LA MASSIMA
La mancata certificazione, da parte del difensore, dell’autografia della firma del ricorrente, apposta sulla procura speciale in calce o a margine del ricorso per cassazione (e quindi a maggior ragione l’analoga omissione riguardante – come nella specie – la copia notificata) costituisce una mera irregolarità, che non comporta la nullità del mandato “ad litem “, poichè tale nullità non è comminata dalla legge nè la predetta formalità incide sui requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo dell’atto -individuabile nella formazione del rapporto processuale attraverso la costituzione in giudizio del procuratore nominato -, salvo che la controparte non contesti, con valide e specifiche ragioni e prove, l’autografia della firma non autenticata”.
Il requisito della “indicazione dell’incarico” (ovvero della procura ad litem) conferito al difensore – prescritto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, comma 3 – deve ritenersi assolto, nel caso di notifica di copia del ricorso a mezzo di Ufficiale giudiziario, con la apposizione della procura alle liti sull’originale del ricorso, mentre non è necessario che figuri anche sulla copia notificata alla controparte, nella quale è sufficiente che compaia una annotazione la quale attesti la presenza di tale procura sull’originale.
IL CONTESTO NORMATIVO
Artt.12, 18, 22, 80 D. Lgs. n.546 del 1992 in relazione all’art.360 cpc, comma 1, n.3.
IL CASO
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate hanno proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza n. 99/2004 pronunciata dalla Commissione Tributaria di Ancona.
Il ricorso presentato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze è stato dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione attiva, non avendo assunto l’amministrazione statale la posizione di parte processuale nel giudizio di appello.
L’Agenzia delle Entrate, col detto ricorso, ha contestato l’ammissibilità del ricorso introduttivo presentato dal contribuente, per mancata certificazione del difensore di autenticità della sottoscrizione e per la notifica del ricorso fatta all’Ufficio in copia anziché in originale.
LA DECISIONE
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate.
Il giudice di legittimità, con riferimento al primo motivo, ha chiarito, preliminarmente, che la Commissione Tributaria Regionale marchigiana, ha rilevato che l’autentica c.d. “minor” della sottoscrizione autografa di conferimento dell’incarico di assistenza tecnica, era “presente nell’originale depositato nella Segreteria della Commissione al momento della costituzione in giudizio” e non mancante.
Ai sensi dell’art.12, comma 5, dal D.Lgs. n. 546 del 1992,l’incarico di assistenza tecnica avanti le Commissioni tributarie deve essere conferito al difensore abilitato nelle forme prescritte (con atto separato dal ricorso: atto pubblico, scrittura privata autentica; con atto contestuale: procura rilasciata a margine od in calce al ricorso; con dichiarazione resa a verbale della udienza pubblica: D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, comma 3), e nel caso in cui il conferimento venga rilasciato in calce od a margine del ricorso, il difensore è chiamato a certificare l’autografia della sottoscrizione della parte.
La Cassazione ha precisato che ai fini dell’applicazione della sanzione di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 18, comma 4, e art. 22, comma 2, l’omessa sottoscrizione dell’atto deve essere intesa in senso restrittivo, ossia come mancanza radicale del requisito imposto dalla legge, la quale, non ricorre, allorché la copia dell’atto, notificata all’ufficio finanziario, sia una fotocopia dell’originale regolarmente sottoscritto e depositato nella segreteria della commissione tributaria. La mancanza di autenticazione, da parte del difensore, della firma apposta dal contribuente per procura in calce od al margine del ricorso introduttivo costituisce una mera irregolarità e non determina la nullità dell’atto (non comminata espressamente dalla legge, e non incidendo la irregolarità sui requisiti essenziali per il raggiungimento dello scopo dello scopo dell’atto da individuarsi nella costituzione in giudizio del difensore ai fini della corretta instaurazione del rapporto processuale), a meno che la controparte non contesti espressamente l’autenticità della sottoscrizione.
