La temerarietà della lite può essere ravvisata sia nella coscienza della infondatezza della domanda e sia nel difetto di normale diligenza per l’acquisizione di tale coscienza. L’art. 96 co. 3 c.p.c. ha introdotto un meccanismo che, sulla scia della dottrina e delle prime pronunce della giurisprudenza, deve ritenersi non solo e non tanto risarcitorio, quanto anche e soprattutto sanzionatorio, e come tale sottratto (a differenza dell’ipotesi di cui all’art. 96, co. 1, c.p.c.) dalla rigorosa prova del danno, essendo lo stesso condizionato unicamente all’accertamento di una condotta di grave negligenza o addirittura malafede processuale della parte.
Questo il principio espresso dal Tribunale di Cuneo, Giudice Ruggiero Berardi, con la sentenza n. 415 del 21 luglio 2020.
Il giudizio è stato instaurato da due mutuatari nei confronti di una banca per i seguenti motivi:
- interessi usurari al contratto di mutuo;
- indeterminatezza delle condizioni contrattuali;
- illegittimità del calcolo delle rate secondo il metodo di ammortamento alla francese;
- difformità dell’ISC dichiarato rispetto a quello effettivamente applicato.
L’istituto di credito si è costituito, contestando fermamente le avversarie argomentazioni, concludendo per il rigetto della domanda attorea, condanna alle spese di lite e risarcimento del danno ai sensi dell’art. 96 c.p.c.
Il Giudice ha rigettato la domanda degli attori, ritenendo infondate tutte le doglianze, accogliendo la domanda di condanna per responsabilità aggravata formulata dalla banca.
L’art. 96 co. 3 c.p.c. ha introdotto un meccanismo che, sulla scia della dottrina e delle prime pronunce della giurisprudenza, deve ritenersi non solo e non tanto risarcitorio, quanto anche e soprattutto sanzionatorio (considerando che, per quanto debba essere sempre rispettato il diritto inviolabile alla difesa, costituzionalmente garantito dall’art. 24 Cost., la norma mira a scoraggiare l’abuso del processo e preservare la funzionalità del sistema giustizia), e come tale sottratto (a differenza dell’ipotesi di cui all’art. 96, co. 1, c.p.c.) dalla rigorosa prova del danno, essendo lo stesso condizionato unicamente all’accertamento di una condotta di grave negligenza o addirittura malafede processuale della parte. È da considerare, altresì, che lo scopo della norma è la repressione del danno che viene arrecato direttamente alla controparte quali l’allungamento della tempistica nell’esercizio dei propri diritti e indirettamente anche all’erario con la congestione degli uffici giudiziari e l’incremento del rischio del superamento della canone costituzionale della ragionevole durata del processo con ricadute anche di tipo risarcitorio, stante il pericolo di condanna dello Stato alla corresponsione dell’indennizzo ex lege 89/2001.
Nel caso di specie, l’Organo Giudicante ha rilevato, dagli atti e dalle prospettazioni svolte, che il giudizio introdotto era palesemente infondato e temerario.
Infatti – si legge nella pronuncia – la assoluta infondatezza della censura di usurarietà del mutuo e la proposizione di tesi e criteri metodologici fondati su premesse erronee e su argomentazioni che non tengono in alcun conto dei consolidati approdi giurisprudenziali, tanto di merito quanto di legittimità, nel settore bancario, sostenendo tesi interpretative mai affermate dalla giurisprudenza, proponendo interpretazioni giurisprudenziali fuorvianti e, sulla scorta di tali contestazioni, e insistendo nella richiesta di ammissione di una CTU contabile palesemente inammissibile.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
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