Nella procedura coattiva di riscossione delle imposte,cd procedura esattoriale, lo Stato non può acquistare il bene ad UN PREZZO INFERIORE A QUELLO FISSATO NEL TERZO INCANTO stante la l’illegittimità costituzionale dell’art. 85, comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973, nella parte in cui prevede che, se il terzo incanto ha esito negativo, l’assegnazione dell’immobile allo Stato abbia luogo “per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede”, anziché per il prezzo base del terzo incanto.
IL COMMENTO
La pronuncia trae origine dalla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Forlì, nell’ambito di una procedura di riscossione coattiva di crediti tributari effettuata mediante esproprio immobiliare, relativamente all’art. 85 comma 1 dpr n. 602/73 (“disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito”).
Detta norma prevede che se il terzo incanto ha esito negativo, il concessionario, nei dieci giorni successivi, chiede al giudice dell’esecuzione l’assegnazione dell’immobile allo Stato per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede.
La questione di costituzionalità è stata sollevata sul presupposto che la norma sarebbe illegittima nella parte in cui prevede l’assegnazione allo Stato per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per cui si procede, anziché per il prezzo base del terzo incanto.
La Corte Costituzionale, con la citata sentenza, ha dichiarato fondata la questione di illegittimità costituzionale, osservando che la disciplina della riscossione coattiva delle imposte non pagate, deve rispondere all’esigenza di pronta realizzazione del credito fiscale ed è caratterizzata, per tale finalità, dalla particolare speditezza della procedura.
In tale ottica il legislatore aveva previsto con l’art. 85 dpr 602/73 che, in caso di tre incanti con ribasso conclusisi negativamente, il bene fosse assegnato allo Stato per il prezzo costituito dalla somma per cui si procede, e ciò al fine di assicurare un ricavo rapido dalla procedura di esproprio, anche in caso di impossibilità di collocare l’immobile sul mercato.
Secondo la Corte Costituzionale la norma prevedeva una disciplina irragionevole in quanto la misura del prezzo del trasferimento risultava totalmente svincolata dal valore del bene, con la conseguenza che l’immobile poteva essere assegnato anche per un prezzo irrisorio, di gran lunga inferiore al reale valore.
E’ da considerare, secondo la Corte, che la finalità della procedura è quella di trasformare il bene in denaro al fine di soddisfare i creditori, ma non di penalizzare ingiustamente il debitore sottoposto ad esproprio.
L’ammontare del credito tributario per cui si è instaurata la procedura può essere di gran lunga inferiore non solo al valore dell’immobile, ma anche al prezzo base del terzo incanto, per cui tale valore non può essere individuato quale criterio di determinazione del prezzo di assegnazione in caso di esito infruttuoso delle vendite.
Per tali ragioni la Corte ha ritenuto di eliminare l’irragionevolezza della norma abolendo il “criterio del minor prezzo” ed applicando per tutte le ipotesi di assegnazione dell’immobile allo Stato, nel caso di deserzione del terzo incanto, l’altro parametro di assegnazione previsto dallo stesso art. 85, comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973, ovvero quello del prezzo base del terzo incanto.
In conclusione, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3 Cost., in relazione al principio di ragionevolezza, dell’art. 85, comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973, nella parte in cui prevede che, se il terzo incanto ha esito negativo, l’assegnazione dell’immobile allo Stato ha luogo “per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede”, anziché per il prezzo base del terzo incanto.
LA SENTENZA
LA CORTE COSTITUZIONALE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 85, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) promossi dal Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Forlì con ordinanza del 2 agosto 2010 e dal Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Torino con ordinanza del 31 maggio 2010,
FATTO
Nel corso di una procedura di riscossione coattiva di crediti tributari effettuata mediante espropriazione immobiliare e promossa nei confronti di un contribuente dalla EQUITALIA, agente della riscossione, il Giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Forlí, con ordinanza depositata il 2 agosto 2010 (r.o. n. 380 del 2010), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 42 e 53 della Costituzione, questioni di legittimità dell’art. 85, comma 1, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) − secondo cui “Se il terzo incanto ha esito negativo, il concessionario, nei dieci giorni successivi, chiede al giudice dell’esecuzione l’assegnazione dell’immobile allo Stato per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede, depositando nella cancelleria del giudice dell’esecuzione gli atti del procedimento” −, “nella parte in cui prevede che l’assegnazione allo Stato abbia luogo “per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede”, anziché “per il prezzo base del terzo incanto””.
Il Giudice dell’esecuzione rimettente riferisce, in punto di fatto, che:
a) la EQUITALIA aveva promosso “esecuzione esattoriale” immobiliare per crediti tributari dello Stato, pari ad € 59.466,41, risultanti dagli estratti di ruolo prodotti in giudizio;
b) la procedura di riscossione si era svolta regolarmente con la trascrizione dell’avviso di vendita dell’immobile, la sua notificazione al debitore e l’effettuazione di tre incanti andati deserti;
c) la base d’asta del terzo incanto era stata di € 79.454,67;
d) l’agente della riscossione aveva chiesto, ai sensi dell’art. 85 del d.P.R. n. 602 del 1973, l’assegnazione dell’immobile pignorato allo Stato per il prezzo costituito dall’importo dei sopra indicati crediti tributari dello Stato, inferiore alla base d’asta del terzo incanto;
e) erano intervenuti nell’esecuzione la RISCOSSIONI LOCALI SPA, per un credito di € 1.628,58, la CASSA DEI RISPARMIO per un credito di € 1.941,15 e la stessa EQUITALIA con due interventi per crediti, rispettivamente, di € 2.581,72 e di € 6.296,79.
