Nel processo tributario di appello l’Amministrazione finanziaria non può mutare i termini della contestazione, deducendo motivi e circostanze diversi da quelli contenuti nell’atto di accertamento, Altresì, il divieto di domande nuove previsto all’art. 57, comma 1, D.Lgs. n. 546 del 1992, trova applicazione anche nei confronti dell’Ufficio finanziario, al quale non è consentito, innanzi al giudice d’appello, avanzare pretese diverse, sotto il profilo del fondamento giustificativo e, dunque, sul piano della causa petendi, da quelle recepite nell’atto impositivo. Diversamente sarebbe lesa la concreta possibilità per il contribuente di esercitare il diritto di difesa mediante l’esternazione dei motivi di ricorso, i quali vanno necessariamente rapportati a ciò che nell’atto stesso risulta esposto.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Sez. Trib., Pres. Napolitano – Rel. Federici, con l’ordinanza n. 5160 resa il 26 febbraio 2020.
Nella vicenda in esame, una società contribuente aveva impugnato l’atto impositivo col quale l’Amministrazione finanziaria aveva disconosciuto, in particolare, l’inerenza di alcuni costi di pubblicità nell’ambito di una sponsorizzazione. In primo grado, la CTP aveva accolto le doglianze della società. Dinanzi alla CTR, l’Agenzia aveva affermato che tali costi costituissero spese di rappresentanza (e non di pubblicità) e come tali fossero deducibili solo parzialmente: un assunto diverso rispetto a quanto sostenuto nell’atto impositivo. Nonostante la società avesse eccepito l’inammissibilità di questa contestazione “nuova”, la Commissione Tributaria Regionale aveva ritenuto accolto l’appello dell’Amministrazione finanziaria.
La società ha quindi interposto ricorso per Cassazione, specificando che l’accoglimento della pretesa del fisco trova presupposto in una ragione nuova, posta a fondamento del recupero a tassazione dei costi di sponsorizzazione, non più contestati dalla Amministrazione per difetto di inerenza, ma sotto l’aspetto della diversa natura dei medesimi, ossia non come spese di pubblicità, ma quali spese di rappresentanza. Si tratterebbe quindi di un nuovo motivo pertanto la sentenza della CTR sarebbe nulla per violazione dell’articolo 7, comma 1 e 2 del d.lgs. 546/1992, nonché dell’articolo 112 c.p.c.
La Suprema Corte ha accolto le ragioni del contribuente, cassando la sentenza impugnata.
In particolare, gli Ermellini hanno chiarito che il divieto di domande nuove previsto al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 1, trova applicazione anche nei confronti dell’Ufficio finanziario, al quale non è consentito, innanzi al giudice d’appello, avanzare pretese diverse, sotto il profilo del fondamento giustificativo, e dunque sul piano della causa petendi, da quelle recepite nell’atto impositivo.
Nel caso di specie, la violazione risulta evidente sotto il profilo della causa petendi, poiché l’Amministrazione finanziaria nell’atto impositivo aveva fondato la ripresa a tassazione sull’assenza di inerenza dei costi in questione, qualificati come spese di pubblicità, mentre con l’atto d’appello inquadrava i medesimi costi come spese di rappresentanza e disconosceva la sola parziale deducibilità degli stessi. Ma anche sotto il profilo del petitum, poiché nell’atto impositivo si negava del tutto la deducibilità dei predetti costi, mentre nell’atto di appello la deducibilità di tali spese veniva limitata ma non esclusa.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
DOMANDE NUOVE IN APPELLO: IRRILEVANTE L’ACCETTAZIONE DEL CONTRADDITTORIO
È RILEVABILE IN SEDE DI LEGITTIMITÀ ANCHE D’UFFICIO
Sentenza | Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Pres. Petitti – Rel. Genovese | 09.01.2020 | n.157
APPELLO: ERRONEA LA SENTENZA CHE ACCOLGA LA DOMANDA FONDATA SU UN FATTO DIVERSO DA QUELLO DEDOTTO IN PRIMO GRADO
SI HA DOMANDA NUOVA, INAMMISSIBILE IN APPELLO, QUANDO IL DIVERSO TITOLO GIURIDICO DELLA PRETESA COMPORTI IL MUTAMENTO DEI FATTI COSTITUTIVI E ALTERI I TERMINI DELLA CONTROVERSIA
Sentenza | Corte di cassazione, Sezione Seconda | 26.11.2014 | n.25147
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