Ai fini dell’interruzione del processo, il verificarsi di uno degli eventi previsti dall’art. 300 c.p.c. produce effetto solo se il procuratore della parte, cui si riferisce l’evento interruttivo, lo dichiari in udienza o lo notifichi alle altre parti, senza che assuma rilievo la circostanza che l’evento interruttivo risulti dalla documentazione agli atti del processo (nella specie cancellazione di una società dal registro delle imprese), atteso che la valutazione dell’effettivo verificarsi di un danno in caso di prosecuzione del processo può essere utilmente compiuta solo dal procuratore; ne consegue che la relativa la questione di illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost. è manifestamente infondata.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, sez. II civ, Pres. Mazzacane – Rel. Sabato, con la sentenza n. 10048 del 24.04.2018.
Il caso fa riferimento ad una causa vertente fra un condominio e altri soggetti, fra cui la società venditrice, quella appaltatrice, l’ingegnere progettista e il direttore dei lavori, volta ad ottenere il risarcimento per gravi difetti e vizi dell’immobile. Ciò che in particolare viene in rilievo con questa sentenza, però, sono le conseguenze processuali in seguito alla cancellazione dal registro delle imprese di una società. Nel caso di specie, infatti, una delle società convenute in giudizio di fatto era estinta, tanto che nel primo motivo del ricorso per Cassazione, l’ex socio solleva proprio tale questione.
La cancellazione di una società dal registro delle imprese rappresenta un caso di perdita della capacità di stare in giudizio ex art. 299 cpc, al quale consegue l’interruzione del processo. Questa pronuncia della Suprema Corte, uniformandosi all’orientamento che negli ultimi anni si è andato consolidando, ha ritenuto che fuori dalla c.d. interruzione automatica, l’art. 300 cpc subordina l’interruzione del processo alla coesistenza di due elementi essenziali: a) l’evento interruttivo; b) la dichiarazione formale del verificarsi dell’evento. Se manca uno dei due elementi, l’interruzione, se pronunciata, è nulla. La dichiarazione dell’evento deve essere formale. In questo modo, si avrebbe un’interruzione del processo, se comunicata dal difensore della parte, seguendo la stessa procedura prevista negli altri casi disciplinati dall’art. 300 cpc (ad esempio morte o perdita di capacità della parte costituita). La conseguenza di tale arresto giurisprudenziale è la configurazione del fenomeno di ultra-attività della procura alla lite. Per cui, ad esempio, notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, ex art. 285 c.p.c., è idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione nei confronti della parte deceduta, il medesimo procuratore è legittimato a proporre impugnazione ed è ammissibile la notificazione dell’impugnazione presso di lui.
A fare da apripista a questo “nuovo” orientamento sono state le Sezioni Unite, con la sentenza n. 6070 del 2013. Tale pronuncia ha infatti specificato che “la cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società medesima, preclude che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio. Nell’ipotesi in cui l’estinzione della società cancellata dal predetto registro intervenga in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. cpc, con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci. Viceversa, laddove l’evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dagli articoli citati o si sia verificato allorquando non sarebbe stato più possibile farlo constare in quei modi, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena di inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta”. Successivamente, la Cassazione (sent n. 23141 del 2014) ha ribadito il principio secondo il quale “è necessaria la dichiarazione dell’evento interruttivo ad opera del difensore costituito quando l’evento consista nella cancellazione della società dal registro dell’imprese”. E’ stata così stabilizzata la posizione giuridica e processuale del difensore.
Il nostro regime processuale, infatti, nell’ottica delle indicazioni fornite anche dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 349 del 2003, rimette, salvi i casi di interruzione c.d. automatica, alla dichiarazione del difensore costituito, conferendogli un diritto potestativo processuale, la valutazione dell’effettivo verificarsi di un danno in caso di prosecuzione del processo, atteso che detta valutazione “può essere utilmente compiuta solo dal procuratore di detta parte, cui perciò è logicamente rimesso il potere di decidere se provocare o meno l’interruzione, e non potrebbe invece essere attribuita ad altri, nè tantomeno al giudice, che altrimenti si sostituirebbe alla parte nell’esercizio di un diritto potestativo processuale”.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
SOCIETÀ CANCELLATE DAL REGISTRO IMPRESE = EFFETTI PROCESSUALI
LE SEZIONI UNITE SI PRONUNCIANO SULLA SORTE DEI RAPPORTI GIURIDICI PENDENTI DELLE SOCIETÀ ESTINTE PER CANCELLAZIONE DAL REGISTRO DELLE IMPRESE.
Sentenza | Sentenza Cassazione civile, Sezioni Unite | 12.03.2013 | n.6070
CANCELLAZIONE VOLONTARIA SOCIETA’: ILLEGITTIMA LA PROSECUZIONE DEL GIUDIZIO SE EFFETTUATA IN PENDENZA DELLO STESSO
SI CONFIGURA RINUNCIA TACITA ALLA PRETESA RELATIVA AL CREDITO, ANCORCHÉ INCERTO ED ILLIQUIDO
Ordinanza | Tribunale di Roma, Giudice Fabrizio Gandini | 08.06.2018 |
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