Il medesimo giudice rimettente premette poi, in punto di diritto, che:
a) in base al comma 2 dell’art.85 del d.P.R. n. 602 del 1973 (secondo cui, a séguito dell’istanza dell’agente della riscossione di assegnazione dell’immobile allo Stato, il giudice dell’esecuzione, in caso di esito negativo del terzo incanto, “dispone l’assegnazione”), il giudice dell’esecuzione non ha il potere discrezionale di non far luogo all’assegnazione allo Stato né può rifiutare l’emissione del decreto di trasferimento quando lo Stato abbia versato il prezzo nel termine fissato dallo stesso giudice;
b) tale assegnazione ha natura “sostitutiva” della vendita forzata ed il prezzo versato dallo Stato, pari alla minor somma tra la base d’asta del terzo incanto ed il credito tributario per il quale si procede, è acquisito alla massa attiva di cui all’art.509 del codice di procedura civile ed assegnato all’esattore ovvero distribuito tra l’esattore e gli eventuali concorrenti, in ragione delle rispettive cause di prelazione (art. 84 del d.P.R. n. 602 del 1973; art. 596 cod. proc. civ.);
c) l’indicata disciplina esclude sia la corresponsione di conguagli a carico dello Stato sia l’incremento del prezzo di assegnazione nel caso di differenza tra il minore importo del credito tributario per cui si procede e la maggiore base d’asta del terzo incanto;
d) il “credito per cui si procede”, menzionato dalla disposizione denunciata, è esclusivamente quello tributario, senza che rilevino i diversi crediti eventualmente concorrenti al riparto ed aventi prelazione anteriore a quelli dell’esattore, considerato che l’art.85 del d.P.R. n. 602 del 1973 non rinvia né all’art. 589 cod. proc. civ. (secondo cui “l’istanza di assegnazione deve contenere l’offerta di pagamento di una somma non inferiore a quella prevista nell’art. 506”) né all’art. 506 cod. proc. civ. (il quale indica, per l’assegnazione, “un valore non inferiore alle spese di esecuzione e ai crediti aventi diritto a prelazione anteriore a quello dell’offerente”);
e) siffatta interpretazione del menzionato quadro normativo e, in particolare, della disposizione denunciata è “l’unica possibile, non essendo prospettabile un’interpretazione costituzionalmente orientata della stessa”.
Sulla base di tali premesse, il giudice a quo afferma, in punto di non manifesta infondatezza, che la disposizione denunciata, “nella parte in cui prevede che l’assegnazione allo Stato abbia luogo “per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede”, anziché “per il prezzo base del terzo incanto””, si pone in contrasto:
a) con gli artt. 3 e 53 Cost., per “violazione dei principi di ragionevolezza rispetto ai mezzi e allo scopo e di uguaglianza in sé, e in relazione al principio di capacità contributiva”;
b) con gli artt. 3 e 42 Cost., per l’”irragionevole determinazione del prezzo per l’assegnazione coattiva”.
Con riferimento alla dedotta violazione degli artt. 3 e 53 Cost., il rimettente osserva che la disciplina denunciata presenta tre diversi profili di contrasto con la Costituzione, in quanto:
a) il parametro del credito tributario per cui si procede non è idoneo a stabilire un ragionevole prezzo di acquisto coattivo dell’immobile;
b) irragionevolmente “ceteris paribus premia l’accumulazione del debito” tributario;
c) non trova giustificazione nell’adempimento dell’obbligazione tributaria e, quindi, víola il principio di capacità contributiva.
Sotto il primo profilo, il giudice a quo assume che, secondo ragione, l’assegnazione dell’immobile allo Stato, in quanto sostitutiva della vendita, potrebbe avvenire solo con il versamento del prezzo ribassato che funge da base d’asta del terzo incanto (anche a tener conto delle particolari esigenze pubblicistiche sottostanti all’esecuzione esattoriale) e non certo del prezzo corrispondente alla misura del credito tributario per il quale si procede; ammontare, questo, che costituisce una “variabile indipendente dal valore dell’immobile […] neppure indirettamente collegata” con esso. Sotto il secondo profilo, prosegue il medesimo giudice, la disciplina denunciata è irragionevole, perché “premia” il contribuente che ha un debito tributario di ammontare superiore alla base d’asta, mentre sfavorisce il contribuente debitore di tributi per un ammontare complessivo inferiore a detta base, il quale, a séguito dell’assegnazione del suo immobile allo Stato, subisce, “oltre alla perdita dell’immobile, anche l’ulteriore falcidia rappresentata dalla differenza tra base d’asta e tributo insoluto”. Sotto il terzo profilo, sempre ad avviso del rimettente, la fissazione del prezzo di assegnazione dell’immobile in base al criterio della minor somma tra base d’asta del terzo incanto e credito tributario per cui si procede, pur non avendo la funzione di sanzionare l’inadempienza del contribuente, tuttavia impone a quest’ultimo – nell’evenienza, meramente casuale, che il debito tributario sia inferiore al prezzo base del terzo incanto – di subire un sacrificio patrimoniale superiore (per la misura pari alla differenza tra la base d’asta ed il debito tributario) a quello commisurato alla sua capacità contributiva e, quindi, a quello corrispondente all’obbligazione tributaria (e relativi accessori), come accertata e risultante dall’estratto di ruolo. Al riguardo, il giudice a quo sottolinea che il principio di capacità contributiva è applicabile anche nella fase della riscossione dei tributi, perché il citato “art. 53 comma 1 Cost. non distingue il momento fisiologico dell’adempimento dalle patologie del rapporto di imposta” e perché “il concorso alle spese pubbliche si attua con l’adempimento, spontaneo o coattivo che sia, della pretesa tributaria”.
Con riferimento alla dedotta violazione degli artt.3 e 42 Cost., il rimettente osserva che l’assegnazione dell’immobile allo Stato ad un prezzo pari all’ammontare del credito tributario e, quindi, inferiore al prezzo base del terzo incanto, non costituisce il “serio ristoro” che la giurisprudenza costituzionale richiede per l’indennizzo da corrispondersi in caso di espropriazione per pubblica utilità ai sensi del terzo comma dell’art. 42 Cost. (cita, in proposito, le sentenze di questa Corte n. 348 del 2007 e n. 5 del 1980).
