È omologabile, in assenza di specifica disposizione di legge sul termine massimo per il compimento dei pagamenti, la proposta di piano del consumatore per la soluzione della crisi da sovraindebitamento che preveda una dilazione dei pagamenti di significativa durata, anche superiore ai cinque o sette anni, non potendosi escludere che gli interessi dei creditori risultino meglio tutelati da un piano siffatto, rispetto alle possibili alternative di soddisfacimento, in quanto la valutazione di convenienza è pur sempre riservata ai creditori, cui deve essere assicurata la possibilità di esprimersi sulla proposta, anche alla luce del principio di origine comunitaria della cd. “second chance” in favore degli imprenditori, ispiratore della procedura.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Sez. I civ., Pres. Didone – Rel. Campese, con l’ordinanza n. 27544 del 28.10.2019.
IL RIFERIMENTO NORMATIVO
Legge n. 3 del 2012
Art. 8 Contenuto dell’accordo o del piano del consumatore
Comma 4
“La proposta di accordo con continuazione dell’attività d’impresa e il piano del consumatore possono prevedere una moratoria fino ad un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione”.
LA CONTROVERSIA
La vicenda giudiziaria riguarda un debitore che ha impugnato per cassazione il provvedimento reiettivo del reclamo dal medesimo proposto avverso il decreto con il quale il Tribunale di Rovigo aveva respinto l’istanza di omologazione del piano nell’ambito della procedura di sovraindebitamento disciplinata dalla L. n. 3 del 2012, come integrata dalla L. n. 221 del 2012.
Nella specie, il Tribunale aveva ritenuto lo stesso non omologabile solo perché di eccessiva durata, prevedendo una dilazione dei pagamenti fino a quasi dodici anni.
Il ricorrente ha censurato il detto provvedimento sulla base di due motivi:
1) “Violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per violazione della L. n. 3 del 2012, art. 8, comma 4, e art. 186-bis L. Fall” laddove il giudice di merito ha ritenuto utilizzabile la moratoria di un anno prevista dal comma 4 del predetto testo normativo. Il ricorrente, al riguardo, ha ritenuto che, ove nel piano del consumatore la moratoria annuale costituisca un limite invalicabile, una siffatta interpretazione comporterebbe una irragionevole disparità di trattamento tra imprenditori in crisi e/o sovraindebitati e consumatori;
2) “Violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per violazione della L. n. 3 del 2012, artt. 7, 8 e 12-bis” laddove il giudice di prime cure ha ritenuto utilizzabile il limite quinquennale quale durata massima del piano del consumatore.
Sul punto, il ricorrente ha rappresentato che non sussistono nella citata legge richiami, seppure impliciti, all’applicabilità, anche al piano del consumatore, del principio, di derivazione giurisprudenziale, di un limite di durata massima quinquennale, generalmente applicato, per prassi, nel concordato preventivo. Ove si opinasse diversamente, infatti, si verificherebbe, nella maggior parte dei casi, un pregiudizio economico in capo al debitore, il quale perderebbe ogni tipo di interesse e di vantaggio alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.
La controricorrente ha, in via pregiudiziale, sollevato l’eccezione di inammissibilità del ricorso ex art. 111 Cost., sul duplice presupposto che il provvedimento impugnato fosse privo dei caratteri della definitività e decisorietà.
La Suprema Corte, investita del thema decidendum, ha, in primo luogo, disatteso l’eccezione di inammissibilità della controricorrente.
In secondo luogo, gli Ermellini hanno ritenuto fondati entrambi i motivi di ricorso.
In particolare, la Corte ha evidenziato che è diffusa l’opinione, tra i giudici di merito, che la fase esecutiva di un concordato liquidatorio debba concludersi in un arco temporale non superiore al triennio mentre un concordato in continuità aziendale debba esaurirsi nell’ambito del quinquennio.
Tuttavia, è noto, poi, che la L. 27 gennaio 2012, n. 3, nell’introdurre, con gli artt. 6 e ss., le procedure di composizione della crisi (l’accordo di composizione della crisi, il piano del consumatore e la liquidazione del patrimonio) al fine di porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento per i debitori non assoggettabili alle (altre) procedure concorsuali, non ha previsto un limite massimo di durata di queste procedure, né indicazioni al riguardo si rinvengono nel nuovo Codice della Crisi d’impresa.
