A cura dell’Avv. Lucio A. de Benedictis del Foro di Trani
SOMMARIO: 1. Il negozio indiretto. – 2. Revocabilità dell’ipoteca – 3. Contratto in frode alla legge. – 4. Le caratteristiche tipiche del mutuo fondiario in relazione al valore del bene.
La sentenza in commento riguarda un caso in cui l’imprenditore poi fallito, debitore di un Istituto di Credito per varie somme dovute a fronte di scopertura di c/c e mutuo chirografario, aveva dovuto accettare la stipula di un mutuo ipotecario il cui ricavato era andato a deconto delle esposizioni (chirografarie) esistenti, poi azzerate. Intervenuto il fallimento, la Banca aveva chiesto l’insinuazione del credito ritenuto ipotecario che il Tribunale aveva negato, non riconoscendo il privilegio richiesto, ma ammettendo le somme dovute in chirografo. Da qui l’opposizione rigettata e poi il ricorso per Cassazione che confermava il provvedimento del Tribunale.
1. Il Tribunale nel caso in questione ha ritenuto di inquadrare la fattispecie complessa intercorsa nell’ambito del negozio indiretto. È noto che tale istituto è stato elaborato dalla giurisprudenza per attuare una giustizia sostanziale e non meramente formale, dovendo lo Stato affermare e tutelare solo la realizzazione degli scopi tipici cui una figura giuridica è deputata e non favorire le interpretazioni formali che portano a risultati aberranti. Se, infatti, l’ordinamento, si trova davanti atti o un complesso di atti finalizzati a raggiungere un risultato diverso rispetto allo scopo tipico dei singoli atti utilizzati, l’ordinamento stesso non può che reagire verificando che la causa del o dei negozi posti in essere corrisponda a quella tipica prevista dall’ordinamento. Nel caso, poi, il negozio (od il complesso di negozi) venga in rilievo nell’ambito di una procedura fallimentare, occorre anche affermare la par condicio creditorum. Deve quindi ritenersi non tutelabile, secondo gli schemi del negozio indiretto, l’utilizzo di una forma tipica (il mutuo fondiario) per perseguire scopi illeciti, vale a dire la trasformazione della garanzia da chirografaria ad ipotecaria. In questa ipotesi, infatti, si ha un atto (il contratto di mutuo fondiario) che preso singolarmente è lecito, ma combinato con la preesistenza del debito ed il fine ultimo perseguito dall’istituto di credito di trasformazione della garanzia da chirografaria ad ipotecaria, produce un risultato vietato.
2. La giurisprudenza così si è espressa sulla revocabilità della sola ipoteca: Qualora venga dichiarato il fallimento dell’obbligato, è revocabile ex art. 67 legge fall. l’ipoteca, accessoria ad un mutuo, che integri in concreto una garanzia costituita per un debito chirografario preesistente, ma la revoca di detta ipoteca non comporta necessariamente l’esclusione dall’ammissione al passivo di quanto erogato per il suddetto mutuo, essendo l’ammissione incompatibile con le sole fattispecie della simulazione e della novazione, e non anche con quella del negozio indiretto, poiché, in tal caso, la stessa revoca dell’intera operazione – e, quindi, anche del mutuo – comporterebbe pur sempre la necessità di ammettere al passivo la somma (realmente) erogata in virtù del mutuo revocato, e ciò in quanto all’inefficacia del contratto conseguirebbe pur sempre la necessità di restituzione, sia pur in moneta fallimentare. Pertanto deve ritenersi che ogni qualvolta si ponga in essere da parte della Banca una operazione complessa volta a creare una garanzia ipotecaria prima inesistente utilizzando lo schema del mutuo fondiario, ma senza che vengano rispettate le tipicità e la ratio di tale istituto, si è in presenza di un negozio indiretto, come tale soggetto a revoca per tutti i soggetti che di fronte alla cogenza della legge non possono vantare posizioni di supremazia od altro.
