La domanda di insinuazione al passivo proposta da uno studio associato fa presumere l’esclusione della personalità del rapporto d’opera professionale da cui quel credito è derivato e dunque l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento del privilegio in oggetto, salva l’allegazione e la prova, a titolo esemplificativo, di un accordo tra gli associati che preveda la cessione all’associazione del credito al compenso per la prestazione professionale che ha in tal caso natura personale e quindi privilegiata.
Questo il principio espresso dal Corte di Cassazione, I sez. civ., Pres. Di Virgilio – Rel. Federico, con l’ordinanza n. 7898 del 17 aprile 2020.
Uno studio professionale associato aveva presentato domanda di ammissione al passivo del fallimento di una società per un credito derivante da prestazioni professionali. Il giudice delegato aveva ammesso il credito solo in parte ed in chirografo, osservando che la domanda di insinuazione era stata proposta dallo studio associato e non vi era prova del carattere personale della prestazione. Molteplici prestazioni, infatti, non erano state effettuate dal professionista che aveva sottoscritto la domanda, ma da altri componenti lo studio associato. Il Tribunale di Bolzano aveva dichiarato inammissibile l’opposizione, rilevando la mancanza di legittimazione ad agire dello studio associato, che ha così proposto ricorso per Cassazione.
La Suprema Corte lo ha accolto, cassando il decreto e rinviando la causa al Tribunale di Bolzano, sulla premessa di base che l’associazione professionale costituisce un centro autonomo di imputazione e di interessi rispetto ai singoli professionisti che vi si associano. Gli associati possono attribuire all’associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati; in tal caso sussiste legittimazione attiva dello studio professionale associato, cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomo centro d’imputazione di rapporti giuridici rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l’incarico, in quanto il fenomeno associativo tra professionisti può non essere univocamente finalizzato alla divisione delle spese ed alla gestione congiunta dei proventi.
Nel caso di specie, l’insinuazione al passivo fallimentare era stata proposta dallo studio associato, il quale era stato parzialmente ammesso al passivo del fallimento. Sulla legittimazione processuale ad agire dello studio associato, in assenza di impugnazione della curatela, si è dunque formato il “giudicato endofallimentare“.
Pertanto, la legittimazione ad impugnare il provvedimento di esclusione del privilegio spettava (solo) allo studio associato, il quale aveva proposto l’insinuazione ed era stato dunque parte del processo concluso con la pronuncia impugnata. Infatti, la Cassazione ha ribadito che nel giudizio di verificazione del passivo è pienamente efficace la regola del giudicato endofallimentare L. Fall., ex art. 96, sicchè, ove il creditore, ammesso al passivo in collocazione chirografaria, abbia opposto il decreto di esecutività per il mancato riconoscimento del privilegio richiesto senza che, nel conseguente giudizio di opposizione, il curatore si sia costituito ed abbia contestato l’ammissibilità stessa del credito, il giudice dell’opposizione non può, “ex officio“, prendere nuovamente in considerazione la questione relativa all’ammissione del credito ed escluderlo dallo stato passivo in base ad una rivalutazione dei fatti già oggetto di quel provvedimento, essendo l’ammissione coperta dal predetto giudicato.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
OPPOSIZIONE STATO PASSIVO: AMMISSIBILE LA PRODUZIONE DI NUOVI DOCUMENTI
SI TRATTA DI UN GIUDIZIO DIVERSO DA QUELLO ORDINARIO DI COGNIZIONE, AUTONOMAMENTE DISCIPLINATO DALLA L. FALL., ARTT. 98 E 99
Ordinanza | Corte di Cassazione, VI sez. civ., Pres. Scaldaferri – Rel. Caiazzo | 25.02.2020 | n.4952
RICORSO PER CASSAZIONE: INAMMISSIBILE SE SI PROPONE UN “NON MOTIVO”
IL RICORSO È IDONEO SOLO SE CONTIENE LE RAGIONI PER LE QUALI SI IMPUGNA LA DECISIONE DI MERITO
Ordinanza | Corte di Cassazione, I sez. civ., Pres. Cristiano – Rel. Di Marzio | 24.02.2020 | n.4787
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