La Cassazione, alla luce dei principi suesposti ha confermato, pertanto, l’ammissibilità del ricorso presentato dal contribuente, in quanto, recante il conferimento dell’incarico al difensore debitamente sottoscritto e corredato della prescritta certificazione di autografia di firma nell’originale dell’atto introduttivo depositato presso la segreteria della Commissione tributaria, essendo irrilevante a tal fine che la copia del ricorso notificata all’Ufficio finanziario fosse priva della predetta certificazione del difensore.
LA SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 3581/2006 proposto da:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE
AGENZIA DELLE ENTRATE
RICORRENTI
contro
CONTRIBUENTE
INTIMATA
avverso la sentenza n.99/2004 della COMM.TRIB.REG. di ANCONA, depositata il 03/12/2004;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza 3.12.2004 n.99 la CTR della regione Marche sez. 6 Ancona ha rigettato l’appello proposto dall’Ufficio di Tolentino dell’Agenzia delle Entrate confermando la decisione n. 7/01/2002 della CTP di Macerata che – in parziale accoglimento del ricorso proposto dalla ditta individuale CONTRIBUENTE. avverso l’avviso di accertamento in rettifica dei maggiori redditi di impresa imponibili, dichiarati per l’anno 1994 a fini IRPEF- aveva riconosciuto come deducibili dai maggiori redditi accertati “costi inerenti” in misura corrispondente al rapporto proporzionale tra redditi e costi indicati dal contribuente nella dichiarazione, ritenendo inoltre non applicabile la sanzione pecuniaria prevista dal D.P.R. n.600 del 1973, art. 53, comma 1, n. 3).
La CTR marchigiana riteneva infondata la eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo in quanto tale sanzione era comminata dal D.Lgs. n. 546 del 199, art. 18, comma 4, soltanto per la “omessa sottoscrizione del ricorso da parte del difensore“ e non anche per la mancanza della autentica di firma relativa al conferimento della procura, peraltro presente nell’atto originale depositato presso la Segreteria della Commissione tributaria.
Riteneva altresì infondato nel merito l’appello, rilevando che in caso di accertamento di maggiori redditi non dichiarati dal contribuente, l’Ufficio, nella determinazione della base imponibile, era tenuto a considerare anche i costi inerenti alla produzione di tali redditi, come statuito con giurisprudenza costante dalla Corte di legittimità.
Inoltre la sanzione D.P.R. n.600 del 1973, ex art.53, comma 1, n. 3), non era irrogabile essendo stata tale norma abrogata dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 16, lett. b), mentre doveva ritenersi congrua la sanzione di lire 1.000.000 inflitta ai sensi del D.P.R. n. 600 del 197, art.51, comma 3, trovando applicazione il disposto del D.Lgs. n.472 del 1997, art.3, comma 3, (principio della legge più favorevole al reo).
Avverso la sentenza di appello non notificata, con atto consegnato all’Ufficiale giudiziario in data 18.1.2006 e notificato ai sensi dell’art. 149 cpc, in data 24.1.2006, hanno proposto ricorso per cassazione il Ministero della Economia delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate deducendo due motivi articolati in plurime censure.
Non ha resistito la intimata.
Alla udienza 23.6.2010 la causa è stata sospesa, su istanza del difensore delle parti ricorrenti, con rinvio a nuovo ruolo sussistendo i presupposti della legge n.73/2010, ed è quindi pervenuta alla discussione alla odierna udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Va preliminarmente dichiarata ex officio l’inammissibilità del ricorso proposto dal MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, per difetto di legittimazione attiva, non avendo assunto l’Amministrazione statale la posizione di parte processuale nel giudizio di appello svoltosi avanti la CTR della regione Marche, introdotto con ricorso proposto dall’Ufficio di Tolentino della Agenzia delle Entrate in data successiva all’1.1.2001 (subentro delle Agenzie fiscali a titolo di successione particolare ex lege nella gestione dei rapporti giuridici tributari pendenti in cui era parte l’Amministrazione statale), con conseguente implicita estromissione della Amministrazione statale ex art. 111 c.p.c., comma 3, (cfr.Corte Cass. SS.UU. 14.2.2006 n. 3116 e 3118).
2. Con il PRIMO MOTIVO la AGENZIA DELLE ENTRATE deduce violazione del D.Lgs.n.546 del 1992, artt. 12, 80 (recte 20) e 22, in relazione all’art.360 cpc, comma 1, n. 3).
La parte ricorrente sostiene la erroneità della pronuncia impugnata laddove ha ritenuto ammissibile il ricorso introduttivo sebbene il conferimento dell’incarico di assistenza tecnica fosse privo della certificazione del difensore di autenticità della sottoscrizione, con conseguente nullità della procura ad litem e difetto di “jus postulandi” del difensore che aveva sottoscritto il ricorso.
Inoltre il ricorso doveva ritenersi inammissibile anche alla stregua del D.Lgs. n.546 del 1992, artt. 20 e 22, in quanto, diversamente da quanto prescritto da tali norme, era stato notificato all’Ufficio in copia anzichè in originale e, conseguentemente, era stato depositato presso la Segreteria in originale anzichè in copia, vizi che non potevano essere ascritti, come affermato dai Giudici di appello, a mere irregolarità non sanzionate dalle norme.
2.1 Il motivo, oltre che erroneamente prospettato in rubrica come vizio di violazione di norme di diritto sostanziale, venendo denunciati invece errori di attività processuale ex art. 360 cpc, comma 1, n. 4), (la corretta qualificazione ed individuazione del motivo di ricorso non è preclusa a questa Corte nel caso in cui, la esatta individuazione del parametro di legittimità violato, erroneamente indicato in rubrica, possa essere agevolmente compiuta – come nel caso di specie – alla stregua del complessiva lettura del ricorso e precipuamente degli argomenti svolti a sostegno della censura: cfr. Corte Cass. 3941/2002; Corte Cass. 1′ sez. 5.4.2006 n.7882; id. 1′ sez. 13.9.2006 n.19661; id. 1′ sez. 3.3.2007 n. 7981), è manifestamente infondato alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte in materia di ricorsi proposti avanti le Commissioni tributarie.
Occorre premettere che la CTR marchigiana ha rilevato che l’autentica c.d. “minor” della sottoscrizione autografa di conferimento dell’incarico di assistenza tecnica era “presente nell’originale depositato nella Segreteria della Commissione al momento della costituzione in giudizio”.
Tanto premesso rileva il Collegio che l’atto introduttivo del giudizio avanti la Commissione tributaria – salvo trattasi di controversia di valore inferiore ad Euro 2.582,28 – deve essere sottoscritto dal difensore e deve contenere la indicazione dell’incarico a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, comma 3, a pena di inammissibilità (art.18 co3 e co4), non essendo sanabile il vizio neppure con la costituzione in giudizio del resistente (art. 22 comma 2, “l’inammissibilità del ricorso è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, anche se la parte resistente si costituisce…”).
L’incarico di assistenza tecnica avanti le Commissioni tributarie deve essere conferito al difensore abilitato nelle forme prescritte dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, comma 5, (con atto separato dal ricorso: atto pubblico, scrittura privata autentica; con atto contestuale: procura rilasciata a margine od in calce al ricorso; con dichiarazione resa a verbale della udienza pubblica: D.Lgs. n. 546 del 1992, art.12, comma 3), e nel caso in cui il conferimento venga rilasciato in calce od a margine del ricorso, il difensore è chiamato a certificare l’autografia della sottoscrizione della parte.
Secondo il costante indirizzo di questa Corte, la prescrizione dei requisiti del contenuto minimo dell’atto introduttivo, concernenti la sottoscrizione del difensore e la indicazione dell’incarico conferito allo stesso dal ricorrente D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 18, comma 3, risponde alla esigenza di difesa della parte destinataria della notificazione di verificare la provenienza della “vocatio in ius” da parte di un procuratore abilitato alla assistenza tecnica dinanzi alle Commissioni tributarie – ai sensi del D.Lgs. n.546 del 1992, art. 12, comma 2,- e munito dei richiesti poteri di rappresentanza processuale.
La specificità del processo tributario, quale giudizio di tipo impugnatorio e di merito che non consente – attesi i tempi particolarmente brevi di impugnazione dell’atto – nel caso di pronuncia di inammissibilità del ricorso di accedere nuovamente alla tutela giurisdizionale, ha richiesto, tuttavia, una attenta rimeditazione sulla applicazione delle norme processuali che comminano sanzioni di inammissibilità, e pertanto, anche sulla scorta delle pronunce 13.6.2000 n. 189 e 6.12.2002 n. 520 emesse dal Giudice delle Leggi (nelle quali è stata ribadita la necessità di una interpretazione di tali norme “in armonia con un sistema processuale che deve garantire la tutela delle parti in posizione di parità, evitando irragionevoli sanzioni di inammissibilità che si risolvano a danno del soggetto che si intende tutelare“), questa Corte è pervenuta ad elaborare principi interpretativi restrittivi delle predette norme (“in base al canone ermeneutico secondo il quale è necessario dare alle norme processuali in genere, ed a quelle sul processo tributario in particolare, una lettura che, nell’interesse generale, faccia bensì salva la funzione di garanzia che è istituzionalmente propria del processo e, però, consenta, per quanto possibile, di limitare al massimo l’operatività di irragionevoli sanzioni di inammissibilità in danno delle parti che di quella garanzia dovrebbero giovarsi“: Corte Cass. 5′ sez. 8.9.2004 n. 18088;Corte Cass. 5′ sez. 10.3.2006 n. 5356; Corte Cass. 5′ sez. 22.3.2006 n. 6391; Corte Cass. 5′ sez. 15.6.2010 n. 14389) affermando il principio che il definitivo sacrificio dell’interesse ad agire del contribuente può essere giustificato (idest: reso compatibile con il diritto di difesa tutelato dall’art. 24 Cost.) soltanto nei casi in cui la particolare gravità del vizio che affligge l’atto introduttivo ed il conseguente impedimento alla prosecuzione del giudizio siano giustificati dal preminente interesse pubblico alla soddisfazione di quelle esigenze (appunto la tutela effettiva dei diritti) che la legge persegue nell’interesse generale attraverso il regolare svolgimento della funzione giudiziaria (ed il processo), e dunque soltanto nei casi in cui il vizio di forma sanzionato a pena di inammissibilità corrisponda ad un vizio di sostanza, o perchè l’atto viziato viene a pregiudicare altri interessi di natura sostanziale o processuale (ritenuti dalla legge prevalenti), o perchè il vizio è tale da non consentire di ricondurre l’atto, come in concreto compiuto, nello schema del modello legale della fattispecie disciplinata dalla norma processuale.
A tale proposito, ed in funzione dell’indicato accertamento devoluto al Giudice tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 5, stabilisce che “ove sorgano contestazioni il giudice tributario ordina l’esibizione degli originali degli atti e dei documenti di cui ai precedenti commi” (tra cui il ricorso ed i documenti prodotti) e tale norma, come è stato rilevato in precedenti pronunce di questa Corte, “fornisce la chiave di volta dell’intero regime delle inammissibilità del ricorso introduttivo o dell’appello, stabilendo una sorta di possibile causa di esclusione della sanzione (come sì è detto, vera e propria extrema ratio) quando vi sia modo di accertare la sostanziale regolarità dell’atto e l’osservanza delle regole processuali fondamentali” (Corte Cass. 5′ sez. 22.3.2006 n. 6391; Corte Cass. 5′ sez. 15.5.2008 n. 12185; Corte Cass. 5′ sez. 30.6.2010 n. 15444).
