In tema di procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento ex L. 3/2012, nel giudizio di omologazione del piano, così come avviene nel concordato, il controllo della regolarità della procedura impone al tribunale la verifica della persistenza sino a quel momento delle stesse condizioni di ammissibilità della procedura già scrutinate nella fase iniziale.
Tale controllo deve riguardare, oltre che l’assenza di atti in frode ai creditori, anche la ricorrenza di tutti i requisisti di ammissibilità previsti dagli artt. 7, 8 e 9 L. n. 3/2012.
Del resto, il giudizio di ammissione alla procedura ex art. 12 bis legge n. 3/2012, in ordine ai requisiti di cui ai sopra ricordati artt. 7, 8 e 9, medesima legge, riguarda uno scrutinio delibativo iniziale i cui esiti ben possono essere rimessi in discussione e rivisitati nella successiva fase di omologazione del piano del consumatore.
La rivalutazione dei presupposti di ammissibilità ben può essere effettuata nell’ipotesi, affatto peculiare, in cui l’originario provvedimento di inammissibilità del piano decretato dal tribunale in prime cure sia stato oggetto di riforma in sede di reclamo, “riaprendo”, dunque, il corso della procedura da sovraindebitamento.
Ne consegue che la “riassunzione” della procedura di nuovo innanzi al tribunale deve ritenersi, nella sostanza, come una “nuova” domanda di piano del consumatore, per la quale il giudice dell’omologazione è investito dello scrutinio di tutti i presupposti “iniziali” di ammissibilità del piano presentato dal consumatore, così come avviene nella procedura negoziata della crisi di impresa.
Questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione, Sez. I, Pres. Didone – Rel. Amatore, con l’ordinanza n. 27547 del 28.10.2019.
La vicenda processuale che ha condotto, in ultima istanza, al giudizio di legittimità è piuttosto complessa e merita un riepilogo analitico:
a) con reclamo ex lege 3/2012, due coniugi “sovraindebitati” avevano impugnato il decreto con il quale il Tribunale di Ancona aveva rigettato la domanda di omologazione del piano del consumatore;
b) i reclamanti, in precedenza, avevano presentato, infatti, un piano per il risanamento dell’esposizione debitoria;
c) l’O.C.C., aveva attestato la fattibilità del piano;
d) il Tribunale aveva, tuttavia, dichiarato inammissibile il piano presentato;
e) i “soccombenti”, dunque, avevano proposto reclamo innanzi alla Corte di appello (peraltro in contraddizione con quanto previsto dall’art. 10 co. 6 della L. 3/2012 che prevede la proponibilità del reclamo al tribunale), che adita aveva annullato il decreto dichiarativo dell’inammissibilità oggetto di reclamo, dichiarando, dunque, ammissibile il ricorso per l’accesso alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento;
f) la causa era stata pertanto riassunta davanti al Tribunale di Ancona che aveva però rigettato, come sopra premesso, la domanda di omologazione del piano;
g) i debitori, con nuovo reclamo, avevano chiesto la revoca del provvedimento impugnato e l’omologazione del piano del consumatore;
h) il creditore, poi ricorrente in sede di legittimità, aveva chiesto il rigetto del reclamo, evidenziando che:
- i debitori avevano compiuto un atto in frode ai creditori attraverso la donazione ai figli dei loro cespiti immobiliari, donazione già oggetto di impugnativa per revocatoria e di revoca giudiziale con sentenza passata in giudicato;
- i medesimi debitori avevano contratto obbligazioni, senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere;
- la vendita dell’immobile di proprietà dei reclamanti avrebbe potuto soddisfare i creditori, in misura superiore all’esecuzione del piano;
- nel corso degli anni i reclamanti si erano indebitati, nella piena consapevolezza di non poter onorare i debiti contratti.
i) il tribunale ha, infine, accolto il reclamo dei debitori, ritenendo il piano meritevole di omologazione e disattendendo, in particolare, la doglianza del creditore circa la valutazione degli “atti in frode”.
