In tema di responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, si applica non solo all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attività professionale omessa.
Questo il principio espresso dal Tribunale di Ferrara, Giudice Mauro Martinelli, con la sentenza del 21 aprile 2020.
IL CASO
Un cliente ha convenuto in giudizio un avvocato (fra l’altro sua ex moglie) per aver quest’ultima tardivamente depositato il ricorso in appello avverso la sentenza del Tribunale di Ferrara del 24 ottobre 2008 (circostanza confermata dalla Corte di Cassazione), così precludendo l’accoglimento della domanda di accertamento della illegittimità del licenziamento intimato dalla società con ordine di reintegrazione. Ha chiesto il contestuale risarcimento dei danni.
L’avvocato, chiedendo l’autorizzazione alla chiamata in causa della compagnia assicurativa, non ha contestato il ritardo col quale ha depositato il ricorso in appello, ma ha affermato la mancanza di prova dell’ipotetico accoglimento del ricorso nel merito e, dunque, la fondatezza della domanda di risarcimento del danno.
LA DECISIONE
Sulla responsabilità professionale dell’avvocato, il Giudice ha ritenuto che la condotta omissiva del professionista risulti pacificamente dagli atti di causa (il ricorso in appello è stato depositato oltre il termine di un anno). Quanto all’accoglimento della domanda proposta di accertamento dell’illegittimità del licenziamento e condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro, l’avvocato e la compagnia assicurativa si sono limitate a negare che l’attore avesse assolto il proprio onere probatorio. In realtà, dalla sentenza della Cassazione pronunciata sulla vicenda, il Giudice ha presunto – secondo il principio del “più probabile che non” – che la domanda, tempestivamente formulata, sarebbe stata accolta.
Altro profilo interessante è quello relativo all’eccezione di inoperatività della polizza assicurativa, sollevata dalla compagnia terza chiamata. Infatti, secondo le condizioni generali del contratto stipulato con l’avvocato, non è considerato terzo il coniuge del professionista, oltre ad altri parenti o affini conviventi. Pertanto, secondo la compagnia, l’esclusione sarebbe chiara.
Al riguardo, il Giudice ha rilevato la vessatorietà della clausola, secondo il disposto della Corte di Cassazione per cui “hanno natura vessatoria le clausole che escludono o limitano il rischio garantito, mentre non ne sono prive quelle che limitano il contenuto e l’oggetto della garanzia assicurativa”. La inoperatività dell’assicurazione, in relazione alla qualità soggettiva del cliente, non determina una limitazione dell’oggetto (che rimane pur sempre la garanzia per i danni provocati dall’esercizio della professione forense) o del contenuto, quanto una espressa limitazione di operatività nelle ipotesi in cui il terzo abbia un particolare legame con il professionista.
Inoltre, l’obbligatorietà dell’esistenza di una polizza assicurativa da parte del difensore a tutela del cliente è espressione di una norma di ordine pubblico, sicché la previsione di inoperatività della polizza assicurativa nei confronti di alcuni clienti, in virtù di un legame parentale o di affinità o di altra natura, sarebbe comunque nulla ai sensi dell’art. 1418, I comma c.c.
Per tali ragioni il Tribunale ha accolto la domanda risarcitoria in danno dell’avvocato, disponendo che la compagina di assicurazione alla rivalsa in favore del professionista per le somme pagate.
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