Conseguentemente, con specifico riferimento al ricorso introduttivo ed al conferimento dell’incarico di assistenza tecnica ovvero della procura ad litem (nel caso in cui il contribuente intenda avvalersi di un professionista legale), è stato affermato che:
– ai fini dell’applicazione della sanzione di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 18, comma 4, e art. 22, comma 2, l’omessa sottoscrizione dell’atto deve essere intesa in senso restrittivo, ossia come mancanza radicale del requisito imposto dalla legge, la quale non ricorre allorchè la copia dell’atto, notificata all’ufficio finanziario, sia una fotocopia dell’originale regolarmente sottoscritto e depositato nella segreteria della commissione tributaria (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 31.10.2005 n. 21170; id. 16.12.2008 n. 29394; id. 15.6.2010 n. 14389);
nel processo tributario, è irrilevante la mancanza della sottoscrizione della procura sull’originale del ricorso introduttivo del giudizio, notificato a mezzo posta, essendo sufficiente che la sottoscrizione in originale della parte sia riscontrabile nella copia da inserire nel fascicolo destinato al deposito ai fini della costituzione in giudizio, in modo da consentire al giudice di valutarne la validità (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 5.3.2010 n. 5371);
– in tema di contenzioso tributario, la firma apposta dal difensore per l’autenticazione della procura (mandato “ad litem”) in calce al ricorso introduttivo consente di riferire al difensore stesso anche la paternità del ricorso medesimo (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 3.10.2006 n. 21326);
– la mancata sottoscrizione in originale della procura alle liti, nella copia del ricorso depositata presso la segreteria del giudice tributario è priva di conseguenze in ordine all’ammissibilità e validità del ricorso medesimo, essendo necessario che la sottoscrizione della parte sia contenuta nell’originale dell’atto, nonchè seguita dall’autenticazione del difensore ed, infine, che le copie contengano elementi idonei a dimostrare la provenienza dell’atto da difensore munito di procura speciale, come la trascrizione o l’indicazione del mandato (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 15.6.2010 n. 14389);
– nel processo tributario la mancanza di autenticazione, da parte del difensore, della firma apposta dal contribuente per procura in calce od al margine del ricorso introduttivo costituisce una mera irregolarità e non determina la nullità dell’atto (non comminata espressamente dalla legge, e non incidendo la irregolarità sui requisiti essenziali per il raggiungimento dello scopo dello scopo dell’atto da individuarsi nella costituzione in giudizio del difensore ai fini della corretta instaurazione del rapporto processuale), a meno che la controparte non contesti espressamente l’autenticità della sottoscrizione (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 3.9.2004 n. 17845; id. 5′ sez. 12.3.2008 n. 6591; id. 5′ sez. 12.5.2010 n. 11446, che recepiscono, in materia tributaria, il consolidato orientamento espresso dalla Corte in ordine alla mera irregolarità formale della mancata autentica della sottoscrizione della procura ad litem conferita per il ricorso per cassazione: Corte Cass. SU 6.5.1996 n. 4191 “la mancata certificazione, da parte del difensore, dell’autografìa della firma del ricorrente, apposta sulla procura speciale in calce o a margine del ricorso per cassazione (e quindi a maggior ragione l’analoga omissione riguardante – come nella specie – la copia notificata) costituisce una mera irregolarità, che non comporta la nullità del mandato “ad litem “, poichè tale nullità non è comminata dalla legge nè la predetta formalità incide sui requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo dell’atto -individuabile nella formazione del rapporto processuale attraverso la costituzione in giudizio del procuratore nominato -, salvo che la controparte non contesti, con valide e specifiche ragioni e prove, l’autografia della firma non autenticata”; id. SU 17.12.1998 n. 12625; id. 1′ sez. 10.10.2000 n. 13468; id. 2′ sez. 27.12.2004 n. 23994; id. 3′ sez. 25.11.2005 n. 2894; id. sez. lav.2.2.2007 n. 2272); il requisito della “indicazione dell’incarico” (ovvero della procura ad litem) conferito al difensore – prescritto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, comma 3 – deve ritenersi assolto, nel caso di notifica di copia del ricorso a mezzo di Ufficiale giudiziario, con la apposizione della procura alle liti sull’originale del ricorso, mentre non è necessario che figuri anche sulla copia notificata alla controparte, nella quale è sufficiente che compaia una annotazione la quale attesti la presenza di tale procura sull’originale (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 6.6.2007 n. 13208), nonchè deve intendersi analogamente assolto, nel caso di notifica diretta del ricorso in originale all’Ufficio, non soltanto nel caso in cui la procura in originale sia stata conferita in margine od in calce all’atto notificato e trasmessa quindi unitamente ad esso, ma anche nel caso in cui nel ricorso spedito in originale venga fatta menzione della procura rilasciata in calce od in margine della copia del ricorso depositato presso la segreteria della CTR, essendo irrilevante, al riguardo, la eventuale inversione dello schema procedimentale per la notifica ed il deposito dell’atto introduttivo in originale ed in copia, individuato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 1, con riferimento alla diversa forma di notifica – mediante Ufficiale giudiziario ovvero diretta, mediante consegna o spedizione di plico raccomandato – del ricorso (deposito dell’originale del ricorso corredato della procura e notifica della copia contenente la mera indicazione dell’incarico, anzichè, come previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, notifica dell’originale del ricorso contenente la procura ad litem e deposito della copia con la indicazione dell’incarico, corredata della attestazione di conformità. La irregolarità formale, non sanzionata d inammissibilità, va ravvisata anche in altre possibili “forme di inversione” come nel caso in cui viene spedito il ricorso originale con la mera indicazione dell’incarico e depositata la copia corredata della procura in originale), ed essendo altresì irrilevante la apposizione della procura ad litem, recante le sottoscrizioni autografe, a margine od in calce della copia – depositata o notificata – anzichè del ricorso in originale (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 5.3.2010 n. 5371).
