Provvedimento segnalato dal Dott. Donato Giovenzana, Legale d’Impresa con nota di accompagnamento
Il compimento di condotte volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, e ciò anche attraverso operazioni che risultino tracciabili, in quanto l’accertamento o l’astratta individuabilità dell’origine delittuosa del bene non costituiscono l’evento del reato, integra il reato di autoriciclaggio.
La vendita di diamanti a prezzi maggiorati configura tale reato, nonostante la tracciabilità dei passaggi.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, II sez. pen., Pres. Rago – Est. Sgadari, con la sentenza n. 37606 dell’11.09.2019.
La vicenda riguarda la ben nota vendita di diamanti a prezzi maggiorati rispetto al loro valore di mercato, effettuata da una società attraverso la collaborazione di funzionari di banca, i quali indirizzavano all’acquisto numerosi clienti delle banche, a ciò indotti per effetto di informazioni fasulle sul valore delle pietre e sulle modalità dell’investimento. I diamanti sarebbero stati consegnati dalla predetta società, sulla base di accordi presi con le banche, che ricevevano dalla società un corrispettivo per il fatto di indirizzare i propri clienti all’acquisto delle pietre preziose fornite da detta società. Il ricorrente è stato indagato quale consigliere di amministrazione e quale consulente della società.
Secondo quest’ultimo non potrebbe configurarsi oggettivamente il fumus del reato di autoriciclaggio, dal momento che mancherebbe nella condotta contestata la modalità prevista dalla legge di creare ostacolo concreto alla identificazione della provenienza delittuosa del bene oggetto di reimpiego.
La Suprema Corte ha ritenuto infondato il ricorso, respingendolo.
Infatti, secondo la Cassazione, la società – e per essa il ricorrente quale amministratore di fatto – nel 2014, aveva venduto diamanti ai clienti delle banche, attraverso il meccanismo truffaldino non contestato; aveva ottenuto un profitto illecito che, nel 2015, aveva reimpiegato nella propria attività imprenditoriale, acquistando altri diamanti (diversi da quelli già venduti) per la loro successiva rivendita, integrando il reato di autoriciclaggio in quanto partecipe del reato presupposto di truffa a monte commesso.
Che le operazioni di acquisto dei diamanti con il profitto del reato di truffa fossero state tracciabili, in quanto contenute nei bilanci della società, non è elemento idoneo ad escludere la sussistenza del reato di autoriciclaggio ed, in particolare, del requisito della idoneità del reimpiego ad ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa. Ad avviso degli Ermellini, il provvedimento impugnato ha messo in luce come le operazioni di acquisto dei diamanti con il profitto della truffa fossero state effettuate in favore di società di diritto estero, con conseguente maggiore complessità della ricostruzione dei flussi finanziari, con confusione nel patrimonio lecito di queste e con trasformazione della res (il denaro utilizzato per l’acquisto), in diamanti, a loro volta reimmessi nel circuito imprenditoriale facente capo alla società.
Per il che deve escludersi che simili operazioni di reimpiego di beni di provenienza illecita possano essere ricondotti a mera utilizzazione o godimento personali, così da essere scriminati ex art. 648-ter.1., comma 4, c.p.
Del resto, l’art. 648-ter.1, comma 4, c.p. è chiaro nella sua ratio: limitare la non punibilità ai soli casi in cui i beni proventi del delitto restino cristallizzati – attraverso la mera utilizzazione o il godimento personale – nella disponibilità dell’agente del reato presupposto, perché solo in tale modo si può realizzare quell’effetto di “sterilizzazione” che impedisce – pena la sanzione penale – la reimmissione nel legale circuito economico; ma la norma è anche sicuramente opportuna, proprio perché, con la tassativa indicazione dei casi di non punibilità, contribuisce a delimitare, in negativo, l’area di operatività di cui al primo comma, che, invece, descrive, in positivo, la condotta punibile.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
TRUFFA DEI DIAMANTI: LA BANCA È RESPONSABILE DEL DANNO SUBITO DAL CLIENTE E DEVE RISARCIRLO
SULLA BANCA GRAVAVA UN DOVERE DI DILIGENZA, IN VIRTÙ DELLE SUE SPECIFICHE COMPETENZE PROFESSIONALI
Ordinanza | Tribunale di Verona, Giudice Massimo Vaccari | 23.05.2019 |
https://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/truffa-dei-diamanti-la-banca-e-responsabile-del-danno-subito-dal-cliente-e-deve-risarcirlo
VENDITA DI DIAMANTI: INAPPLICABILITÀ DEL TUF PERCHÉ NON RICONDUCIBILE NÉ AGLI STRUMENTI NÉ AI PRODOTTI FINANZIARI
TALE OPERAZIONE NON COSTITUISCE ATTIVITÀ BANCARIA O FINANZIARIA
Sentenza | Tribunale di Parma, Giudice Giacomo Cicciò | 21.01.2019 |
https://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/vendita-di-diamanti-inapplicabilita-del-tuf-perche-non-riconducibile-ne-agli-strumenti-ne-ai-prodotti-finanziari
DIAMANTI DA INVESTIMENTO: LA NULLITÀ, L’ANNULLAMENTO O LA RISOLUZIONE DEL CONTRATTO PUÒ ESSERE CHIESTA SOLTANTO ALLA SOCIETÀ VENDITRICE
LA BANCA NON È RESPONSABILE DEL VALORE NOTEVOLMENTE INFERIORE RISPETTO AL PREZZO PAGATO
Sentenza | Tribunale di Milano, Giudice Claudio Antonio Tranquillo | 08.01.2019 | n.66
https://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/diamanti-da-investimento-la-nullita-lannullamento-o-la-risoluzione-del-contratto-puo-essere-chiesta-soltanto-alla-societa-venditrice
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