Orbene, il Collegio ha rilevato che non può aprioristicamente escludersi che gli interessi del creditore risultino meglio tutelati con un piano del consumatore, che pur preveda una dilazione di significativa durata (anche superiore ai 5-7 anni), piuttosto che per mezzo della vendita forzata dei beni del patrimonio del debitore. E ciò accade, ad esempio, ogniqualvolta il piano preveda il pagamento integrale del debito, mentre il patrimonio del debitore, aggredibile tramite esecuzione forzata, non sia in grado di soddisfare integralmente le ragioni del creditore, in quanto costituito da un unico bene di rilievo (si pensi all’immobile adibito ad abitazione) il cui valore sia pari od inferiore all’ammontare dei debiti. Pertanto, se la ratio dell’applicazione del limite implicito di durata massima è quella di tutelare il creditore, nei casi appena visti non si vede perché non possa derogarsi a tale limite, concedendo l’omologa al piano, anche se di durata ultraquinquennale.
Inoltre, la durata della procedura va computata con riguardo al decreto di omologa, non potendosi ricomprendere la fase esecutiva nell’ambito operativo della legge Pinto ai fini del computo del termine.
Per gli Ermellini, tale soluzione ha il merito di valorizzare il principio ispiratore delle procedure in esame, vale a dire il principio, di origine comunitaria, della cd. second chance, che trova oggi enunciazione positiva nel regolamento Europeo sulle procedure di insolvenza (cfr. “Considerando” 10 Reg. 848/2015 UE), e mira a garantire una seconda opportunità agli imprenditori o ai consumatori che si distinguono per meritevolezza e non abbiano causato il proprio dissesto economico in mala fede o in modo fraudolento.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, la Suprema Corte ha accolto i motivi di ricorso, cassato il provvedimento impugnato e rinviato al Tribunale di Rovigo, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
SOVRAINDEBITAMENTO: il decreto di rigetto del reclamo contro il diniego all’apertura della liquidazione non è ricorribile per cassazione
Difetta dei requisiti della definitività e della decisorietà
Sentenza | Corte di Cassazione, Sez. I civ, Pres. Genovese – Rel. Terrusi | 03.07.2019 | n.17836
SOVRAINDEBITAMENTO: IL DEBITORE PUÒ ACCEDERE ALLA PROCEDURA DI LIQUIDAZIONE SENZA UN PATRIMONIO DA LIQUIDARE
È POSSIBILE, SU ISTANZA DEL DEBITORE E DI UN CREDITORE, CONVERTIRE LA PROCEDURA DI COMPOSIZIONE DELLA CRISI IN QUELLA DI LIQUIDAZIONE
Decreto | Tribunale di Matera, Pres. Pica – Rel. Caradonio | 24.07.2019 | n.1031
SOVRAINDEBITAMENTO: SOLO IL GIUDICE DI TALE PROCEDURA PUÒ DISPORRE LA SOSPENSIONE DI QUELLA ESECUTIVA
LA SEMPLICE PRESENTAZIONE DELL’ISTANZA DI NOMINA DEL PROFESSIONISTA IN RELAZIONE AL PIANO DEL CONSUMATORE NON PUÒ PORTARE AD ALCUNA SOSPENSIONE
Sentenza | Tribunale di Monza, Giudice Giovanni Battista Nardecchia | 08.07.2019 | n.1664
SOVRAINDEBITAMENTO: LA DECLARATORIA DI INAMMISSIBILITÀ NON ESCLUDE LA REITERABILITÀ DELLA PROPOSTA
SOLO LA EFFETTIVA FRUIZIONE DELL’ISTITUTO NEI SUOI EFFETTI ESDEBITATORI NEI 5 ANNI PRECEDENTI È IMPEDITIVA
Decreto | Tribunale di Mantova, Pres. est. Mauro Bernardi | 05.05.2019 |
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