Alla stregua dei principi indicati appare dunque infondato il PRIMO MOTIVO di ricorso, avendo correttamente deciso i Giudici territoriali in ordine alla ammissibilità del ricorso proposto dal contribuente in quanto recante il conferimento dell’incarico al difensore debitamente sottoscritto e corredato della prescritta certificazione di autografia di firma nell’originale dell’atto introduttivo depositato presso la segreteria della Commissione tributaria, essendo irrilevante a tal fine che la copia del ricorso notificata all’Ufficio finanziario fosse priva della predetta certificazione del difensore.
2. Con il SECONDO MOTIVO la Agenzia delle Entrate censura la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 74 e 75, nonchè per insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art.360 cpc, comma 1, nn.3) e 5).
La parte ricorrente sostiene che il Giudice di appello ha fondato la propria decisione sull’assunto – ritenuto errato – che l’accertamento era stato compiuto con METODO INDUTTIVO PURO, mentre – come specificato nei motivi dell’atto di appello, trascritti in parte qua nel ricorso per cassazione – l’avviso di accertamento in rettifica era stato emesso ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), con applicazione del metodo analitico, essendo state determinate le quantità di prodotti venduti e non fatturati “raffrontando le quantità rilevate nelle bolle di accompagnamento e quelle indicate nelle rispettive fatture” ed essendo stati accertati i maggiori ricavi in base alla mera differenza matematica tra l’importo indicato nelle bolle di accompagnamento e quello indicato in fattura, mentre soltanto i prezzi di vendita erano stati determinati in modo induttivo.
Da ciò conseguiva – secondo la ricorrente – la applicazione dell’art. 75 T.U.I.R. che ammetteva in deduzione soltanto i “costi inerenti” risultanti da “elementi certi e precisi”, mentre nel caso di specie la CTR aveva riconosciuto in via induttiva la deducibilità di costi determinati in modo forfetario, con ciò incorrendo altresì nel vizio motivazionale non avendo indicato i criteri logici in base ai quali si era pervenuti alla adozione del metodo forfetario.
2.1 Entrambe le censure, che possono essere esaminate congiuntamente attesa la loro stretta connessione logica, sono inammissibili per difetto di autosufficienza.
