quindi, su quanto stipulato a partire 18.10.2004, emerge, a differenza di quanto asserito dagli opponenti, che il contratto sottoscritto dalla società è conforme alla delibera del CICR. Invero, all’art. 7 del contratto è prevista la capitalizzazione degli interessi passivi e attivi nella stessa periodicità trimestrale. Tale clausola, inoltre, risulta essere specificamente approvata per iscritto (v. pag. 12, doc. 3, comparsa di risposta).
Inoltre, nel caso di specie, a nulla rileva che l’art. 1, comma 629, della L n. 147 del 2013, modificando il secondo comma dell’art. 120 TUB, così come interpretato dalla giurisprudenza, abbia introdotto l’esclusione dell’anatocismo nei rapporti bancari, posto che gli estratti conto su cui si fonda il credito vantato dalla banca, sono relativi a un periodo precedente al 01.01.2014, data di entrata in vigore della nuova normativa.
Ugualmente generica a priva della necessaria specificità con riferimento al caso concreto è l’eccezione relativa all’asserita illegittima applicazione di “interessi ultralegali, spese ed oneri e quant’altro addebitate indebitamente”.
L’opposizione va rigettata anche rispetto al credito vantato in base al contratto di finanziamento del 14.11.2007.
La Banca nella fase monitoria produceva il contratto di finanziamento e allegava l’inadempimento da parte del creditore principale (società) e degli altri fideiussori, assolvendo così il suoi oneri di allegazione e probatori.
Gli opponenti, dalla loro parte, nel giudizio di cognizione non davano prova di alcun fatto estintivo o modificativo del rapporto principale, né dei rapporti di garanzia di cui sono parte. Essi, infatti, si limitavano ad affermare la non idoneità della certificazione ex art. 50 TUB ad assumere valore di piena prova nel giudizio di opposizione.
Inoltre, deve essere rigettata l’eccezione circa l’indeterminatezza delle somme dovute alla Banca sulla base del contratto di finanziamento.
Invero, risulta dettagliata la descrizione del quantum debeatur e delle voci che compongono il credito derivante dal mancato pagamento delle rate del suddetto finanziamento: dalla certificazione del credito, datata 10.01.2014, risultava che la prima rata non pagata era la n. 50, con scadenza 14.01.2012, e che erano rimaste non pagate le successive 23 rate; pertanto, rispetto all’importo originario del mutuo di € 80.000,00 residuava un’esposizione globale di € 34.218,92, di cui € 32.993,42 per rate impagate, per interessi di mora es. precedente ed € 27.12 per interessi di mora es. corrente, con dietimo per interessi di mora di € 2,71.
Infine, generica e indeterminata è l’eccezione relativa all’applicazione di interessi usurari nel contratto di fideiussione. Le parti opponenti non fornivano concreti elementi a sostegno della violazione. Ciò comportava, in sede istruttoria, la decisione circa l’inammissibilità della CTU, in quanto avrebbe avuto una finalità meramente esplorativa.
A seguito del successivo svolgimento del processo rimanevano inalterati i termini della doglianza in ordine ai tassi usurari, pertanto va rigettata la richiesta di rimessione della causa in istruttoria al fine effettuare la CTU contabile sull’applicazione di tassi usurari.
Visto il mancato assolvimento degli oneri probatori che gravavano in capo agli odierni opponenti, l’opposizione, infondata, va rigettata e il decreto ingiuntivo opposto confermato.
Le spese seguono la soccombenza, e vanno, pertanto, poste a carico delle parti opponenti.
P.Q.M.
Il Tribunale di Ancona, definitivamente pronunciando sulle domande proposte dalle parti, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, così provvede:
1) rigetta l’opposizione proposta da Correntisti;
2) conferma il decreto ingiuntivo n. omissis/2015 emesso dal Tribunale di Ancona, in data 16.03.2015 che dichiara esecutivo;
3) condanna Correntisti al pagamento delle spese di lite in favore di Banca, liquidate in euro 13.430,00, per compenso professionale, oltre rimborso forfettario al 15%, IVA e CPA come per legge.
Ancona, il 14.12.2018
Il Giudice
Dott. Andrea Ausili
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno