Provvedimento segnalato dall’Avv. Domenica Onofrio
E’ configurabile il reato di appropriazione indebita a carico del cointestatario di un conto corrente bancario il quale, pur se facoltizzato a compiere operazioni separatamente, disponga in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito degli altri cointestatari, della somma in deposito in misura eccedente la quota parte da considerarsi di sua pertinenza, in base al criterio stabilito dagli artt.1298 e 1854 cd. civ. secondo cui le parti di ciascun concreditore solidale si presumono, fino a prova contraria, uguali.
IL CASO
L’imputata era cointestataria insieme alla de cuius di un libretto nominativo postale. Al momento del decesso, l’imputata si reca presso l’Ufficio postale e ritira l’intero importo ritenendo di esserne divenuta l’unica titolare.Gli eredi danneggiati dalla condotta della cointestataria denunciano tale fatto all’Autorità Giudiziaria. L’imputata in primo grado viene condannata alle pena di giustizia di mesi tre ed euro 500 di multa.Il Giudice di appello ribalta la sentenza di primo grado ed assolve l’imputata. Il Giudice di legittimità annulla la sentenza impugnata ai soli effetti civili e rinvia al giudice civile competente in grado di appello.
IL COMMENTO
Integra il delitto di appropriazione indebita, ai sensi dell’art. 646 c.p., la condotta del cointestatario del conto corrente bancario che dispone per intero della somma pur se a titolo di compossesso pro indiviso, è quanto ribadito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 1631/10.
La Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, ha annullato con rinvio la sentenza della Corte di appello di Firenze che aveva assolto l’imputata condannata in primo grado per il reato di cui all’art 646 c.p., per aver quale cointestataria di un libretto postale, provveduto, subito dopo la morte dell’altra cointestataria, al ritiro presso l’Ufficio postale dell’intero importo, procurando a sé un ingiusto profitto a danno degli eredi.
La Corte di appello di Firenze assolve, invece, l’imputata ritenendo sussistente in capo alla defunta l’animus donandi in favore della cointestataria del libretto postale.
La condotta dell’imputata secondo il Giudice di appello sarebbe giustificata da una norma extrapenale, nella specie, dall’applicazione della norma di diritto civile in tema di altruità della cosa, ritenendo la cointestazione del libretto di deposito nominativo a firma disgiunta, indice obiettivo di animus donandi.
La Corte di legittimità, contrariamente, ha ritenuto che in assenza di una prova evidente che la cointestazione del libretto di risparmio postale integrasse una donazione indiretta della de cuius, essendo la prova dell’animus donandi non in re ipsa, l’imputata non avrebbe potuto disporre per intero della somma ma solo pro quota.
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