Premesso che il precedente richiamato a sostegno del secondo motivo (Cass. n. 640/2001), contrariamente a quanto opinato dalla Agenzia ricorrente, sembra applicare anche all’accertamento compiuto ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), (in tal senso, dalla lettura della sentenza, sembra deporre l’accoglimento del motivo di ricorso con il quale, sulla premessa incontestata della rettifica eseguita ai sensi della predetta norma, veniva censurato l’utilizzo da parte della Amministrazione finanziaria di un documento extracontabile esclusivamente per la determinazione del maggior volume di affari e non anche per la determinazione dei corrispondenti costi inerenti) il principio di diritto secondo cui “in tema di imposte sui redditi inerenti ad attività d’impresa, il principio sancito dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, e ribadito dal D.L. n. 90 del 1990, art. 6 bis, secondo cui le spese sono deducibili se e nella misura in cui siano annotate nelle scritture contabili ed abbiano concorso alla determinazione del risultato del conto profitti e perdite, non è applicabile in caso di rettifica induttiva, in cui alla ricostruzione dei ricavi deve corrispondere un’incidenza percentualizzata dei costi”, rileva il Collegio che le mere allegazioni contenute nel ricorso per cassazione in ordine all’inquadramento del tipo di accertamento nello schema del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), ed alla qualificazione del metodo di accertamento adottato (analitico anzichè induttivo, come invece ritenuto dai Giudici territoriali), è manifestamente insufficiente a sostenere autonomamente la censura, implicando questa una verifica del contenuto dell’avviso di accertamento all’esito della quale, soltanto, la Corte potrebbe pervenire, nel’esercizio dei suoi poteri ex officio, alla corretta qualificazione giuridica della fattispecie, stabilendo in particolare se nel peculiare caso in esame il maggiore reddito imponibile sia stato o meno determinato dalla Amministrazione finanziaria in modo “sintetico” (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2) ovvero in modo “analitico” (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. a, b, c: in quanto l’accertamento si riferisce a singole poste di bilancio e non al reddito globalmente considerato: Corte Cass. 1′ sez. 7.2.1992 n. 1382; id. 5′ sez. 1.8.2002 n. 11459 “secondo l’insegnamento di questa Corte (cfr. Cass. 28 giugno 2001 n. 8835), nel caso in cui l’amministrazione finanziaria corregga singoli elementi della dichiarazione dei redditi d’impresa sulla base di dati forniti dallo stesso contribuente, ricorre la fattispecie dell’accertamento analitico dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 7, che non cessa di essere tale per il fatto che, movendo da specifici elementi quantitativamente certi, quali, in particolare, il costo del prodotto venduto ed i prezzi di vendita verificati, con il medesimo pervenga ad altri dati, quali i ricavi, attraverso il ricorso a parametri induttivi (cfr.: Cass. civ., sez. 1′, sent 1 aprile 1994, n. 3206).
Ciò è vero sempre che, in tale ipotesi, la rettifica investa singole poste della contabilità dell’impresa, e non globalmente la stessa in ragione di irregolarità di tale rilievo da farla ritenere inattendibile nel suo complesso (cfr.: Cass. civ., sez. 1′, sent.7 febbraio 1992, n. 1382)……”), ovvero ancora in modo “analitico – induttivo” (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d).
E’ stato, infatti, ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte che le prescrizioni dell’art. 75, comma 6, T.U.I.R., nel testo vigente ratione temporis – 1994 – (“Le spese e gli altri componenti negativi, di cui è prescritta la registrazione in apposite scritture contabili, ai fini delle imposte sui redditi, non sono ammessi in deduzione se la registrazione è stata omessa o è stata eseguita irregolarmente, salvo che si tratti di irregolarità meramente formali”), trovano applicazione esclusivamente nel caso in cui i componenti reddituali attivi e passivi siano rilevabili dalle scritture contabili, ma non anche nelle ipotesi di omessa dichiarazione del contribuente, ed a quelle ad essa assimilabili di accertamento di maggiori redditi non dichiarati (cfr. Corte Cass. 1′ sez. 15.11.1994 n.9581), in cui alla determinazione del reddito possa pervenirsi soltanto con metodo induttivo. In proposito risulta affermato il principio di diritto secondo cui “in tema di accertamento della imposta sui redditi, qualora il contribuente ometta del tutto la presentazione della dichiarazione, e l’Amministrazione finanziaria proceda d’ufficio all’accertamento del reddito d’impresa con metodo induttivo, essa, dovendo procedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente, deve tenere conto anche delle componenti negative del reddito che siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti.
Nell’ipotesi considerata, infatti, non possono trovare applicazione le limitazioni previste dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 74, commi 2 e 3, in tema di prova dei costi e degli oneri ai fini dell’accertamento con metodo analitico induttivo, in quanto tale norma disciplina la diversa ipotesi in cui una dichiarazione dei redditi, ancorchè infedele, sia comunque sussistente. Diversamente, d’altronde, si assoggetterebbe ad imposta, come reddito d’impresa, il profitto lordo, anzichè quello netto, in contrasto con l’art. 53 Cost.” (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 25.11.2008 n. 28028. Cfr. Corte Cass. 1′ sez. 10.4.1996 n. 3317; id. 5′ sez. 17.1.2001 n. 640; id. 5′ sez. 10.2.2006 n. 2946; id. 5′ sez. 19.2.2009 n. 3995).