Il principio “del serio ristoro”, secondo il giudice a quo, pur se previsto per l’indennizzo a séguito di espropriazione per pubblica utilità o di altri atti ablatori disposti dalla pubblica amministrazione, è applicabile anche nell’ipotesi del trasferimento coattivo della proprietà privata di cui al caso di specie, perché “quando lo Stato esercita la potestà, con determinazione unilaterale e fuori da un contesto negoziale, di acquistare un bene privato, il corrispettivo dello scambio deve essere “congruo, serio ed adeguato” ossia deve assumere a parametro – pur potendo discostarsene al ribasso per contemperare interessi pubblici e privati – “il valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso” (Corte cost. 30.1.1980 n. 5) e non può legittimamente basarsi su “elementi del tutto sganciati da tale dato” (Corte cost. 24.10.2007 n. 348)”.
Il rimettente deduce, poi, che per la risoluzione della questione sollevata non soccorre l’ordinanza n. 383 del 1988, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 87 e 51 del d.P.R. n. 602 del 1973, nel testo vigente ratione temporis, nella parte in cui, attribuendo all’esattore il potere di procedere all’espropriazione forzata anche quando il debitore sia dichiarato fallito o sottoposto a liquidazione coatta amministrativa, “consentono che la procedura esattoriale possa concludersi con la devoluzione del bene allo Stato per il minor prezzo tra quello dell’incanto e l’ammontare dell’imposta per cui ha avuto luogo l’esecuzione”. Per il giudice a quo, infatti:
a) i parametri della questione già decisa dalla Corte (artt. 3, 24, 97 e 113 Cost.) sono diversi da quelli oggi prospettati (artt. 3 e 53 Cost; artt. 3 e 42 Cost.), come sono diverse le questioni;
b) a séguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337), il quadro normativo dell’esecuzione esattoriale è significativamente mutato e, in particolare, l’allora vigente art. 90 del d.P.R. n. 602 del 1973 – il quale, prevedendo il diritto di riscatto dell’immobile aggiudicato o devoluto allo Stato, consentiva di evitare la falcidia del patrimonio del debitore rappresentata dalla differenza tra base d’asta e pretesa tributaria rimasta insoluta – è stato abrogato;
c) anche se permane la facoltà del debitore o di un terzo di adempiere il debito estinguendo il processo esecutivo, purché esercitata prima dell’assegnazione (art. 61 del d.P.R. n. 602 del 1973; art. 187-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile), tale facoltà è meramente eventuale;
d) comunque, “anche il contribuente inadempiente […] ha diritto a non subire la falcidia del suo patrimonio” conseguente all’applicazione della disposizione denunciata.
Quanto alla rilevanza, il Giudice dell’esecuzione, dopo avere ribadito che l’interpretazione della disposizione denunciata sopra indicata è “l’unica possibile” e che non è prospettabile un’interpretazione costituzionalmente orientata della stessa, afferma che, ove non intervenisse la richiesta dichiarazione di illegittimità costituzionale, sussisterebbero tutte le condizioni per far luogo all’assegnazione allo Stato dell’immobile per un prezzo pari alla “somma per la quale si procede”.
È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.
Quanto al dubbio prospettato dal rimettente in ordine alla ragionevolezza della denunciata disposizione, “rispetto allo scopo e al principio di uguaglianza”, la difesa dello Stato afferma che la scelta del legislatore di prevedere l’assegnazione dell’immobile allo Stato per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede “non risulta irragionevole”, tenuto conto che:
a) le argomentazioni utilizzate dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 383 del 1988 per dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimità degli artt.87 e 51 del d.P.R. n.602 del 1973, nella formulazione vigente prima della riforma attuata con il d.lgs. n. 46 del 1999, sono valide anche nell’”attuale contesto normativo in parte mutato” e nonostante la “diversa prospettazione della questione da parte del giudice a quo”;
b) il rimettente non ha considerato né che il prezzo base del terzo incanto non può costituire un “utile parametro di riferimento”, considerato che per quel prezzo l’immobile “non è risultato “appetibile” sul mercato” né che “per lo Stato la devoluzione rappresenta un “acquisto coattivo”” di detto immobile, con la conseguenza che “L’accoglimento della questione comporterebbe per lo Stato l’acquisto (coattivo) di un immobile ad un valore risultato non appetibile sul mercato, ossia un esito che non potrebbe ritenersi congruo e ragionevole”;
c) l’istituto censurato è “preordinato a fronteggiare la invendibilità del bene esecutato evitando che la procedura esecutiva si estingua per mancanza di offerte e non è pregiudizievole per i creditori, che partecipano comunque alla distribuzione del ricavato dall’assegnazione, potendo essi stessi partecipare agli incanti”.
Quanto al parametro di cui all’art. 53 Cost., l’Avvocatura generale dello Stato afferma che esso non è conferente, nella specie, atteso che il principio di capacità contributiva “attiene alla genesi dell’obbligazione tributaria, ovvero al momento in cui si verifica il presupposto dell’imposizione” (cita, in proposito, la sentenza di questa Corte n. 172 del 1986, nonché le ordinanze n. 181 del 2007, n. 252 del 1985 e n. 367 del 1983) e non riguarda la “fase patologica dell’obbligazione tributaria”, ossia la “fase della riscossione di somme già resesi definitive”, nella quale invece si inserisce la disposizione denunciata.
Priva di fondamento è, infine, secondo la medesima Avvocatura generale, anche la questione sollevata in riferimento all’art.42 Cost., perché detto parametro riguarda l’istituto dell’espropriazione per motivi di interesse generale, che fa sorgere, in capo all’espropriato, un interesse legittimo all’indennizzo, e non quello, ad essa estraneo, dell’espropriazione forzata (vengono richiamate le sentenze di questa Corte n. 13 del 1971; n. 93 del 1964; n. 42 del 1964).
