LA MASSIMA
In tanto può trovare ragionevole applicazione la disciplina dello “ius poenitendi”, in quanto si sia verificata una situazione in cui il risparmiatore sia stato esposto al rischio di assumere iniziative e prendere decisioni poco meditate, che va escluso nel caso in cui l’acquisto dei titoli possa essere collegato alla preesistenza di un precedente rapporto intercorso fra le stesse parti, vale a dire ad un negozio quadro sostanzialmente assimilabile (per l’aspetto dell’accordo che rileva in questa sede) ad un contratto di mandato.
Il fatto quindi che l’acquisto dei titoli non sia avvenuto per iniziativa dell’offerente, ma a seguito di un precedente accordo di carattere generale fra l’investitore ed il soggetto delegato per la definizione negoziale, comporta che nella specie sia ravvisabile una ipotesi di negoziazione e non una ipotesi di collocamento.
IL RIFERIMENTO NORMATIVO
ART.30 D.LGS 24-02-1998 N. 58 (OFFERTA FUORI SEDE)
1. Per offerta fuori sede si intendono la promozione e il collocamento presso il pubblico:
di strumenti finanziari in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze dell’emittente, del proponente l’investimento o del soggetto incaricato della promozione o del collocamento;
di servizi di investimento in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze di chi presta, promuove o colloca il servizio.
2. Non costituisce offerta fuori sede quella effettuata nei confronti di investitori professionali, come definiti con regolamento della CONSOB, sentita la Banca d’Italia.
3. L’offerta fuori sede di strumenti finanziari può essere effettuata:
dai soggetti autorizzati allo svolgimento del servizio previsto dall’articolo 1, comma 5, lettera c);
dalle società di gestione del risparmio e dalle SICAV, limitatamente alle quote e alle azioni di OICR.
4. Le imprese di investimento, le banche, gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco previsto dall’articolo 107 del T.U. bancario e le società di gestione del risparmio possono effettuare l’offerta fuori sede dei propri servizi d’investimento. Ove l’offerta abbia per oggetto servizi prestati da altri intermediari, le imprese di investimento e le banche devono essere autorizzate allo svolgimento del servizio previsto dall’articolo 1, comma 5), lettera c).
5. Le imprese di investimento possono procedere all’offerta fuori sede di prodotti diversi dagli strumenti finanziari e dai servizi d’investimento, le cui caratteristiche sono stabilite con regolamento dalla CONSOB, sentita la Banca d’Italia.
6. L’efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali conclusi fuori sede ovvero collocati a distanza ai sensi dell’articolo 32 è sospesa per la durata di sette giorni decorrenti dalla data di sottoscrizione da parte dell’investitore. Entro detto termine l’investitore può comunicare il proprio recesso senza spese nè corrispettivo al promotore finanziario o al soggetto abilitato; tale facoltà è indicata nei moduli o formulari consegnati all’investitore. La medesima disciplina si applica alle proposte contrattuali effettuate fuori sede ovvero a distanza ai sensi dell’articolo 32.
7. L’omessa indicazione della facoltà di recesso nei moduli o formulari comporta la nullità dei relativi contratti, che può essere fatta valere solo dal cliente.
8. Il comma 6 non si applica alle offerte pubbliche di vendita o di sottoscrizione di azioni con diritto di voto o di altri strumenti finanziari che permettano di acquisire o sottoscrivere tali azioni, purchè le azioni o gli strumenti finanziari siano negoziati in mercati regolamentati italiani o di paesi dell’Unione Europea.
9. Il presente articolo si applica anche ai prodotti finanziari diversi dagli strumenti finanziari e dai prodotti finanziari emessi dalle imprese di assicurazione, fermo restando l’obbligo di consegna del prospetto informativo.