Onde, il ricorso per cassazione promosso dal creditore avverso l’ultimo decreto di “omologazione” del piano, affidato a quattro motivi.
Di questi, il primo motivo è stato ritenuto meritevole di accoglimento dalla Suprema Corte, “assorbendo” l’esame degli altri tre.
Più in particolare, con il primo motivo la parte ricorrente ha lamentato l’omessa valutazione della prova in ordine all’esistenza di atti compiuti in frode ai creditori, in relazione al disposto di cui all’art. 9, comma 3 bis, legge n. 3/2012.
In particolare, il ricorrente ha osservato che il tribunale non aveva considerato l’atto in frode ai creditori (che si era concretizzato nell’atto di donazione dei cespiti immobiliari in favore dei figli, oggetto di revoca giudiziale attraverso la sentenza del Tribunale di Ancona), come causa ostativa all’ammissibilità (prima) e alla omologabilità (poi) del piano del consumatore proposto, ai sensi dell’art. 12 bis I. 3/2012. Ulteriore causa ostativa alla omologabilità del piano era l’incompletezza della relazione presentata dall’O.C.C. in virtù mancata evidenziazione delle spese di procedura esecutiva relative alla vendita e alla custodia dell’immobile, nonché in riferimento alle cause dell’indebitamento, all’esame della diligenza dimostrata dai debitori nell’assumere le obbligazioni e alla ritenuta completezza della documentazione consegnata dai debitori stessi.
La Corte, nell’accogliere il primo motivo di doglianza, ha ritenuto non discutibile il fatto che la Corte territoriale, decidendo sul reclamo proposto dai debitori avverso il decreto dichiarativo della inammissibilità avesse anche accertato che i debitori non avevano “commesso atti in frode ai creditori”, evidenziando la completezza della documentazione presentata dai debitori e la sussistenza delle altre condizioni di ammissibilità del piano, ai sensi degli artt. 7, 8, 9 e 12 bis I. n 3/2012.
Il Supremo Collegio ha quindi osservato che le questioni di ammissibilità (o meglio di inammissibilità) dedotte dal creditore come profili ostativi all’ammissibilità (e dunque anche all’omologabilità) del piano non possano ritenersi coperte da “giudicato interno”, perché già decise nel precedente provvedimento della corte territoriale.
Invero, nel giudizio di omologazione del piano, così come avviene nel concordato, il controllo della regolarità della procedura impone al tribunale la verifica della persistenza sino a quel momento delle stesse condizioni di ammissibilità della procedura già scrutinate nella fase iniziale, e dunque, come nella procedura pattizia di regolamentazione della crisi di impresa, la verifica deve riguardare anche l’assenza di atti o fatti di frode e, in caso di riscontro positivo di tali condizioni, il rispetto delle regole che impongono che la formazione del consenso dei creditori sulla proposta concordataria sia stata improntata alla più consapevole ed adeguata informazione; così, nella procedura di omologazione del piano del consumatore, tale controllo deve riguardare, oltre che l’assenza di atti in frode ai creditori, anche la ricorrenza di tutti i requisisti di ammissibilità previsti dagli artt. 7, 8 e 9 I. n. 3/2012.
I giudici di legittimità hanno quindi messo in risalto la peculiarità dell’odierna vicenda processuale, e cioè la circostanza che l’originario provvedimento di inammissibilità del piano decretato dal tribunale era stato reclamato e la corte territoriale aveva affermato l’ammissibilità del piano, “riaprendo”, dunque, il corso della procedura da sovraindebitamento.
Ebbene – secondo la S.C. – la “riassunzione” della procedura di nuovo innanzi al tribunale deve ritenersi, nella sostanza, come una “nuova” domanda di piano del consumatore, per la quale il giudice dell’omologazione è investito dello scrutinio di tutti i presupposti “iniziali” di ammissibilità del piano presentato dal consumatore, così come avviene nella procedura negoziata della crisi di impresa.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, la Corte ha quindi cassato il provvedimento con rinvio al tribunale, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributo pubblicati in Rivista:
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