Nel corso di una procedura di riscossione coattiva di crediti tributari effettuata mediante espropriazione immobiliare e promossa nei confronti di un contribuente dalla EQUITALIA agente della riscossione per la provincia di Torino, il Giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Torino, con ordinanza pronunciata il 18 maggio 2010 e depositata il successivo 31 maggio 2010 (r.o. n. 5 del 2011), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 42 e 53 Cost., questioni di legittimità dell’art. 85, comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973, “nella parte in cui prevede che l’assegnazione allo Stato abbia luogo “per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede”, anziché “per […] il prezzo base del terzo incanto””.
Il Giudice dell’esecuzione rimettente riferisce, in punto di fatto, che:
a) il suddetto agente della riscossione aveva promosso “esecuzione esattoriale” immobiliare per crediti tributari dello Stato, pari ad € 48.621,49, risultanti dagli estratti di ruolo prodotti in atti;
b) la procedura di riscossione si era svolta regolarmente, con la trascrizione dell’avviso di vendita dell’immobile, la sua notificazione al debitore e l’effettuazione di tre incanti andati deserti;
c) la base d’asta del terzo incanto era stata di € 145.331,76;
d) l’agente della riscossione aveva chiesto, ai sensi dell’art. 85 del d.P.R. n. 602 del 1973, l’assegnazione dell’immobile pignorato allo Stato per il prezzo costituito dall’importo dei sopra indicati crediti tributari dello Stato, inferiore alla base d’asta del terzo incanto;
e) era intervenuto nell’esecuzione il “creditore sequestrante Fallimento AEDIFICA S.r.l.”;
f) la causa era stata trattenuta a riserva, per provvedere sull’istanza di assegnazione.
Il Giudice dell’esecuzione prospetta questioni analoghe a quelle sollevate con l’ordinanza introduttiva del giudizio r.o. n. 380 del 2010, svolgendo argomentazioni sostanzialmente coincidenti con quelle esposte in detta ordinanza.
Quanto alla rilevanza, il Giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Torino – dopo avere anch’egli affermato che l’interpretazione della disposizione denunciata da lui seguita, analoga a quella esposta nell’ordinanza introduttiva del giudizio r.o. n. 380 del 2010, è “l’unica possibile” e che non è prospettabile un’interpretazione costituzionalmente orientata – afferma che, nella specie:
a) sussistono tutte le condizioni per far luogo all’assegnazione allo Stato dell’immobile per un prezzo pari alla “somma per la quale si procede”, invece che per il maggior importo del prezzo base del terzo incanto andato deserto;
b) solo per effetto della richiesta pronuncia di illegittimità costituzionale “l’istanza di assegnazione dovrebbe essere o respinta oppure accolta ma per il maggior prezzo previsto dall’art. 85 emendato”.
Anche in questo giudizio di legittimità costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, svolgendo considerazioni identiche a quelle esposte nell’atto di intervento nel giudizio iscritto al r.o. n.380 del 2010 e concludendo nel senso dell’infondatezza delle questioni.
DIRITTO
Con due ordinanze, di contenuto sostanzialmente identico, il Giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Forlí ed il Giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Torino dubitano della legittimità costituzionale dell’art. 85, comma 1, del d.P.R. 29 settembre 1973, n.602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), il quale, nel contesto della disciplina della riscossione coattiva delle imposte sul reddito effettuata mediante espropriazione immobiliare, dispone che: “Se il terzo incanto ha esito negativo, il concessionario, nei dieci giorni successivi, chiede al giudice dell’esecuzione l’assegnazione dell’immobile allo Stato per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede, depositando nella cancelleria del giudice dell’esecuzione gli atti del procedimento”.
La disposizione, applicabile solo “se si procede per entrate tributarie dello Stato” (art. 30, comma 1, del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, recante “Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337”), è denunciata “nella parte in cui prevede che l’assegnazione allo Stato abbia luogo “per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede”, anziché “per il prezzo base del terzo incanto””. Secondo i rimettenti, la disposizione denunciata contrasta con:
a) gli artt. 3 e 53 della Costituzione, per “violazione dei princípi di ragionevolezza rispetto ai mezzi e allo scopo e di uguaglianza in sé, e in relazione al principio di capacità contributiva”;
b) gli artt. 3 e 42 Cost., per l’”irragionevole determinazione del prezzo per l’assegnazione coattiva”.
Con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., i rimettenti prospettano tre distinti profili di illegittimità costituzionale. Con il primo, deducono che la disposizione denunciata víola gli evocati parametri perché l’entità della “somma per la quale si procede” − cioè del credito tributario posto a base dell’esecuzione − non costituisce un ragionevole prezzo di acquisto di un immobile, ma rappresenta una “variabile indipendente dal valore dell’immobile neppure indirettamente collegata” con esso, e ciò a differenza del “prezzo ribassato che funge da base d’asta del terzo incanto”. Con il secondo profilo, deducono l’irragionevolezza della disposizione perché questa, “ceteris paribus, premia l’accumulazione del debito”, favorendo il contribuente che ha un debito tributario di ammontare superiore alla base d’asta del terzo incanto e sfavorendo, invece, il contribuente debitore di tributi per un ammontare complessivo inferiore a detta base, il quale, a séguito dell’assegnazione del suo immobile allo Stato, subirebbe, “oltre alla perdita dell’immobile, anche l’ulteriore falcidia rappresentata dalla differenza tra base d’asta e tributo insoluto”. Con il terzo profilo, viene dedotto che la disposizione denunciata non trova giustificazione nell’adempimento dell’obbligazione tributaria e, quindi, víola il principio di capacità contributiva, imponendo al contribuente – nell’evenienza, meramente casuale, che il debito tributario sia inferiore al prezzo base del terzo incanto – di subire un sacrificio patrimoniale (in misura pari alla differenza tra la base d’asta del terzo incanto ed il debito tributario) superiore a quello commisurato all’obbligazione tributaria (e relativi accessori) e, quindi, a quello corrispondente alla sua capacità contributiva.
