La clausola con cui la banca subordina l’esecuzione delle proprie operazioni al rilascio del consenso al trattamento dei dati sensibili, peraltro non pertinenti, contrasta con i principi informatori della legge sulla privacy, la quale ha natura di norma imperativa, contenendo tale normativa precetti che non possono essere derogati dall’autonomia privata in quanto posti a tutela di interessi generali, di valori morali e sociali pregnanti dell’ordinamento, finalizzati ai rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, quali la dignità, la riservatezza, l’identità personale e la protezione dei dati personali. Di talché la clausola con cui la banca ha subordinato il dar corso alle operazioni richieste dal cliente al consenso al trattamento dei dati sensibili è affetta da nullità in quanto contraria a norme imperative, a norma dell’art. 1418 c.c.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, I sez. civ., Pres. Sambito – Rel. Fidanzia, con l’ordinanza n. 26778 del 21.10.2018.
Un cliente di una banca chiede un pagamento a titolo di risarcimento del danno per responsabilità contrattuale dell’istituto di credito, in quanto quest’ultimo ha bloccato l’operatività del conto corrente bancario e del deposito titoli, nella titolarità del cliente, come conseguenza del fatto che non aveva voluto autorizzare la banca al trattamento dei suoi dati sensibili.
Secondo la Corte d’Appello, la banca, quale titolare del trattamento dei dati, nell’ambito della propria autonomia gestionale e contrattuale, poteva legittimamente ritenere necessario, per una completa e migliore gestione dei rapporti con la clientela, acquisire anche i dati sensibili del correntista. Peraltro, è altresì osservato, al correntista, all’atto della sottoscrizione del contratto, era stato evidenziato che in caso di mancata autorizzazione al trattamento dei dati sensibili, la banca non avrebbe potuto dar corso alle operazioni richieste, e, nonostante ciò, tali condizioni contrattuali furono liberamente sottoscritte dal cliente.
Secondo la Suprema Corte – non condividendo, anzi, confutando recisamente quanto deciso dai Giudici di prime e seconde cure – la clausola con cui la banca ha subordinato il dar corso alle operazioni richieste dal cliente al consenso al trattamento dei dati sensibili è affetta da nullità in quanto contraria a norme imperative, a norma dell’art. 1418 c.c. Ne consegue che la condotta con cui lo stesso istituto di credito ha successivamente provveduto al “blocco” del conto corrente e del deposito titoli, proprio perché trova il proprio titolo in una clausola nulla dalla stessa inserita, non lo esonera da responsabilità per inadempimento contrattuale.
Sul presupposto che la legge sulla privacy ha natura di norma imperativa, contenendo precetti che non possono essere derogati dall’autonomia privata in quanto posti a tutela di interessi generali, di valori morali e sociali pregnanti nel nostro ordinamento, finalizzati al rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, la Cassazione ha censurato la clausola del contratto di conto corrente con cui la banca ha subordinato l’esecuzione delle operazioni richieste dal cliente al rilascio del consenso al trattamento dei dati sensibili.
Tra i principi che regolano la tutela della c.d. privacy, è rilevato, rientra anche quello di minimizzazione nell’uso dei dati personali, dovendo essere utilizzati solo i dati indispensabili, pertinenti e limitati a quanto necessario per il perseguimento delle finalità per cui sono raccolti e trattati.
Nel caso di specie, la banca ha giustificato la necessità di un consenso obbligatorio del cliente al rilascio dell’autorizzazione al trattamento dei dati sensibili con la propria “policy” aziendale, ai fini di una imprecisata completa e migliore gestione dei rapporti con la clientela, precisando, anche secondo la ricostruzione dei giudici di merito, di ritenere necessario acquisire i dati sensibili, non nel senso “che la banca necessiti di avere a disposizione i dati c.d. sensibili per poter operare, ma nel senso che potendo tali dati venire a conoscenza dell’istituto di Credito, in via di cautela la banca vuole ottenere il consenso al loro trattamento”.
Per la Suprema Corte, tale affermazione non ha una giustificazione plausibile e quindi ha cassato la sentenza, con rinvio al giudice d’appello per nuovo esame e per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
PRIVACY: LA RICHIESTA DI ACCESSO AI DATI SENSIBILI DEVE ESSERE EVASA ENTRO 15 GIORNI
LA VIOLAZIONE DEL TERMINE COMPORTA LA LESIONE DEL DIRITTO DEL RICHIEDENTE A CONOSCERE LE MODALITÀ DEL LORO TRATTAMENTO
Sentenza | Tribunale di Roma, Giudice Luciana Sangiovanni | 07.01.2019 | n.23962
https://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/privacy-la-richiesta-di-accesso-ai-dati-sensibili-deve-essere-evasa-entro-15-giorni
PRIVACY: LA BANCA NON PUÒ PRODURRE I DATI PERSONALI DEL CLIENTE IN UN PROCEDIMENTO GIUDIZIARIO CONTRO IL PROMOTORE
È UNA VIOLAZIONE DEL DIRITTO AL CORRETTO TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI
Sentenza | Tribunale di Milano, Giudice Valentina Boroni | 23.07.2018 | n.1215
https://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/privacy-la-banca-non-puo-produrre-i-dati-personali-del-cliente-in-un-procedimento-giudiziario-contro-il-promotore
DOCUMENTAZIONE BANCARIA: IL DIFFERENTE AMBITO DI APPLICAZIONE DELL’ART. 119 TUB E DELL’ART. 7 C.D.P.
IL CODICE DELLA PRIVACY CONSENTE AI CLIENTI DELLE BANCHE L’ACCESSO GRATUITO SOLO AI PROPRI DATI PERSONALI
Sentenza | Tribunale di Siena, Giudice Marianna Serrao | 02.10.2018 | n.1099
https://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/documentazione-bancaria-il-differente-ambito-di-applicazione-dellart-119-tub-e-dellart-7-c-d-p
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