3. Altra prospettiva utilizzabile è quella del contratto in frode alla legge che, in base all’art. 1344 c.c. è quel contratto che ha causa illecita in quanto “costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa”. Sia infatti che si intenda la causa in senso soggettivo (che si identifica nel motivo ultimo e determinante della volontà negoziale, nel concreto scopo per il quale il soggetto assume l’obbligazione), sia che la si intenda in senso oggettivo (elemento avente natura oggettiva, propria della struttura dell’atto: cioè fondamento di ciascuna singola attribuzione dedotta nel sinallagma contrattuale), sia infine che costituisca la funzione economico-sociale del contratto (che da rilevanza all’intento riconducibile nel caso specifico ai contraenti, all’interesse dai medesimi avuto di mira nella singola contrattazione), in ogni caso il risultato non cambia. Infatti, nella valutazione della causa in concreto occorre pur sempre verificare gli scopi concretamente perseguiti dalle parti, senza partire dallo schema contrattuale utilizzato. Nella specie non è lecito alterare la par condicio creditorum in una situazione di decozione comprovata, perchè in tal caso viene posto in essere un contratto tipico con causa illecita. La giurisprudenza di legittimità (Cass., 28 settembre 2016, n. 19196, in Foro it., rep. 2016, voce Contratto in genere, n. 407), ha anche ritenuto che “La violazione di una norma imperativa non dà luogo necessariamente alla nullità del contratto, giacché l’art. 1418, 1º comma, c.c., con l’inciso “salvo che la legge disponga diversamente”, impone all’interprete di accertare se il legislatore, anche nel caso di inosservanza del precetto, abbia consentito la validità del negozio predisponendo un meccanismo idoneo a realizzare gli effetti voluti della norma, sicché, in assenza di un divieto generale di porre in essere attività negoziali pregiudizievoli per i terzi, la stipulazione di un contratto di mutuo ipotecario in violazione dell’art. 216, 3º comma, l.fall., che punisce la condotta di bancarotta preferenziale, non dà luogo a nullità per illiceità di causa, ai sensi del citato art. 1418, ma costituisce il presupposto per la revocazione degli atti lesivi della par condicio creditorum”. Nel caso di mutuo fondiario stipulato al fine della trasformazione della garanzia da chirografaria ad ipotecaria, è evidente che si pone in essere un atto volto ad eludere la par condicio creditorum, per cui tale complessivo negozio, non può essere ritenuto meritevole di tutela anche perchè in tal modo si viola l’art. 1344 c.c..
4. Gli artt. 38 e 39 T.U.B., indicano quali sono le caratteristiche che deve avere il mutuo fondiario, non possono essere interpretati in maniera asettica, non potendosi definire semplicemente un mutuo fondiario solo quello relativo a “finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili” (così l’art. 38, comma 1 T.U.B.). Nè è possibile invocare a fronte di un rispetto solo letterale dell’art. 38 cit. l’esenzione da revocatoria prevista dal successivo art. 39 T.U.B.. Le norme, infatti, vanno lette nel loro complesso, dovendosi anche verificare il rispetto di quanto indicato nel secondo comma dell’art. 38 T.U.B., norma che prescrive l’ammontare massimo dei finanziamenti rapportato al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi. Da qui il corollario che nella complessa verifica del negozio che il Giudice è chiamato a fare, rientra la verifica di tutti gli elementi necessari ed essenziali al fine di statuire se trattasi di semplice mutuo ipotecario (come tale revocabile nell’ambito dei requisiti temporali dell’art. 67 L.F.) ovvero di quel qualcosa in più che è il mutuo fondiario. Nel caso di cui si è occupata la sentenza in commento, il mutuo fondiario sia per le finalità perseguite dalla Banca, sia per le modalità in cui si è pervenuti alla stipula non è stato ritenuto tale, sia perchè manca la necessaria contestualità dell’ipoteca al sorgere del credito3 , sia per aver la Banca omesso totalmente la prova dei requisiti di cui al secondo comma dell’art. 38 cit., dovendo operarsi anche la verifica dei limiti di finanziabilità), per aver ritenuto che la semplice intitolazione di mutuo fondiario fosse sufficiente a garantire gli effetti voluti dalla banca che erano quelli di trasformare una credito chirografario in uno ipotecario. Il tutto presupponendo che la ratio dell’art. 38 cit. fosse quella di tutela della stabilità patrimoniale della singola banca, laddove invece gli interessi generali dell’ordinamento presuppongono la lettura combinata sia della legge bancaria che, nel caso in riferimento, di quella fallimentare. Pertanto, se non c’è credito fondiario ex art. 38 TUB per carenza di causa, nemmeno l’ipoteca può dirsi consolidata ai sensi dell’art. 39 TUB, mancando la sussistenza del credito fondiario e la stessa va revocata, escludendosi qualsiasi privilegio.
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