Con riferimento agli artt. 3 e 42 Cost., i giudici rimettenti sollevano questioni di legittimità sotto il profilo dell’”irragionevole determinazione del prezzo per l’assegnazione coattiva”, in quanto l’assegnazione dell’immobile allo Stato per un prezzo pari all’ammontare del credito tributario e, quindi, inferiore al prezzo base del terzo incanto, non rispetterebbe il principio del “serio ristoro” elaborato dalla giurisprudenza costituzionale per l’indennizzo da corrispondersi in caso di espropriazione per pubblica utilità; principio applicabile − sempre secondo i rimettenti − anche nell’ipotesi del trasferimento coattivo della proprietà privata di cui al caso di specie.
I due giudizi devono essere riuniti e congiuntamente decisi, perché prospettano identiche questioni di legittimità costituzionale.
Va preliminarmente rilevato che i rimettenti, nel sollevare le questioni di legittimità costituzionale, muovono da una non implausibile interpretazione della disposizione denunciata e, piú in generale, della disciplina dell’assegnazione dell’immobile allo Stato dettata dall’art. 85 del d.P.R. n. 602 del 1973. I giudici a quibus assumono, in particolare, che:
a) il giudice dell’esecuzione, in presenza dei presupposti richiesti dalla legge (cioè la deserzione del terzo incanto, nonché la richiesta del “concessionario” – oggi “agente della riscossione” – di assegnare l’immobile allo Stato per un prezzo pari al minor importo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede), non ha il potere discrezionale di non procedere all’assegnazione dell’immobile né può, quando lo Stato abbia versato il prezzo stabilito nel termine fissato dal giudice, rifiutare l’emissione del decreto di trasferimento;
b) l’assegnazione prevista dall’art. 85 del d.P.R. n. 602 del 1973 ha natura “sostitutiva” della vendita forzata ed il prezzo versato dallo Stato, pari alla minor somma tra la base d’asta del terzo incanto ed il credito tributario per il quale si procede, è acquisito alla massa attiva prevista dall’art.509 del codice di procedura civile e, a seconda dei casi, è assegnato all’agente della riscossione ovvero distribuito tra tale agente e gli eventuali concorrenti, in ragione delle rispettive cause di prelazione; c) la disposizione censurata esclude sia la corresponsione di conguagli a carico dello Stato sia l’incremento del prezzo di assegnazione nel caso di differenza tra il minore importo del credito tributario e la maggiore base d’asta del terzo incanto; d) ai fini della determinazione del prezzo di assegnazione, rileva il solo credito tributario dello Stato e non anche i diversi crediti eventualmente concorrenti al riparto ed aventi prelazione anteriore a quello erariale.
Tale ricostruzione del quadro normativo effettuata dai rimettenti, come anticipato, non è implausibile ed esclude la possibilità di interpretare la disposizione denunciata in modo da superare i prospettati dubbi di legittimità costituzionale.
Quanto al punto SUB A), LA NON IMPLAUSIBILITÀ dell’interpretazione che nega il potere discrezionale del giudice dell’esecuzione di rigettare la richiesta di assegnazione discende sia dalla lettera del comma 2 dell’art. 85 del d.P.R. n. 602 del 1973 (il quale prevede, senza consentire alcuna scelta all’autorità giudiziaria, che il giudice dell’esecuzione, dietro richiesta dell’agente della riscossione, “dispone l’assegnazione”); sia dal testo del comma 3 del medesimo art. 85 del d.P.R. n. 602 del 1973 (il quale − nel caso in cui lo Stato non abbia versato nel termine il prezzo di assegnazione del bene – attribuisce il potere di richiedere lo svolgimento di un quarto incanto esclusivamente al concessionario, ora agente della riscossione, “su indicazione dell’ufficio che ha formato il ruolo”, e quindi non consente al giudice dell’esecuzione di disporre d’ufficio un nuovo incanto).
La specialità del disposto del citato art. 85 del d.P.R. n. 602 del 1973 rispetto alla normativa generale sull’espropriazione forzata ordinaria comporta l’applicazione esclusiva della suddetta norma speciale, per effetto del disposto dell’art. 49, comma 2, del d.P.R. n. 602 del 1973 (secondo cui “Il procedimento di espropriazione forzata è regolato dalle norme ordinarie applicabili in rapporto al bene oggetto di esecuzione, in quanto non derogate dalle disposizioni del presente capo e con esso compatibili”), e rende perciò irrilevante accertare se, nel diverso àmbito dell’espropriazione forzata ordinaria, il giudice dell’esecuzione abbia il potere discrezionale di rigettare l’istanza di assegnazione. In particolare, il fatto che nella riscossione coattiva delle imposte sul reddito mediante espropriazione forzata immobiliare il legislatore ha determinato in una misura fissa e speciale il prezzo di assegnazione dell’immobile allo Stato (art. 85 del d.P.R. n. 602 del 1973) esclude che, in mancanza di una espressa previsione di legge, il giudice dell’esecuzione possa discrezionalmente valutare la congruità di detto prezzo. L’art. 85 del d.P.R. n. 602 del 1973 è incompatibile, quindi, con l’art. 586, primo comma, cod. proc. civ. che conferisce invece al giudice, nell’àmbito dell’esecuzione ordinaria, il potere discrezionale di valutare la congruità del prezzo e di sospendere la vendita quando lo ritenga notevolmente inferiore a quello giusto.
