Provvedimento segnalato e commentato dall’Avv. Matteo Pancaldi del Foro di Ferrara
Con sentenza depositata il 17 Febbraio 2020, il Tribunale di Ferrara ha rigettato il ricorso promosso dalla Curatela volto al riconoscimento ed estensione del fallimento ex art. 147 co. 1 e 5 del R.D. 16 Marzo 1942 n. 267 nei confronti di alcune società di capitali e soci persone fisiche costituenti tra loro, nella prospettazione del ricorrente, una supersocietà di fatto.
Il Tribunale osservava innanzitutto che è configurabile una società di fatto anche tra società di capitali, il cui fallimento di una consente l’estensione ex lege ai sensi dell’art. 147 co. 1 e 5 L.F. nei confronti delle altre, senza necessità di dimostrare la loro specifica insolvenza.
La prova della sussistenza della supersocietà di fatto, osserva il Tribunale, deve essere fornita in via rigorosa, in primo luogo attraverso la dimostrazione del comune intento sociale perseguito, che deve essere conforme, e non contrario, all’interesse dei soci.
L’istruttoria svolta nel corso del giudizio aveva consentito di accertare che l’amministrazione e la gestione delle società erano concretamente riconducibili ad unica persona. In particolare, era accertata l’esistenza di interconnesse operazioni amministrative bancarie e finanziarie promiscue tra le società immobiliari ed i soci della delineata società di fatto, tra cui compravendite, locazioni, riscossione e contabilizzazione di canoni di locazione, concessioni in comodato, mutui e finanziamenti, trattative con l’Agenzia delle Entrate, conferimenti societari, tutte gestite per il tramite di un solo singolo soggetto vertice della piramide.
Il parallelo processo penale aveva inoltre accertato l’estraneità dei familiari ricoprenti ruoli di soci e amministratori, non rivestendo loro alcun potere decisionale all’interno delle società, essendo la gestione delle stesse in capo allo stesso soggetto che ne deteneva di fatto la direzione e il controllo.
Nel giudizio tuttavia rimaneva non accertata l’esistenza di un fondo comune per il perseguimento dei medesimi interessi tra le varie società coinvolte, né era individuabile uno scopo comune tra i singoli enti, presupposto indefettibile per il riconoscimento della società di fatto. Il Tribunale rilevava dall’istruttoria espletata che le singole società perseguivano in realtà non una finalità condivisa, ma l’interesse della persona fisica che ne aveva, concretamente, il controllo, ad ulteriore conferma che il discrimen tra supersocietà ed holding di fatto risiede nel tipo di interesse che viene perseguito.
Il Tribunale rilevava perciò che le condotte descritte dalla Curatela istante portavano a dimostrare non tanto l’esistenza di una c.d. supersocietà di fatto, bensì un fenomeno di eterodirezione che, secondo le regole del diritto societario, sussistendone i presupposti, può costituire un fenomeno di abuso sanzionabile con il rimedio di cui all’art. 2497 c.c..
La decisione del Tribunale di Ferrara si assesta perciò sull’orientamento giurisprudenziale che ammette il fallimento ope legis in estensione ex art. 147 comma L.F. della supersocietà di fatto ma lo nega per la holding occulta, come quella di specie, ove il Curatore può esercitare l’azione ex art. 2497 c.c. qualora risulti che la società controllata abbia subito danni in ragione della direzione illegittima. Per Cass. Civ. 10507/2016, “il fatto che le singole società perseguano invece l’interesse delle persone fisiche che ne hanno il controllo (anche solo di fatto) costituisce, piuttosto, prova contraria all’esistenza della supersocietà di fatto e, viceversa, prova a favore dell’esistenza di una holding di fatto, nei cui confronti il curatore potrà eventualmente agire in responsabilità e che potrà eventualmente essere dichiarata autonomamente fallita, ove ne sia accertata l’insolvenza a richiesta di un creditore”.
Nulla toglie, tuttavia, che una volta accertata la sussistenza di una holding di fatto, questa possa essere dichiarata autonomamente fallita, in quanto “la società di fatto “holding” esiste come impresa commerciale per il solo fatto di essere stata costituita tra i soci per l’effettivo esercizio dell’attività di direzione e coordinamento di altre società ed è, pertanto, autonomamente fallibile” (Cass. Civ. 15346/2016).
È infine opportuno segnalare che, nel caso di specie, il Tribunale non poteva comunque procedere all’estensione del fallimento nei confronti della supersocietà di fatto, appurato che due tra le società resistenti coinvolte non versavano in stato di insolvenza ex art. 5 L.F. In tal senso, correttamente il Tribunale osservava che la prova dello stato di insolvenza della società di fatto delineata non è circostanza rinvenibile de plano dalla già avvenuta dichiarazione di fallimento.
Secondo il Tribunale, la prova dello stato d’insolvenza dell’ente di fatto è presupposto indefettibile anche alla luce dell’art. 256, comma 5, D.lgs. 12.1.2019, n. 14, il quale non ha configurato la possibilità di dichiarare il fallimento della supersocietà di fatto in assenza dell’accertamento autonomo dello stato di insolvenza.
Dalla lettura la relazione illustrativa emerge infatti che l’art. 256 del nuovo Codice non ha fatto altro che recepire l’orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione sul punto (Cass. Civ. 1095/2016), attribuendo un rilievo effettivo alla c.d. supersocietà di fatto, laddove nell’art. 256, comma 5 è stato aggiunto il riferimento della società accanto a quello dell’imprenditore individuale.
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