IL CASO
MARIA GIALLO ha convenuto in giudizio la BANCA e il PROMOTORE FINANZIARIO abilitato all’offerta fuori sede di servizi di investimento, per sentir dichiarare la nullità, l’annullabilità o la risoluzione per inadempimento dei contratti di acquisto di “bond” Cirio, stipulati con la banca convenuta a mezzo del PROMOTORE FINANZIARIO e sentirli condannare alla restituzione del capitale investito, pari a Euro 56.134,54, oltre al risarcimento del danno esistenziale e di quello conseguente alle occasioni di investimento perdute.
La causa è stata decisa con sentenza che ha dichiarato la carenza di legittimazione passiva del PROMOTORE FINANZIARIO, ha accolto la domanda nei confronti della BANCA, condannandola alla restituzione delle somme ricevute ed ha rigettato la richiesta di risarcimento.
La decisione è stata appellata dalla BANCA in via principale e da MARIA GIALLO in via incidentale.
La Corte di Appello ha riformato la sentenza di primo grado, rigettando la domanda dell’originario attore.
In particolare la Corte di Appello ha rilevato che l’acquisto dei titoli in questione sarebbe intervenuto in esecuzione di contratti, che costituirebbero attuazione di un negozio “quadro” intervenuto fra l’investitore e la Banca, a cui non sarebbe stato applicabile il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 30, non potendo essere ricompresa l’operazione oggetto di esame nell’ambito della nozione del collocamento di strumenti finanziari ivi disciplinata.
Ancora la Corte di Appello ha ritenuto insussistente il denunciato difetto di forma, consistente nell’avvenuta sottoscrizione in bianco dei fogli d’ordine che avevano dato causa all’acquisto dei titoli, nonché gli ulteriori vizi comportamentali segnalati, individuati nell’inosservanza dell’obbligo di trasparenza, nell’effettuazione di offerta di titoli riservati ad investitori istituzionali, nella rischiosità dei prodotti negoziati, risultando al contrario provato il corretto comportamento dei dipendenti della banca.
MARIA GIALLO ha proposto ricorso per cassazione a cui ha resistito la Banca con controricorso.
La controversia è stata decisa con la sentenza in esame, che ha rigettato il ricorso con condanna alle spese.
LA DECISIONE
Con la sentenza in esame la Corte di Cassazione ha statuito in ordine all’applicabilità o meno del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 30, commi 6 e 7 alle operazioni effettuate dalla investitrice ovvero se tali operazioni potevano essere collegabili alla preesistenza di un precedente rapporto intercorso fra le stesse parti, vale a dire ad un negozio quadro sostanzialmente assimilabile ad un contratto di mandato.
In particolare la Corte ha concluso per l’inapplicabilità alla fattispecie in esame della citata norma, sul presupposto che non vi fosse coincidenza fra la definizione dell’offerta fuori sede, quale formalizzata dal legislatore nell’art. 30, comma 1, e l’ambito di esercizio del diritto di recesso riconosciuto dal comma 6 del medesimo articolo.
Tale diritto è stato, infatti, previsto per i contratti di collocamento di strumenti finanziari conclusi fuori sede (con esclusione pertanto di quelli soltanto promossi fuori sede, che viceversa rientrano nella previsione di cui al comma 1, lett. a), nonché limitatamente a quella parte dei servizi di investimento che riguarda la gestione di portafogli individuali e quindi, conclusivamente, in termini più contenuti e circoscritti rispetto alla fattispecie dell’offerta fuori sede delineata nel primo comma dell’art. 30.
Tanto, secondo la Corte, sarebbe confermato dalla circostanza che il legislatore ha direttamente richiamato nel sesto comma solo parte del contenuto del comma 1, operando viceversa una modificazione per il rimanente con la conseguenza che l’analiticità di una disciplina contenuta nel medesimo articolo, con prescrizioni solo in parte sovrapponibili, consentirebbe di escludere che la diversità del richiamo possa essere ricondotto a refusi o a imprecisioni terminologiche, e denota piuttosto la peculiarità dell’intento perseguito con la formulazione della disposizione in esame.