Quanto al punto SUB B), LA NON IMPLAUSIBILITÀ dell’interpretazione che afferma la natura “sostitutiva” della vendita forzata propria dell’assegnazione allo Stato prevista dal citato art. 85 del d.P.R. n. 602 del 1973 si desume dai commi 2 e 3 di detto articolo, i quali − nello stabilire che il prezzo per il quale è stata disposta l’assegnazione allo Stato deve essere versato nel termine previsto – implicitamente escludono che l’assegnazione possa qualificarsi “satisfattiva” o come una datio in solutum (cioè senza effettivo esborso di prezzo da parte del creditore) ovvero, ancora, come una assegnazione “mista” (cioè con versamento di conguaglio, ai sensi dell’art. 162 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, nel caso in cui il valore del bene assegnato superi il credito dell’assegnatario). La necessità dell’effettivo versamento del prezzo per il quale è stata disposta l’assegnazione dell’immobile allo Stato costituisce, pertanto, una condizione per perfezionare il trasferimento della proprietà del bene (commi 2 e 3 dell’art. 85 del d.P.R. n. 602 del 1973) ed induce a considerare detta assegnazione come una “assegnazione-vendita”; ipotesi nella quale il versamento del prezzo va a favore della massa attiva prevista dall’art. 509 cod. proc. civ.
Quanto al punto SUB C), LA NON IMPLAUSIBILITÀ dell’interpretazione che esclude sia la corresponsione di conguagli a carico dello Stato sia l’incremento del prezzo di assegnazione nel caso di differenza tra il minore importo del credito tributario e la maggiore base d’asta del terzo incanto discende dalla circostanza che conguagli ed incrementi non sono previsti dalla legge e che, in forza dell’art. 3, comma 40, lettera b-ter), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, sono stati eliminati tutti i riferimenti al “conguaglio” contenuti nel testo originario dei commi 2 e 3 dell’art. 85 del d.P.R. n. 602 del 1973, con effetto dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (3 dicembre 2005).
Quanto, infine, al punto SUB D), LA NON IMPLAUSIBILITÀ dell’interpretazione dei rimettenti (per i quali, ai fini della determinazione del prezzo di assegnazione dopo la deserzione del terzo incanto, rileva il solo credito tributario dello Stato e non anche i diversi crediti eventualmente concorrenti al riparto ed aventi prelazione anteriore a quello erariale) deriva dal fatto che:
1) le parole “somma per la quale si procede” individuano esclusivamente la somma iscritta a ruolo;
2) la fissazione del prezzo di assegnazione allo Stato in una misura, come già detto, fissa e speciale, si configura come una deroga non solo all’art. 586, primo comma, cod. proc. civ., ma anche all’art.589, primo comma, dello stesso codice, secondo cui, nell’espropriazione immobiliare ordinaria, il prezzo minimo dell’assegnazione è stabilito in modo da soddisfare le spese procedurali ed i crediti aventi prelazione anteriore.
Questa Corte, per effettuare il richiesto scrutinio di legittimità costituzionale, deve pertanto muovere dall’interpretazione data dai rimettenti alla disposizione denunciata ed alla disciplina dell’assegnazione dell’immobile allo Stato contenuta nell’art. 85 del d.P.R. n. 602 del 1973.
Nel merito, con la prima questione, i rimettenti evocano congiuntamente gli artt.3 e 53 Cost., per “violazione dei principi di ragionevolezza rispetto ai mezzi e allo scopo e di uguaglianza in sé, e in relazione al principio di capacità contributiva”, in ragione del fatto che la misura della somma per la quale si procede − cioè del credito tributario per la riscossione del quale l’agente ha proceduto all’espropriazione forzata − non è idonea a stabilire un ragionevole prezzo di acquisto di un immobile, costituendo essa una “variabile indipendente dal valore dell’immobile neppure indirettamente collegata” con questo; e ciò diversamente dal “prezzo ribassato che funge da base d’asta del terzo incanto”.
Nonostante l’evocazione congiunta dei suddetti parametri, i giudici a quibus denunciano fondamentalmente, con riferimento all’art.3 Cost., l’irragionevolezza (“in sé”, come si esprimono) della determinazione del prezzo di assegnazione dell’immobile allo Stato nella misura dell’importo del credito tributario per cui si procede, ove questo sia inferiore alla base d’asta del terzo incanto andato deserto (cosiddetto “criterio del minor prezzo” previsto dalla denunciata disposizione). Solo in via sussidiaria e ad colorandum viene da essi prospettata anche la lesione del principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.). Data la peculiarità della prospettazione è opportuno esaminare in via preliminare la censura sollevata con riferimento al solo art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza. La censura è fondata.
Occorre innanzitutto osservare che, contrariamente a quanto affermato dalla difesa dello Stato e conformemente a quanto ritenuto dai giudici a quibus, non sono pertinenti, nella specie, le argomentazioni svolte da questa Corte nell’ordinanza n. 383 del 1988, con la quale fu dichiarata la manifesta infondatezza della questione di legittimità degli artt. 87 e 51 del d.P.R. n. 602 del 1973 (nel testo antecedente al riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, operato dal d.lgs. n. 46 del 1999; testo rimasto in vigore dal 1° giugno 1974 al 30 giugno 1999), nella parte in cui, attribuendo all’esattore il potere di procedere all’espropriazione forzata anche quando il debitore sia dichiarato fallito o sottoposto a liquidazione coatta amministrativa, “consentono che la procedura esattoriale possa concludersi con la devoluzione del bene allo Stato per il minor prezzo tra quello dell’incanto e l’ammontare dell’imposta per cui ha avuto luogo l’esecuzione”.
Al riguardo va sottolineato il diverso contesto normativo in cui si inserivano le disposizioni oggetto della citata decisione di questa Corte.