Tali principi sono stati espressamente richiamati nella sentenza impugnata avendo ritenuto i Giudici territoriali che la PA avesse determinato ì maggiori redditi con metodo induttivo.
Ne consegue che la censura della ricorrente, incentrandosi nella erronea rilevazione da parte dei Giudici di appello del criterio di determinazione del maggior reddito imponibile risultante dall’avviso di accertamento, avrebbe dovuto essere supportata:
a) dalla trascrizione integrale del contenuto dell’avviso di accertamento;
b) dalla individuazione degli elementi fattuali decisivi a determinare una diversa conclusione sulla qualificazione giuridica del metodo di accertamento in concreto applicato.
Ed infatti, tanto nel caso di deduzione del vizio di irrituale od omessa ammissione di prove ovvero di omessa od inesatta valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio, quanto nel caso in cui si intenda far valere un vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, la parte ricorrente è onerata della specifica indicazione della prova o del documento pretermessi od erroneamente valutati (eventualmente mediante individuazione della sede processuale in cui la prova è stata richiesta o prodotta: Corte Cass. sez. lav. 7.2.2011 n. 2966; id. 1′ sez. 13.11.2009 n. 24178;id. 3′ sez. ord. 4.9.2008 n. 22303; id. 3′ sez. 25.5.2007 n. 12239) e della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto (cfr. Corte Cass. 1′ sez. 17.52006 n. 11501). Nella specie, invece, la Agenzia ricorrente, non soltanto ha omesso del tutto di soddisfare al requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), in quanto non ha adeguatamente specificato il carattere decisivo della prova dei fatti la cui considerazione è stata omessa e che, qualora non fosse stata trascurata dalla Commissione regionale, avrebbe consentito – secondo un criterio di certezza probabilistica e non di mera possibilità – di pervenire ad una diversa decisione, ma neppure ha provveduto alla completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti/documenti (l’avviso di accertamento) ritenuti decisivi, al fine di rendere immediatamente apprezzabile da parte della Corte il vizio dedotto (cfr. Corte Cass. SU 24.9.2010 n. 20159; id. 6′ sez. ord. 30.7.2010 n. 17915; id. 3′ sez. 4.9.2008 n. 22303; id. 3′ sez. 31.5.2006 n. 12984; id. 1′ sez. 24.3.2006 n. 6679; id. sez. lav. 21.10.2003 n. 15751; id. sez. lav.12.6.2002 n. 8388), impedendo in tal modo al Giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare (Corte Cass. 6 sez. L. ord. 30.7.2010 n. 17915; id. 3′ sez. 31.5.2006 n. 12984).
In difetto degli indicati adempimenti il motivo va dichiarato inammissibile, dovendo darsi seguito al costante insegnamento di questa Corte, in tema di ammissibilità dei motivi di ricorso con i quali si denuncino i vizi di cui all’art. 360 cpc, comma 1, n. 5), secondo cui “la parte che, in sede di ricorso per cassazione, lamenti vizi di motivazione della sentenza impugnata, ha l’onere di indicare in modo esaustivo le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione, in quanto il detto ricorso deve risultare autosufficiente e, quindi, contenere in sè tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata, non essendo sufficiente un generico rinvio agli atti ed alle risultanze processuali” (cfr. Corte Cass. 3′ sez. 24.1.2002 n. 849; id. I sez. 23.7.2003 n. 11422).
3. Il ricorso deve in conseguenza essere rigettato, non occorrendo provvedere sulle spese di lite non avendo svolto difese la intimata.
PQM
La Suprema Corte di cassazione:
– dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero della Economia e delle Finanze;
– rigetta il ricorso proposto dalla Agenzia delle Entrate;
– nulla in ordine alla spese di lite.
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