Conferma indiretta della specificità del riferimento al servizio di collocamento si trarrebbe – secondo il ragionamento operato – dal disposto del D.Lgs. n. 58, art.1, comma 5, che, nel ricomprendere tra i servizi di investimento distinte attività di negoziazione (“Le imprese di investimento possono procedere all’offerta fuori sede di prodotti diversi dagli strumenti finanziari e dai servizi e attività d’investimento…”), implicitamente presuppone sia la diversità di quest’ultima rispetto al collocamento, sia l’attenzione posta dal legislatore nella individuazione delle distinte fattispecie da sottoporre ad una comune disciplina.
Ancora la Corte ha ritenuto che si perverrebbe alle medesime conclusioni esaminando la “ratio” ispiratrice della disposizione di cui all’art. 30, comma 6, che riconosce all’investitore il diritto di recesso, essendo stata cura del legislatore, nel disciplinare l’offerta di prodotti finanziari, offrire una più ampia tutela, nell’ambito dei soggetti investitori, a quella parte di essi che avessero definito l’investimento in prodotti finanziari non già recandosi presso la sede dell’offerente, ma al contrario per essere stati da questo raggiunti all’esterno dei luoghi di pertinenza del proponente.
Il motivo della distinzione fra le due diverse categorie di investitori trova la sua ratio nel fatto che colui che si reca presso l’offerente con l’obiettivo di impiegare un risparmio ha maturato una propria convinta determinazione circa l’utilità dell’iniziativa adottata, determinazione viceversa non necessariamente sussistente – o quanto meno non sempre sorretta da adeguate certezze – per effetto della subita iniziativa da parte del venditore.
Con la sospensione, per l’investitore, dell’efficacia della vendita per un arco temporale di sette giorni il legislatore ha dunque ritenuto di poter correggere le eventuali distorsioni negoziali derivanti dall’eventuale effetto “sorpresa” subito dall’acquirente e di assicurare, quindi, un corretto equilibrio fra le posizioni dei due contraenti.
Tale interpretazione è in linea con quanto precisato dalla CONSOB secondo cui il servizio di collocamento è caratterizzato da un accordo tra emittente (o offerente) e collocatore, finalizzato all’offerta al pubblico di strumenti finanziari a condizioni di tempo e prezzo predeterminate, precisazione poi ulteriormente confortata dall’art.35 del Regolamento n.11522, secondo il quale nel prestare il servizio di collocamento gli intermediari si attengono alle disposizioni dell’offerente, al fine di assicurare l’uniformità delle procedure di offerta.
La Corte è pervenuta alle medesime conclusioni anche in caso di prodotti finanziari diversi da quelli indicati nell’art. 100, comma 1, lett. f), nel cui ambito non sarebbero annoverabili quelli oggetto della contestata transazione.
Anche nell’ipotesi indicata, infatti, l’applicabilità della disciplina dettata dall’art. 30 presupporrebbe la configurabilità di una offerta fuori sede, sicché, una volta escluso che sia stata posta in essere quest’ultima, ne discende automaticamente l’inconsistenza della relativa richiesta.
Da tali considerazioni la Corte ha statuito che in tanto può trovare ragionevole applicazione la disciplina dello “ius poenitendi”, in quanto si sia verificata una situazione in cui il risparmiatore sia stato esposto al rischio di assumere iniziative e prendere decisioni poco meditate, che va escluso nel caso in cui l’acquisto dei titoli possa essere collegato alla preesistenza di un precedente rapporto intercorso fra le stesse parti, vale a dire ad un negozio quadro sostanzialmente assimilabile (per l’aspetto dell’accordo che rileva in questa sede) ad un contratto di mandato.
Il fatto quindi che l’acquisto dei titoli non sia avvenuto per iniziativa dell’offerente, ma a seguito di un precedente accordo di carattere generale fra l’investitore ed il soggetto delegato per la definizione negoziale, comporta che nella specie sia ravvisabile una ipotesi di negoziazione e non una ipotesi di collocamento, come sostenuto dal ricorrente.
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