Il primo comma dell’art.87 del d.P.R. n. 602 del 1973 stabiliva (nel testo allora vigente) che: “Quando il terzo incanto non è stato autorizzato o quando ha esito negativo l’immobile è devoluto di diritto allo Stato per il minor prezzo tra il prezzo base dell’incanto determinato ai sensi del secondo comma dell’art.85 e l’ammontare dell’imposta e della relativa soprattassa, pene pecuniarie e interessi per i quali ha avuto luogo l’esecuzione”. Invece, l’attuale testo dell’art.85 del medesimo decreto presidenziale – nell’àmbito di una normativa in base alla quale l’Intendente di finanza non ha piú il potere discrezionale (previsto dal previgente secondo comma dello stesso articolo) di autorizzare a procedere ad un terzo incanto nel caso in cui la vendita non abbia avuto luogo al secondo – stabilisce l’assegnazione dell’immobile allo Stato, su richiesta dell’agente della riscossione, e non piú la devoluzione di diritto del bene allo Stato. La profonda diversità tra il previgente istituto dell’automatica devoluzione di diritto allo Stato (con possibilità di riscatto del bene, ai sensi dell’attualmente abrogato art. 90 del medesimo decreto legislativo, da parte del debitore espropriato) e quello vigente dell’assegnazione (cui può anche non seguire il trasferimento della proprietà allo Stato, nel caso in cui lo Stato assegnatario non provveda al tempestivo versamento del prezzo) rende essenzialmente diverse sul piano economico, al di là di apparenti analogie, le conseguenze che ciascuna delle due normative succedutesi nel tempo riconnette alla deserzione del terzo incanto. Del resto, gli stessi criteri di determinazione del prezzo base dell’incanto sono, nelle due normative, del tutto diversi. Tale prezzo base, infatti, era originariamente calcolato in relazione al reddito imponibile ai fini dell’imposta locale sui redditi, moltiplicato per venti (art. 84 del d.P.R. n. 602 del 1973, richiamato dall’art. 85, secondo comma, a sua volta richiamato dall’art. 87, primo comma, dello stesso d.P.R. n. 602 del 1973); attualmente, invece, è determinato in relazione al triplo della valutazione catastale aggiornata con i coefficienti di legge (ai sensi dell’art. 52, comma 4, del d.P.R. n. 131 del 1986, richiamato dall’art. 79, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 602 del 1973).
Inoltre, nel precedente giudizio di costituzionalità erano stati evocati parametri costituzionali diversi da quelli indicati dagli odierni rimettenti. In particolare, la denuncia dell’arbitrarietà dell’art. 87 del d.P.R. n. 602 del 1973 – sotto il profilo che tale disposizione lasciava la determinazione del prezzo della devoluzione di diritto dell’immobile allo Stato “al caso e cioè all’ammontare del credito fiscale che può essere superiore, pari o inferiore al valore del bene devoluto o addirittura irrisorio” – fu prospettata dal rimettente dell’epoca in riferimento non all’art. 3 Cost., ma all’art. 97 Cost., cioè ad un parametro che la Corte ritenne “del tutto inconferente”.
Neppure le altre argomentazioni allora utilizzate dalla Corte al fine di escludere il contrasto dell’art. 87 del d.P.R. n. 602 del 1973 con gli altri parametri evocati dal rimettente − artt. 3 (sotto il profilo, diverso da quello qui in esame, della violazione del principio di uguaglianza), 24 e 113 Cost. – sono idonee ad orientare la Corte nel presente giudizio. Esse, infatti, attengono alla dimostrazione della compatibilità delle disposizioni denunciate con parametri (o profili) diversi da quelli attualmente prospettati oppure riguardano aspetti di dette disposizioni, o del quadro normativo nel quale esse si inserivano, che non sono piú attuali rispetto al vigente art. 85 del d.P.R. n. 602 del 1973 e al connesso quadro normativo. La questione sollevata dagli odierni rimettenti deve, quindi, essere scrutinata ex novo.
Come piú volte affermato da questa Corte, la disciplina speciale della riscossione coattiva delle imposte non pagate risponde all’esigenza della pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato ed è, per tale ragione, improntata a criteri di semplicità e speditezza della procedura (sentenze n. 351 del 1998, n. 415 del 1996, n. 444 del 1995 e n. 358 del 1994; ordinanze n. 158 del 2008, n. 217 del 2002 e n. 455 del 2000). Coerentemente con tale finalità di tempestiva riscossione dei crediti tributari, il legislatore, nel caso in cui sia risultato impossibile vendere l’immobile esecutato nel corso di tre incanti – conclusisi con esito negativo nonostante gli elevati ribassi di legge (art. 81, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 602 del 1973: un terzo rispetto al prezzo base del primo incanto; un terzo rispetto al prezzo base del secondo incanto) –, ha previsto, con l’art. 85 del d.P.R. n. 602 del 1973, che il bene sia assegnato allo Stato. Questa soluzione – piú di altre astrattamente ipotizzabili, quali lo svolgimento di ulteriori incanti o l’amministrazione giudiziaria del bene (nella prospettiva di una futura vendita o di una assegnazione a condizioni piú favorevoli) – risponde alla ratio di accelerare il procedimento di riscossione coattiva, assicurando che l’espropriazione possa ugualmente avere termine in modo rapido con la realizzazione di un ricavo, anche nel caso di incollocabilità dell’immobile sul mercato. La norma censurata, prevedendo che l’immobile sia assegnato allo Stato per il prezzo costituito dalla somma per la quale si procede, soddisfa certamente tale esigenza di speditezza, ma pone una disciplina palesemente irragionevole. L’irragionevolezza discende dal fatto che la norma, nello stabilire il prezzo del trasferimento immobiliare, fissa un ammontare che prescinde da qualsiasi collegamento con il valore del bene e che può essere anche irrisorio; e ciò nonostante che il trasferimento immobiliare abbia la finalità di trasformare il bene in denaro per il soddisfacimento dei creditori e non certo di infliggere una sanzione atipica al debitore inadempiente. L’ammontare del credito tributario per cui si procede – sia esso superiore o inferiore al prezzo base del terzo incanto – dipende, in effetti, da circostanze contingenti e meramente casuali, non correlate al valore dell’immobile, e non può essere assunto, pertanto, quale criterio di determinazione del prezzo da corrispondere in sede di espropriazione forzata. La volontà del legislatore di svincolare tale prezzo dall’effettivo valore dell’immobile è, del resto, dimostrata anche dall’esiguità della soglia minima prevista dal vigente art. 76, comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973 per consentire all’agente della riscossione di procedere all’espropriazione immobiliare (ottomila euro, innalzata a ventimila euro, “qualora la pretesa iscritta a ruolo sia contestata in giudizio ovvero sia ancora contestabile in tale sede ed il debitore sia proprietario dell’unità immobiliare dallo stesso adibita a propria abitazione principale”). Né la facoltà, attribuita al debitore o ad un terzo dall’art. 61 del d.P.R. n. 602 del 1973, di estinguere il procedimento di espropriazione pagando il debito vale ad escludere l’indicata irragionevolezza della norma denunciata. L’esercizio di tale facoltà presuppone, infatti, una capacità economica del debitore che può anche non sussistere.
