La legge n. 3/2012 – recante la disciplina sul sovraindebitamento (cd. “legge salva suicidi”) – prevede agli artt. 14-ter e ss. la possibilità per il debitore in stato di sovraindebitamento di chiedere, in alternativa alla proposta per la composizione della crisi (piano del consumatore o accordo di ristrutturazione dei debiti), la liquidazione di tutti i suoi beni, al fine di garantire la massima soddisfazione dei creditori e di conseguire all’esito della procedura la liberazione dei debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali (rectius esdebitazione) qualora risultino soddisfatti i requisiti di cui all’art. 14-terdecies L. 3/2012.
È bene qui fare una breve precisazione: la disciplina dell’esdebitazione – che rappresenta una eccezione alla regola generale stabilita dall’art. 2740 c.c. in tema di responsabilità patrimoniale per i debiti pregressi anche con beni futuri – segue l’impostazione già prevista dalla Legge Fallimentare agli artt.. 142 e ss. L.F. in caso di fallimento della persona fisica, tant’è che nel nuovo codice della crisi d’impresa la sezione I del Capo X disciplina l’esdebitazione sia nell’ambito della liquidazione giudiziale (oggi fallimento) che nella liquidazione controllata (oggi liquidazione del patrimonio). In particolare, si ritiene che l’inesigibilità dei debiti non soddisfatti – anche in ambito di sovraindebitamento – debba operare nei confronti dei creditori concorsuali – ovvero per coloro si sono insinuati al passivo, il cui accertamento è demandato al liquidatore nel caso della liquidazione ex art. 14-ter L. 3/2012 – e nei confronti dei creditori anteriori che non hanno proposto istanza di ammissione al passivo, ad eccezione delle somme che questi avrebbero percepito nel caso in cui avessero partecipato al concorso.
Tralasciando, in questa sede, le condizioni di inammissibilità previste dall’art. 7, comma 2, lettere a) e b), cui fa espresso rinvio il comma 1 dell’art. 14-ter , al successivo comma terzo viene elencata la documentazione da allegare alla domanda di apertura della liquidazione del patrimonio, tra cui “[…] l’inventario di tutti i beni del debitore, recante specifiche indicazioni sul possesso di ciascuno degli immobili e delle cose mobili […]”. Tale disposizione va interpretata in maniera rigida e perentoria e, quindi, rappresenta un requisito imprescindibile per l’accesso alla procedura de qua? Così come è impostata la norma, infatti, l’inosservanza di tale disposizione sembrerebbe propendere per un impedimento all’apertura della procedura di liquidazione, specialmente se si considera che lo stesso comma terzo contemporaneamente stabilisce che alla domanda deve essere allegata altresì una relazione particolareggiata dell’organismo di composizione della crisi che, a parere di chi scrive, rappresenta un adempimento vincolante.
La questione è stata di recente esaminata dal Tribunale Ordinario di Ivrea, il quale con decreto dell’8/11/2019 ha dichiarato aperta la procedura di liquidazione ex artt. 14-ter e ss. L. 3/2012 nei confronti di un lavoratore autonomo, nonostante quest’ultimo non avesse allegato alla domanda l’inventario di tutti i beni. Secondo il citato Tribunale, infatti, il requisito in esame deve essere interpretato “cum grano salis”, ovvero “con un pizzico di buon senso” e non in senso perentorio e preclusivo.
Ed infatti, la ratio di tale interpretazione è da ricercarsi nella circostanza che nell’ambito della procedura di liquidazione del patrimonio rappresenta un preciso compito del liquidatore, previsto dall’art. 14-sexies, formare l’inventario dei beni del debitore da sottoporre a liquidazione nei tempi e con le modalità che riterrà opportune, indicate nell’apposito programma di liquidazione redatto entro trenta giorni dalla formazione dell’inventario (art. 14-novies).
È condivisibile, quindi, l’interpretazione del terzo comma dell’art. 14-ter, in quanto l’eventuale inosservanza di tale disposizione, limitatamente all’inventario dei beni, è superata dalla formazione dell’inventario effettuata successivamente dal liquidatore nominato in caso di apertura della procedura di liquidazione, senza quindi che tale mancanza possa ledere le ragioni ed i diritti del debitore.
Del resto, anche il tenore dell’articolo 269 del nuovo codice della crisi d’impresa, in vigore dal prossimo agosto 2020, sembra seguire tale impostazione, laddove non è più espressamente previsto che alla domanda deve essere allegato l’inventario dei beni del debitore, bensì esclusivamente una relazione redatta dall’OCC […] che illustri la situazione economica, patrimoniale e finanziaria del debitore. […]
È evidente, dunque, l’intento del legislatore di semplificare l’accesso a tale procedura, che potrebbe rappresentare la migliore soluzione per la soddisfazione dei creditori e contemporaneamente per la liberazione, ampliando altresì il novero dei soggetti legittimati a richiederne l’apertura.
D’altronde, l’intento del Legislatore di semplificare e, quindi, consentire ai debitori l’accesso alla procedura de qua può evincersi anche tramite l’eliminazione della ulteriore causa ostativa – oggi vigente – di accesso alla procedura, consistente nell’aver compiuto atti in frode ai creditori nei precedenti cinque anni dalla richiesta. Difatti, l’art. 270 del codice della crisi d’impresa, rubricato “Apertura della liquidazione controllata”, non contempla più tale requisito – oggi vincolante – per procedere all’apertura della procedura di liquidazione (con sentenza).
Anche in questo caso, probabilmente la ratio di tale nuova impostazione va ricercata nella figura del liquidatore, in quanto quest’ultimo è – di fatto – legittimato ad esperire ogni azione e attività che sia a beneficio dei creditori (al pari del curatore fallimentare), tra cui ad esempio eventuali azioni revocatorie e/o di responsabilità.
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