Per quanto sopra osservato, al fine di porre rimedio all’irragionevolezza della disposizione censurata, è necessario eliminare la possibilità che l’immobile esecutato sia assegnato allo Stato al prezzo corrispondente alla somma per la quale si procede.
L’unica via percorribile a tal fine da questa Corte, senza superare i limiti della propria giurisdizione, è quella – indicata dai giudici a quibus e ricavabile dal complessivo assetto normativo disegnato dal legislatore – di far venir meno il cosiddetto “criterio del minor prezzo” e di estendere a tutte le ipotesi di assegnazione dell’immobile allo Stato (nel caso di deserzione del terzo incanto) l’applicazione dell’altro parametro di determinazione del prezzo di assegnazione previsto dallo stesso art. 85, comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973, cioè quello del prezzo base del terzo incanto. Tale prezzo, infatti, ove si tenga conto anche dell’esito negativo dei tre esperimenti d’asta, si pone in rapporto non irragionevole con il valore dell’immobile; e ciò ancorché sia notevolmente inferiore a quello del primo incanto (due ribassi di un terzo ciascuno rispetto alla precedente base d’asta) e muova da una base d’asta originaria di valore assai contenuto (in quanto determinata, come visto, con riferimento al triplo della valutazione catastale aggiornata con i coefficienti di legge).
Del resto, è lo stesso legislatore che ha individuato nel prezzo base del terzo incanto il prezzo di assegnazione dell’immobile (art. 85, comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973), sia pure limitatamente all’ipotesi in cui il credito tributario sia superiore alla base d’asta del terzo incanto. Né può obiettarsi – come, invece, fa l’Avvocatura generale dello Stato, richiamando un passaggio della motivazione dell’ordinanza di questa Corte n. 383 del 1988 − che “l’accoglimento della questione di costituzionalità nei termini prospettati dal giudice a quo comporterebbe per lo Stato l’acquisto (coattivo) di un immobile al prezzo base del terzo incanto concluso con esito negativo e, quindi, ad un valore risultato non appetibile sul mercato, ossia un esito che non potrebbe reputarsi congruo e ragionevole”. L’obiezione sarebbe pertinente ove fosse riferita al previgente istituto della devoluzione di diritto dell’immobile allo Stato (art. 87 del d.P.R. n. 602 del 1973, nel testo anteriore alla sua sostituzione ad opera dell’art. 16 del d.lgs. n. 46 del 1999), ma non si attaglia al vigente istituto dell’assegnazione allo Stato del bene previsto dalla disposizione censurata. Nell’ipotesi di devoluzione di diritto, l’automatica acquisizione dell’immobile al patrimonio statale (per effetto della mancata autorizzazione del terzo incanto o del suo esito negativo) operava a prescindere da una manifestazione di volontà dell’acquirente e non consentiva di evitare l’effetto traslativo. Ciò non avviene, invece, con riferimento all’istituto dell’assegnazione dell’immobile regolato dal vigente art.85 del d.P.R. n.602 del 1973. L’attuale disciplina consente, infatti, allo Stato – come visto – di valutare la convenienza dell’acquisizione dell’immobile al prezzo base del terzo incanto e, nel caso di esito negativo di tale valutazione, di provocare l’estinzione del processo esecutivo non versando il prezzo di assegnazione nel termine stabilito (a meno che l’agente della riscossione, nei trenta giorni successivi alla scadenza del termine per il versamento del prezzo, non dichiari, su indicazione dell’ufficio che ha formato il ruolo, di voler procedere a un ulteriore incanto per un prezzo base inferiore di un terzo rispetto a quello dell’ultimo incanto: art. 85, comma 3, del d.P.R. n. 602 del 1973). Deve quindi negarsi che, per effetto dell’accoglimento della questione di legittimità sollevata, l’acquisto dell’immobile per il prezzo pari alla base d’asta del terzo incanto sia imposto allo Stato. L’accoglimento della questione di legittimità nei termini indicati non esclude, come è ovvio, che il legislatore possa, nell’esercizio della sua discrezionalità, stabilire parametri di determinazione del prezzo di assegnazione dell’immobile allo Stato diversi rispetto al prezzo base del terzo incanto, purché essi siano in ragionevole rapporto con il valore del bene pignorato.
In conclusione, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3 Cost., in relazione al principio di ragionevolezza, dell’art.85, comma 1, del d.P.R. n.602 del 1973, nella parte in cui prevede che, se il terzo incanto ha esito negativo, l’assegnazione dell’immobile allo Stato ha luogo “per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede”, anziché per il prezzo base del terzo incanto. 5. – Il riconoscimento della fondatezza della questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., in relazione al principio di ragionevolezza, comporta l’assorbimento dell’esame delle altre questioni e degli altri profili di censura prospettati dai rimettenti.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE, riuniti i giudizi,
DICHIARA
l’illegittimità costituzionale dell’art.85, comma 1, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (DISPOSIZIONI SULLA RISCOSSIONE DELLE IMPOSTE SUL REDDITO), nella parte in cui prevede che, se il terzo incanto ha esito negativo, l’assegnazione dell’immobile allo Stato ha luogo “per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede“, ANZICHÉ PER IL PREZZO BASE DEL TERZO INCANTO.
17 ottobre 2011.
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